I CONFRONTI I questa dimensione non perdono vita né senso quegli usi e costumi e spettacoli che, si sa, sono rintracciabili ovunque, ma appena come residui o reperti e dunque come la mète di una spedizione archeologica e non di un viaggio antropologico. C'è un'altra convenienza nella scelta del viaggio: si forza quella estraneità che ci permette di capire che è appunto il viaggio ad essere "nostro", e non il Sud. "Sentirsi in viaggio", in movimento, può essere risolutivo per una ricerca antropologica, perché può servire a non dimenticare la differenza che passa fra un incontro e una conquista. Più che come un'esplorazione il viaggio dentro il Sud si può vivere come un'immersione (e di questa immagine non è facile né conveniente liberarsene), ma in ogni caso la consapevolezza del viaggio esalterà la distinzione fra "noi" e "loro" ed aiuterà a rispettare quello che si osserva. E quello che si racconta. Ma chi racconta, e che cosa? Già, "raccontare il Sud" che vuol dire? Prima di tutto va detto che il Sud si racconta da solo: all'antropologo spetta il proprio diario di bordo e la relazione finale, ma, dato che si resta all'interno della stessa società e cultura, non servono gran che i suoi compendi o le traduzioni di quanto ha osservato. Certo è suo compito anche interpretare, ma, prima ancora, raccogliere, incontrare. Ero andato a raccogliere "storie di vita", sia pure di spettatori. E chi ha fatto esperienza in luoghi dove resiste il valore se non l'abitudine dell'oralità, sa che si può essere sorpresi non tanto dall'abilità ma da una disposizione a narrare, dalla voglia e dal gusto del racconto. L'intervistato spesso non riesce a dare informazioni o a esprimere opinioni se non raccontando una storia; e non si tratta soltanto della cura che si è soliti mettere quando si espongono ad altri i propri ricordi, quando si vuol dare la giusta importanza al racconto della propria esperienza di vita. Oltre alla storia privata di cui si è involontari attori, ci sono le cento storie minime che corrispondono ad ogni oggetto o momento o persona che si conosce. I fatti non esistono come semplici dati, i singoli avvenimenti non valgono come parti di un unico racconto, ma ciascuno è al centro di una sua storia. Ad ogni mia domanda faceva eco un'altra domanda di precisazione e di traduzione: "Vuoi sapere la storia di quel giorno? di quell'oggetto? di quell'uomo?". In fondo può darsi che tutte le storie arrivino a incrociarsi e sovrapporsi in un 'unica Storia, ma quest'ultima non interessa poi tanto perché non appartiene a nessuno: tutti ci si possono riconoscere come attori, ma non come autori. La "propria" storia - paiono suggerire i testimoni - non è quella che si vive, ma quella · che si sa e che si racconta. La storia nasce per esprimere questa relazione fra un fatto e il suo autore, e quello che si poteva e voleva raccogliere erano appunto rappresentazioni e non dati oggettivi: erano racconti di spettacoli, per cogliere il momento in cui lo spettatore diventa a sua volta autore, per capire il modo in cui quello che si è visto diventa quello che si è vissuto. Attraverso le tante piccole storie - nelle quali si avvolgono e si trasformano le informazioni, le opinioni e gli eventi - si supera quella falsa contraddizione tra la storia personale e minuscola da rivalutare e rivendicare contro la storia ufficiale dei personaggi che "fanno" appunto la Storia. Ci avverte Bichsel - il maestro elementare svizzero diventato scrittore, ma rimasto maestro-che c'è invece un'altra, più fertile opposizione da cui lo storico e l'antropologo debbono ancora imparare: è quella tra la pluralità, lamo]teplicità degli autori e dei racconti, e la tendenza a riferirle a un'unica e "vera" rappresentazione, che le divora, le sacrifica al suo interno o molto più spesso le irride e le ignora. Di tante storie, della loro ricchezza e libertà si ha invece bisogno, per rifondare continuamente il proprio senso di identità e la rete di relazioni fra le persone e con le cose, che poi sono la storia per tutti e per ciascuno, o almeno i suoi infiniti riflessi. In Salento- e forse in tutto il Sud, se è vero che è ancora un luogo "identitario, relazionale e storico" -raccogliere storie può essere ancora la motivazione e il fine di ogni viaggio. Parlareper immagini Francesco Spada Ringrazio Stefano Rulli e Salvatore Tramacere; finalmente si comincia a raccontare storie e parlare per immagini. In fin dei conti, il Sud credo che sia la somma di un arcipelago di-piccole e grandi storie e che il nostro lavoro è appunto quello di ridare a queste un'unità e quella identità smarrita. Se siamo d'accordo su questo la nostra presenza qui può avere la sua utilità. Vedere riuniti qui personaggi che si muovono in ambiti differenti della cultura e del!' arte mi rende felice, perché credo che sia questa una possibilità concreta di comporre una strategia utile e corretta, per disegnare nuovi scenari meridionali e mediterranei. L'incontro e lo scambio interdisciplinare è stato sin dall'inizio del mio lavoro un principio fondamentale. La mia avventura al Sud l'ho avviata vent'anni fa ed è coincisa proprio con un incontro, che ha determinato scelte radicali e nuovi stimoli, per iniziare un percorso entusiasmante e fruttuoso in termini di ricerca, sperimentazione e produzione. Con Mario Cresci, (genovese) grafico e fotografo che nei primi anni Settanta si era stabilito a Matera, decidemmo di esplorare, di indagare e "misurare" la realtà del Mezzogiorno, con il preciso obiettivo di produrre materiali nuovi e inediti per ribaltare quella lettura stereotipata che vedeva il Sud triste, inutile, piagnone, senza energia produttiva e senza più creatività. Partendo da una lunga indagine visiva etno-antropologica, abbiamo rimosso, tra l'altro, una serie di situazioni intorno ali' artigianato artistico, all'architettura popolare e la cultura materiale che oggi sono esempi concreti di una nuova progettualità. Un lungo viaggio visivo fatto di piccole storie, personaggi inediti che producevano e producono ancora qualità. Voleva significare, e per certi versi significa ancora, rimettere su un piano di confronto più ampio il lavoro, la creatività e vitalità della cultura di base del Sud con quella che in quegfr anni si diceva "cultura ufficiale". Un lavoro teso a ristabilire "credibilità", che ci ha permesso di ribadire la qualità e alcuni aspetti di novità che questa periferia poteva inserire in un dibattito nazionale e internazionale. Quest'esperienza ha ristabilito, per me ed altri autori che avevano scelto di vivere al Sud, un equilibrio intellettuale e artistico che dura tutt'oggi e che mi permette di dialogare con minori ostacoli, pur restando per scelta una "minoranza produttiva". II manifesto che ho realizzato eer questo incontro è una sorta di invito globale al dialogo. E il mare del Salento, del Mediterraneo, è lo stesso mare della Grecia, del Nord-Africa, della Spagna; vuole essere soprattutto un mare di "racconti nuovi". !l
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