I CONFRONTI I aggiungere che non è per niente facile fotografarne la "differenza", malgrado la conferma ostinata del pregiudizio culturale e la nascita interessata di mille post-giudizi economici e politici, malgrado l'eredità pesante della storia e l'incremento di nuove cesure e di nuovi oggettivi squilibri. Nessuno vuole negare i dati e le vicende che distinguono il meridione dal resto d'Italia: sul piano culturale però, anzi sul piano dei valori e dei comportamenti quotidiani di gente che vive in una integrata e generalizzata società dei consumi e della comunicazione di massa, visualizzare le peculiarità del Sud non è tanto semplice. All'indagine antropologica occorrono metodi e concetti in gran parte ancora da individuare; occorre, intanto, il trucco e lo sguardo del "viaggio". L'approccio da viaggiatore non solo aumenta la distanza ma accende la curiosità, ne rende obbligatorio l'esercizio anche quando si crede di osservare e di incontrare il già visto, il già noto. Per l'antropologo, però, l'atteggiamento del viaggiatore non è soltanto un'accortezza per compensare le incertezze di metodo di una doverosa ma imponente "antropologia del Noi". Anche perché il viaggio verso o dentro il Sud non è affatto un viaggio qualunque. Un amico ormai naturalizzato salentino, studioso dei teatri d'Oriente mi ricordava la relatività di questa parola ("relatività" non come potenzialità, ma come prodotto di una relazione) ed ha appena scritto un libro sul reciproco e ingannevole gioco di specchi fra Oriente e Occidente, fra i rispettivi àttori e pubblici e culture. Il Sud però non è come l'Oriente. Non si può dimostrare, ma si ha la sensazione che la latitudine non sia una misura altrettanto convenzionale e artificiosa quanto quella della longiPeriferia di Catania (fata di Massima Siragusa/Cantrasta). tudine: ci dev'essere un motivo se il Sud non sembra far parte della storia degli scambi ma solo di quella degli sfruttamenti, se il Sud non lo si ricorda come mèta degli infiniti viaggi di andata e ritorno dietro la corsa del sole, come non facesse parte del giro del mondo. Il Sud appare piuttosto come il luogo o l'espressione di un diverso genere di alterità: se non la sua realtà almeno la sua rappresentazione non cessa di evocare la profondità al posto della lontananza, anche in quell'epoca in cui la terra degli uomini si dichiarava finita e cominciava - a sud - quella dei leoni. Fra gli stereotipi di ogni genere con cui si definisce o si aggredisce il meridione, il più difficile a svelare è quello involontariamente condiviso dagli antropologi: quello di un sud "altro eppure nostro", di un sud che alimenta il consolante pregiudizio evoluzionista. Spingendosi a sud, si pensa di dover incontrare un esotismo soltanto parziale, perché fatto in gran parte di memorie, di fantasmi, di radici ... "nostre". Viaggiando nell'immediato - e per davvero nostro - meridione d'Italia, in un certo senso questa immagine sembra corrispondere a una realtà; ma non per via dell'arretratezza e dell' emigrazione che hanno mescolato i ruoli e i destini di un'unica e unita società (Leghe permettendo), ma perché quel discorso appena proposto sulla modernità e la tradizione, fra molte esitazioni e perplessità, autorizza a credere che il Sud sia ancora un luogo di storia, di relazioni, di identità. Un "luogo antropologico" contro il proliferare dei "non-luoghi" della restante e imperante surmodernità - per proseguire ad usare concetti e definizioni recentemente coniate da Mare Augé; un luogo che non si identifica certo con tutto il Sud o il Salento, ma che lì ancora si tocca e si vive, o almeno si crede presente. È la sopravvivenza di questa dimensione (che non è la stessa cosa della "tradizione") ad essere stupefacente e interessante e ad essa vanno riferite le altre frammentarie e curiose permanenze: in
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