CONFRONTI Il peso degli stereotipi Gabriella Gribaudi Il 17 aprile 1898 Crispi fu rieletto in Sicilia, nonostante fosse stato coinvolto nel grande scandalo della Banca Romana, nonostante avesse represso i "fasci siciliani" con lo stato d'assedio. Ecco che cosa scrissero i giornali del tempo, secondo la cronaca di Napoleone Colajanni. "L'Avanti attribuisce la vittoria alla mafia e parlando della Pasqua di Barabba afferma ch'è scarso il senso morale nel Mezzogiorno. L'Emancipazione di Livorno constata il pervertimento morale della grande maggioranza degli elettori palermitani. L'Uomo di pietra di Milano nella Risurrezione (16 aprile) dà certe norme per la votazione che sono un atroce insulto per gli elettori di Palermo; e in una vignetta intitolata Gusti meridionali l'elettore di Palermo porta il cappello tradizionale del brigante. L'Italia del popolo della stessa Milano consacra un articolo alle due morali: a quella del Settentrione e a quella del Mezzogiorno. La Giustizia di Reggio Emilia riproduce l'indegno calembour che una volta alla Camera dei deputati fece !'on. Ingegnere Gabelli, e parla di Nordici e Sudici ... La stessa Italia del Popolo volendo lodare i cittadini e le associazioni di Marsala, che avevano protestato contro Crispi non sa designarli altrimenti che con questa frase: Siciliani di onestà nordica ..." (N. Colajanni, Settentrionali e meridionali, Sandron, Milano, Palermo, 1898). Insomma il Nord vota secondo ragione, ideali, interessi legit- ~imi;il Sud invece seguendo mafie, clientele, interessi particolari. E, in sostanza, amorale. Il caso e i commenti del tempo evocano in maniera impressionante le vicende di oggi. Ciò che repubblicani e socialisti settentrionali scrissero allora sulla Sicilia e sul Sud in generale, gli argomenti che vennero usati a difesa, potrebbero facilmente venire scambiati per i dibattiti odierni a proposito della divaricazione del voto tra Nord e Sud. Perché i napoletani continuano a votare Cirino Pomicino e Gava, nonostante siano sotto gli occhi di tutti i guai provocati da loro e dai loro seguaci? Perché i politici chiacchierati e corrotti ricevono nel mezzogiorno un così tenace consenso? Le vicende storiche non sembrano sufficienti per interpretare il fenomeno e allora si ricorre alla spiegazione di un'atavica arretratezza culturale: una preferenza per la corruzione e una tendenza ali' irrazionalità che si presentano come un peccato originale, che risale ai tempi dei tempi e macchia indelebilmente la società meridionale. Le immagini, le metafore, i simboli usati fanno parte di un bagaglio culturale tenace, che segna i rapporti fra le due parti dell'Italia fin dall'Ottocento, accompagnando e caratterizzando il processo unitario. Sono passati circa cento anni e la rappresentazione reciproca si ripropone in termini pressocché immutati. Alcune delle argomentazioni usate da Colajanni per rispondere alle accuse si potrebbero riutilizzare oggi. Tutti, dice Colajanni, erano stati apologeti del Crispi, più dei Siciliani; egli era giunto al governo non tanto per la sua forza locale, ma per il ruolo nazionale; e corruzione e metodi politici erano strettamente correlati alla politica centrale, di cui egli era massimo esponente (Cri spi venne coinvolto nel famoso scandalo della Banca Romana nel 1892: si scoprì allora che la banca aveva coperto un clamoroso ammanco stampando clandestinamente circa 9 milioni di lire e che aveva fatto consistenti prestiti a politici, tra i quali appunto Crispi, attraverso cambiali che venivano poi sempre rinnovate). I socialisti settentrionali non avevano appoggiato i siciliani quando lottavano nei fasci (è nota la vergognosa sottovalutazione della lotta da parte del socialismo settentrionale, che lo 18 bollò come una barbarajacquerie contadina), erano invece pronti ad esprimere dissenso quando votavano per Crispi. Infine Colajanni contrappone alla mafia cruenta del Sud lamafia dei colletti bianchi settentrionale, portando ad esempio casi di corruzione : delinquenza "civile" al nord, delinquenza "barbara" in Sicilia. Argomenti contrari e a favore si ripropongono in maniera impressionante nel dibattito odierno. Sembra che cent'anni siano del tutto passati invano. Le ragioni politiche sono sotto gli occhi di tutti. Il rafforzarsi della mafia esaspera poi i toni della polemica. Ma le ragioni si perdono in un gioco di rappresentazioni in cui fatti e vicende storiche si confondono e si costruiscono continuamente nuove verità. Si tratta di un gioco tanto tenace anche perché antico, radicato in un dialogo, in una comunicazione centenaria. Alcune di queste immagini attingono alla tradizione "meridionalista". Ci sarebbe da fare un lungo discorso sul meridionalismo e sul suo uso, che qui non si può affrontare. Come spesso avviene quando la materia è così coinvolgente, simboli e immagini sono state espunte dal contesto storico e culturale in cui erano state costruite e, filtrate da altre immagini, da altre esigenze, sono servite a tutt'altra causa. Villari, Franchetti, Sonnino, Fortunato, tenaci assertori del processo unitario, positivisti, furono analisti a volte feroci del Mezzogiorno, con l'intento di conoscerlo e di farlo conoscere senza infingimenti. Pensavano che la classe ?irigente di uno stato, che aveva il difficilissimo compito di integrare territori tanto variegati, dovesse innanzitutto sapere, per poter poi intervenire in modo equo e razionale. Combattere l'ignoranza sul Mezzogiorno, offrirne un'immagine veritiera costituiva il loro scopo. Lo dichiarano esplicitamente Franchetti e Sonnino quando si apprestano a partire per la Sicilia per condurre l'inchiesta sulla mafia, è lo spirito che guida Giustino Fortunato nella sua lunga ricerca. Certo, era un mito positivista quello che la verità, una volta emersa dagli abissi dell'ignoranza, avrebbe vinto, un mito che si sarebbe infranto migliaia di volte contro la verità della politica, ma essi lottavano anche contro i tratti deteriori di certa cultura umanistica nazionale, contro il ragionare a vanvera, il discutere di grandi principi senza saper affrontare l'ordinario, decidere senza avere informazioni ... Si battevano per migliorare il rapporto fra mansioni e saperi specialistici, in ultima istanza per migliorare la qualità dell'apparato istituzionale dello stato. E, così facendo, raccolsero una messe di informazioni sulla società, sull'economia, sui sistemi agricoli, quali mai più avremmo avuto nel corso della nostra storia. La temperie idealista confinò nell'ombra i contenuti empirici di tali lavori, vennero invece utilizzate alcune rappresentazioni in chiave ideologica, espungendole dal complesso quadro in cui erano inserite. Si perse il bagaglio di conoscenze che tali autori potevano trasmettere, si mantennero invece alcune immagini, che, isolate dal contesto in cui erano maturare, contesto storico e letterario, divennero stereotipi ed ebbero risultati ed usi che avrebbero fatto rabbrividire i poveri meridionalisti. Proviamo a seguire alcune di queste immagini. Nel Sud lo stato non esiste, ognuno agisce seguendo il suo particolare, l'interesse individuale e della famiglia. Franchetti, Fortunato, Turiello parlarono di mancanza di senso collettivo, di fazionalismo, "scioltezza individuale", uso ?elle arnministra~ioni locali~ _fin! privati_stici... Ma un corollario importante del discorso era 1 md1v1duaz10nedel rapporto con il governo centrale come fonte e alimento di fazioni e di clientele locali. Si pensi alla durissima polemica di Salvemini con Giolitti; ma argomentazioni simili si trovano in Fortunato, Franchetti e anche in Turiello, nella feroce critica della sinistra storica al governo. Ben sapevano i meridionalisti che il Mezzogiorno, più delle altre regioni italiane, aveva conosciuto forme di governo
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==