Unacosa viva. L•·indiadi Narayan Paolo Bertinetti Lo scorso anno, quasi a inaugurazione della sua attività, la casa editrice Zanzibar pubblicava un romanzo dello scrittore indiano R.K. Narayan, Il pittore di insegne. Quest'anno un secondo titolo di Narayan, Il mondo di Nagaraj, è andato ad arricchirne il catalogo. Come spesso succede in casi simili, i libri del "nuovo" autore che vengono proposti non sono necessariamente i migliori, né tanto meno i primi, ma semplicemente i più recenti. Il mondo di Nagaraj è un romanzo di un paio di anni fa, l'ultimo di Narayan, e anche Il pittore di insegne (seppure "vecchio" di una quindicina d'anni; è del 1977) fa parte della sua produzione più matura. Probabilmente l'idea è quella di presentare al pubblico italiano una novità in senso stretto (un autore non ancora conosciuto e una su.anuova opera), forse anche con la convinzione che in questo modo si offrono al lettore argomenti e forme a lui più vicini. In molti casi non è stato affatto così (senza contare che i libri più vicini a noi sono poi inevitabilmente i vecchi classici). Per quanto riguarda Narayan, però, la scelta si è rivelata tutto sommato felice, anche se molte delle sue cose più belle restano ancora, per il momento, da noi sconosciute. R.K. Narayan è nato nel 1907 a Madras, nell'India meridionale. La sua eta una famiglia di brahmini (e quindi di casta elevata) e di livello sociale che potremmo definire medioborghese: queste due coordinate restano centrali in tutta la sua opera, che vede relegati in ruoli secondari i membri di tutti gli altri vastissimi settori della popolazione indiana. Tuttavia si potrebbe dire che vale per Narayan quello che vale per Jane Austen. Anch'egli, a partire dal settore sociale di cui fa parte e che meglio conosce, costruisce un universo letterario che ci comunica il senso di tutta la società nel suo complesso e che riesce a indagare tra le piaghe dell'animo umano al di là di ogni barriera linguistica, culturale e antropologica che possa dividerci da lui. E c'è inoltre da aggiungere che i suoi protagonisti, non molto ricchi ma senza problemi di sopravvivenza, dediti a qualche modesta attività commerciale o artigianale ma psicologicamente e socialmente consapevoli di un ruolo rispettabile e rispettato, religiosi ma lontani dall'adesione totalizzante dei più poveri che nella religione hanno l'unico conforto, sono in fondo quelli che meglio riescono a trovare un equilibrio tra vecchio e nuovo, che più possono _essereindiani e al tempo stesso comprensibili alla nostra sensibilità. La formazione scolastica di Narayan, che in casa e per strada parlava tamil, la lingua di 26 CONFRONTI quella parte dell'India, ebbe luogo in scuole inglesi e fu del tutto simile a quella di un ragazzo inglese della sua età e di quegli anni (sia per quanto riguarda le bacchettate, sia per quanto riguarda Carlyle, Browning e Walter Pater, oltre naturalmente ai classici elisabettiani e ai romantici). Le due lingue e ·1edue culture restano compresenti in tutta la sua opera e dal compromesso tra di esse emerge la sua specificità di scrittore, di uno scrittore di lingua inglese che però rimane totalmente indiano. Indiana è la sua visione dell'uomo e del mondo; inglese è la lingua in cui si esprime (anche se, come lui sostiene, è un inglese che ha subito un processo di indianizzazione paragonabile a quello di americanizzazione che un paio di secoli fa è avvenuto negli USA); e europea, ma anche qui con influenze indiane, derivate da una rigogliosa tradizione orale, è la forma letteraria da lui adottata. Europea nella sua versione inglese, con il grande modello di Dickens e del romanzo vittoriano, ma anche del naturalismo di un Bennett. Tuttavia Graham Greene, a proposito del primo romanzo di Narayan, ne definì lo stile più vicino a quello di Cecov che a quello di qualsiasi scrittore di lingua inglese, con lo stesso senso sotterraneo di bellezza e di malinconia. Il suo destino di scrittore dipese moltissimo dall'entusiasmo di Greene, che convinse Hamish Hamilton a pubblicarne il primo romanzo, Swami and Friends (1935). E quando l'editore lasciò cadere l'opzione per il romanzo successivo, The Bachelor of Arts (1937), fu di nuovo Greene a trovare un altro editore. Il romanzo di esordio di Narayan rimane il suo libro più delizioso, se non il suo capolavoro. È la storia di un ragazzino di circa dieci anni, alle prese con i problemi della sua età nei confronti dei genitori e degli amici, raccontata con la consapevolezza di un adulto che riesce quasi miracolosamente a ritrovare il candore della fanciullezza. La vicenda è ambientata nell'immaginaria città di Malgudi (dove si svolgeranno anche i romanzi successivi), che grosso modo coincide con Mysore, la città in cui Narayan visse a partire dalla giovinezza. Ma la finzione del nome gli consente la più totale libertà, la creazione fantastica di un luogo realissimo, che lo scrittore popola di edifici governativi, scuole, negozi, nuove aree residenziali, strade, viuzze, mercati, e soprattutto di un'umanità variopinta e multiforme, un microcosmo indiano che ha gli accenti di una nuova comédie humaine. Come diceva Greene, è straordinaria la capacità evocativa di Narayan, la sua abilità nel "far diventare l'India e la sua gente una cosa viva". I suoi libri sono pieni del profumo dei fiori, della canfora e dell'incenso; delle stanze raccolte dove ha luogo il rito della pooja; delle foglie di betel e delle noci di cocco; dei sari delle donne e delle tunichette color ocra dei santoni; dell'ombra di alberi a noi sconosciuti e della polvere delle strade assolate, con Trunk Road che si perde ali' orizzonte, nella giungla misteriosa e minacciosa che inizia dove finisce la città. Questa è la Malgudi che incarna l'India secolare; ma c'è poi la Posta, c'è la stazione ferroviaria, ci sono le banche dell'India moderna. La compresenza: di antico e moderno passa attraverso il confronto tra Oriente e Occidente. Nella Malgudi degli anni Trenta la modernità viene dall'Impero Britannico. Ciò che è nuovo, e che forse è giusto seguire, è doppiamente antagonistico: perché si scontra con la propria cultura e perché viene dall' oppressore, dalla potenza coloniale. Ne nasce una sensibilità particolare, contraddittoria, in cui soggezione e riaffermazione dei proprii valori, desiderio di rinnovamento e volontà di conservazione, si mescolano in modo inscindibile. In fondo è lo stesso Swami, il ragazzino protagonista del primo romanzo, che incarna la frustrazione di questa nuova definizione d'identità. Il maggior desiderio di Swami è di partecipare a una partita di cricket, al rito sportivo che più riflette lo spirito dei dominatori inglesi. Pur di poter giocare scappa di casa, si perde, e viene ritrovato febbricitante e quasi in preda al delirio. Quando ritorna finalmente in sé, pronto per la partita, scopre d'essere rimasto in stato d'incoscienza per un'intera giornata.L'incontro c'è già stato, la partita di qicket è stata giocata senza di lui. Già in questo primo romanzo, ma soprattutto in quelli che vennero dopo, il personaggio è visto muoversi e svilupparsi all'interno della rete dei rapporti familiari. Di volta in volta ne viene in particolare uno alla ribalta, tra fratelli, tra padri e figli, tra zii e nipoti, tra mogli e mariti; ma è la famiglia nel suo
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