potenze. Ma questa è una sfida del movimento per la pace; che si deve impegnare per quel pacifismo nelle istituzioni che significa dare visibilità a quello che Bobbio chiama terza assente. Bisogna partire dall'affermazione della democrazia internazionale, dei doveri degli stati subordinato ai diritti dei popoli e dei cittadini. L'autodeterminazione è un principio irrinunciabile, ma la vicenda Jugoslavia ci insegna che la sua attuazione (attraverso la creazione di nuovi Stati) deve essere subordinata al rispetto dei diritti umani e delle minoranze, alla garanzia della multietnicità, con un processo nonviolento. Alla radice di un'opzione di fondo nonviolenta che riconosce in alcuni casi l'uso limitato di un potere coercitivo e militare (al fine della riduzione della violenza complessiva) sta quella distinzione che Max Weber individuava tra etica della responsabilità ed etica dell'interiorità e che Giuliano Pontara vede nel nostro caso in nonviolenza positiva e pacifismo assolutistico. Proprio Pontara in "Antigone e Creonte" (Editori Riuniti, p. XII e seg.) scrive che quest'ultimo atteggiamento obbedisce ad una norma assoluta, ultima, che ha sempre il sopravvento su altre norme morali. Tale posizione, dice Pontara, è insostenibile: "Supponiamo che uccidere una persona sia l'unico modo per salvare amolte altre la vita. Il pacifismo assolutistico, in quanto comporta che anche in siffatta situazione è moralmente proibito uccidere, si fonda ovviamente sull'assunto che vi sia una distinzione morale di ordine fondamentale tra atti comnussivi ed atti omissivi, tra uccidere e omettere di salvare vite. Ma è proprio la validità di la guerra a Bukovar (foto Haviv/Saba/Contrasto). IL CONTESTO questo assunto che, a livello teorico, si può contestare. E se uccidere è necessario per ridurre di molto le sofferenze di molti altri? Il fautore del pacifismo assolutistico dovrà di nuovo rispondere che anche in siffatta situazione è moralmente proibito uccidere, sostenendo che la norma che proibisce di uccidere ha sempre priorità su quella che prescrive di non infliggere sofferenze o di diminuire il più possibile le sofferenze del mondo ...11 valore morale delle nostre azioni, il loro essere moralmente giustificate o meno, deve pur plausibilmente dipendere, almeno in parte, dalle conseguenze che scaturiscono da esse". 5. Un rischio per la nonviolenza oggi, è che essa diventi puro orpello, cosa per poche avanguardie o quasi una ideologia. Invece deve diventare contenuto della politica e della vita di ogni giorno. La politica della nonviolenza, non può essere proclamazione di astratti principi assoluti, bensì modalità di azione sociale nei conflitti, ispirazione concreta di soluzioni e azioni che riducono concretamente la violenza nel mondo e educano ad un comportamento coerentemente nonviolento negli individui. Risponde la pratica odierna, tradizionale, delle azioni nonviolente a questi obiettivi? Non sempre. Non si possono che condividere la difesa popolare nonviolenta e la noncollaborazione. Ma, tra andare a Sarajevo ad interporsi nonviolentemente, in modo simbolico e spettacolare, o andare a lavorare nel campo profughi con i bambini a Osjek, preferisco fare la seconda esperienza. Così tra andare a Boves a simulare una azione nonviolenta in caso di invasione nemica, o costruire un'esperienza di servizio civile nel Mezzogiorno, farò questa seconda attività. Le forme nuove e vecchie dell'azione nonviolenta hanno ancora una dimensione sperimentale e profetica. C'è bisogno di tempo e di maturazione delle coscienze, certo. Ma forse, per molto tempo il movimento della nonviolenza ha sottovalutato le dimensioni di un'azione nonviolenta che non sia elitaria, bensì legata ai temi delle lacerazioni sociali, alle sofferenze, alla vita quotidiana in questo paese: per esempio con una difesa popolare nonviolenta dalla mafia in Sicilia. E questo forse lo fa più il Movi (Movimento di volontariato italiano) che non altri. Una delle vie della nonviolenza è la solidarietà. Qualcuno sulle colonne de "il manifesto" ci ha chiamato pacifisti del cuore e crocerossine dell'olocausto, quando - nella guerra dell'ex Jugoslavia - abbiamo praticato come via nuova la solidarietà concreta con le vittime della guerra. La risposta è già in queste righe. Noto che sono le stesse cose, adeguando i termini, che quindici anni fa la sinistra diceva del volontariato e dei gruppi di lavoro di base. Così si rimane prigionieri degli incubi di una politica e di una ideologia false, attente alle grandi strategie planetarie, alla politica-politica ma poco agli uomini e donne in carne ed ossa. La nonviolenza quotidiana è .una delle grandi scommesse dei prossimi anni: nella politica e nella società, tra le persone, nei comportamenti di ogni giorno, negli stili di vita. È questo un terreno di impegno per tutto il movimento per la pace: obiezioni di coscienza, difesa nonviolenta, servizio civile in uno stretto legame con i conflitti e i dramnu di questo tempo. In questo contesto l'educazione, la pedagogia, la formazione alla pace vengono ad assumere un ruolo importante e centrale. Ed è forse, proprio sul terreno del rapporto con i bambini e gli adolescenti, che una educazione nonviolenta acquisisce un ruolo strategico per una cultura della pace. In questo bisognerebbe impegnarsi senza risparmio. Anche in questo modo si costruisce il futuro della nonviolenza. 15
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