Linea d'ombra - anno X - n. 76 - novembre 1992

CONFRONTI federativo, e cioè che il contatto fra italiani, attraverso l'obbligo della leva in un paese diverso dal proprio, l'imposizione delle stesse strutture politiche e istituzionali, il livellamento della burocrazia avrebbero portato a una pacifica integrazione e, soprattutto, all'assimilazione del Sud alla cultura settentrionale. Un'idea positivista, come ho detto, secondo cui interagire significa scambiarsi informazioni, quindi avvicinarsi alla verità: la verità cancella sospetti e diffidenza reciproca, basta da sola a sgombrare i pregiudizi. I confini territoriali come i confini etnici sono, invece, categorie culturali, prima che appartenenze fisiche, costituiscono un criterio di stratificazione e di rappresentazione sociali. Naturalmente si intersecano con altri criteri, si fanno più tenaci quando si sovrappongono a interessi materiali, quando c'è di messo una lotta per la leadership di uno stato o genericamente per il potere, si prestano stupendamente a dare voce a conflitti di varia natura. Fra Nord e Sud, anche se la contesa non è finita nel sangue, è avvenuto un fenomeno analogo a quello che sta avvenendo in altri paesi dell'Est europeo. L'integrazione fra i due territori è fortissima: basti pensare ai matrimoni fra settentrionali e meridionali, ali' assimilazione dell'emigrazione degli anni Cinquanta e Sessanta nelle grandi città del Nord, ai numerosissimi esponenti meridionali della classe dirigente italiana, presenti non solo nei ranghi della screditata burocrazia (aMilano, ad esempio ho conosciuto io stessa un gruppo nutrito di altissimi dirigenti d'azienda nati e laureati a Napoli). Nonostante ciò ritornano oggi con prepotenza e con ancora maggiore livore argomenti di divisione ottocenteschi. L' integrazione non ha attenuato lo stereotipo negativo. A far precipitare le cose sono stati avvenimenti politici, interessi materiali, Uscita dalla messa domenicale a Corleone (foto di Roberto Koch/Contrasto) problemi di leadership nazionale, ma, certo, la categoria culturale Nord Sud ha fornito un contenitore ideale ed è servita a rinfocolare conflitti, a indirizzare odi. In un circolo perverso la rappresentazione del Sud si è sempre più stereotipizzata. E qui veniamo al tema in discussione: come raccontare allora il Sud? La produzione scientifica è stata segnata non meno profondamente dal dialogo fra le due parti del paese. Un filone di studi ha rifiutato di prendere in considerazione categorie culturali o etniche, riconducendone il disagio meridionale interamente al divario materiale e alla supremazia economica del Nord. D'altro canto molta letteratura si è adeguata all'immagine antropologica indotta dall'interlocutore (siamo arretrati, è la nostra cultura che è corrotta all'origine ... solo dal di fuori ci può venire la salvezza, solo imitando il Nord possiamo redimerci - oppure, immagine opposta ma speculare, il Sud è luogo di antiche solidarietà contadine messe a rischio dalla modernizzazione selvaggia, contaminate dalla cultura industriale imposta dall'esterno, il tutto antropologico di cui parla Piero Giacché nel suo intervento). Da un decennio circa si sta lavorando sul Sud in modo diverso, ma i temi e le acquisizioni nuove stentano a trovare udienza, a imporsi nell' immaginario collettivo. I mass media naturalmente contribuiscono in larga parte a tutto ciò: ormai il Sud è solo sinonimo di mafia; le recensioni ai libri sul Sud sono solo recensioni a libri su mafia, camorra, n' drangheta ... E ai meridionali si chiede di fare un esame di coscienza e di rintracciare nella propria cultura i requisiti culturali che li inducono a comportamenti mafiosi. Non si tratta certo di negare il problema, ma di rifiutare, piuttosto, di rispondere a quesiti posti in maniera così rigida, a partire dal rigetto di una categoria di cultura tanto rozza e mistificata. Certo che il piano culturale non va sottovalutato (come invece è stato fatto spesso dagli studiosi della sinistra) ma esso è strettamente interrelato con gli altri piani e, soprattutto, vacontestualizzato, storicizzato. È parte di un processo incessante in cui vari elementi entrano in gioco, producendo combinazioni sempre diverse e mai scontate (sembra banale, tautologico ma è bene ribadirlo). Ed è questo processo che va studiato, non una cultura astratta, spolpata dei suoi attributi storici, dei suoi contenuti materiali. Non c'è dubbio, ciò è molto più difficile: perché di fronte a una domanda urgente non possiamo dare una risposta facile e univoca. Alla richiesta di certezza non possiamo far altro che rispondere propo- ~ nendo l'incertezza, l'ambiguità ... Ma forse potremmo utilizzare il Sud proprio per combattere questa visione del mondo assoluta, che vuole dividere la società in bianco e nero, in buoni e cattivi, mettere in luce, invece, come possano convivere i contrasti più acuti, come i simboli, che tendiamo ad appiattire ad un unico significato, possano invece essere interpretati diversamente da individui e gruppi sociali. Il camorrista ha un'idea dell'onore, ma il signore che gli abita accanto ne può avere una tutt'affatto diversa o non averne del tutto. Un politico troppo intraprendente può essere letto con gli occhi del nazionale "rampantismo" politico, uguale a Brescia e a Napoli, ma può anche essere letto con gli occhi di una tradizione locale in cui l' "affarista", l'uomo che si impegna ai limiti della legge a trarre profitti e a innalzare il proprio status, ha un proprio specifico spazio. Si tratta di rifiutare la dicotomia modernità - tradizione, ridando volto alle molte voci di una società stratificata e molteplice. Ecco ... ridare del Sud l'immagine di una società composta di tanti individui e non uno scenario compatto di familisti amorali o di mafiosi, di modernizzati o di tradizionalisti. Padri e figli, nobili, borghesi, contadini, caprai, bottegai, impiegati, politici, personaggi in ascesa sociale e personaggi in caduta, donne e uomini: ricreare la polifonia significa anche trovare degli spiragli d'uscita, dare voce a chi esprime spinte positive al cambiamento, riportare frammenti di solidarietà sociale che possono svilupparsi, senza aspettare soltanto la luce dal!' esterno.

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