Linea d'ombra - anno X - n. 76 - novembre 1992

ILCONTESTO La politica della nonviolenza Giulio Marcon 1. Gli avvenimenti degli ultimi tre anni suggeriscono al movimento per la pace e ai gruppi che si ispirano ai valori della nonviolenza una riflessione approfondita sulla cultura e le scelte compiute in questi anni. La guerra nella ex Jugoslavia è di certo un'occasione per avviare questo dibattito. Il mondo del dopo' 89 è radicalmente mutato e attraversato da conflitti vecchi e nuovi. Gli anni '80 (e tutto il secondo dopoguerra) erano stati dominati dall'incubo atomico, dalla catastrofe nucleare a causa di una possibile guerra tra le due superpotenze. Il mondo era diviso in due blocchi. Questa minaccia, questo conflitto tra Usa e Urss sovrastavano e in parte rubavano la scena alle altre tensioni ed ai conflitti presenti. Con la fine della guerra Bush aveva promesso un nuovo ordine mondiale e un mondo pacificato. Il famigerato Fukijama, presente-qualcuno dice- nel libro paga del Pentagono, aveva parlato qualche mese fa di "fine della storia" e degli Stati Uniti come poliziotto mondiale. In realtà gli anni '90 mostrano che i vecchi conflitti (come tra Nord e Sud, paesi ricchi e paesi poveri) si sono palesati con maggiore evidenza e aggravati; altri, come i conflitti etnici e i nazionalismi, sono emersi una volta finito il centralismo autoritario comunista, altri ancora (legati indirettamente alle conseguenze dei primi due tipi di tensioni) fanno risorgere i fantasmi della xenofobia, del razzismo, dell' antisemitismo. Bisogna forse aggiornare il vocabolario del pacifismo e aggiungere i tanti termini dei nuovi conflitti: la minaccia alla convivenza, il razzismo, il sottosviluppo, la guerra della povertà che uccide ogni giorno 40.000 bambini. Paradossalmente, finita la paura dell'olocausto atomico viene meno "il tabù della guerra" e questa viene ad essere rilegittimata, o perlomeno tollerata, come situazione ordinaria e normale. Negli Stati Uniti, sconfitto "l'impero del male", il nemico globale, vi è una proliferazione dei "nemici locali" con i quali misurare concretamente la forza delle armi: prima Gheddafi, poi Noriega, e oggi Saddam Hussein. Sembra quasi che la politica abbia bisogno della guerra, almeno quella politica che - ispirandosi a Cari Schmitt - ha come scopo il dominio, che ha bisogno di un nemico da sconfiggere. Oltre a ciò bisogna dire che gli Stati Uniti ricercano il dominio che non hanno in campo economico (ora in gran parte del Giappone e della Germania), attraverso una preponderante supremazia militare. Venuta meno l'imbalsamazione dell'Onu, quando il reciproco controllo tra Usa e Urss ne impediva ogni azione positiva, invece che alla nascita di un governo democratico del mondo assistiamo all'uso delle Nazioni Unite per legittimare le operazioni - spesso di parte - dei paesi forti del mondo. Invece che la cooperazione e la sicurezza comune è la forza delle armi a determinare non l'ordine, ma il dominio e il controllo del pianeta. Oggi, il mondo nuovo è ancora di là da venire. Il vuoto, soprattutto politico e di prospettive, nell'Europa orientale sembra generare l'occasione per anni di scontri interetnici e di guerre di predominio per l'influenza, per esempio nei Balcani (un po' come nell'Italia dell'anarchia politica del '600, quando francesi, spagnoli e asburgo si contendevano la penisola). Il disgregarsi di un impero, quello sovietico, sembra essere origine - come le cadute di tutti gli imperi - di decenni di tensione ed instabilità. I miliardi di persone affamate nel sud del mondo tenderanno a rompere le barriere e a tentare di abbattere le fortezze dei ricchi. Due sono le strade che possono essere seguite per affrontare le conseguenze di questo possibile scenario: il dominio con le armi o la cooperazione e la sicurezza comune. Alla prima tendenza sembra adeguarsi - in linea con la Nato e gli Stati Uniti - anche il nostro governo che con il nuovo modello di difesa assegna ali' esercito la difesa dei nostri interessi vitali (significativa assonanza con la ricerca dello spazio vitale della politica estera fascista), "ovunque essi si trovino" (ovvero il petrolio e le materie prime nel terzo mondo). Nel secondo caso le Nazioni Unite e gli organismi internazionali, se riformati e democratizzati, possono avere un ruolo importante. 2. Non è solo la situazione internazionale ad essere mutata, ma anche i valori: le forme, le modalità dell'impegno per la pace e della nonviolenza. Negli ultimi dieci anni si sono affermate nuove esperienze-spesso sotterraneamente, in modo oscuroche ispirandosi ai valori della pace e della nonviolenza nell' accezione più ampia dei termini, hanno dato vita ad una 'nuova e diversa politica: le esperienze del volontariato, del lavoro sociale, dell'associazionismo, delle attività di base, di solidarietà. Esperienze che hanno coinvolto milioni di persone. La politica - a livello globale, internazionale- negli ultimi decenni è stata logica di dominio, dialettica amico-nemico (ancora Cari Schmitt), quest'ultimo identificato prima con l'est comunista e ora con varie espressioni del sud del mondo. In Europa alla politica come rapporto amico-nemico (ultimi interpreti Reagan e Thatcher, replicante in Italia: Craxi) si è sovrapposta la politica come compensazione di interessi e distribuzione di beni (lo Stato sociale): il tracollo dei partiti - e non solo in Italia - trova ragioni anche nella crisi o nella degenerazione di quel modello. Le strade nuove di una azione sociale diffusa e solidale offrono una prospettiva radicalmente alternativa di politica diffusa intesa come gratuità (si veda Gaeta nel numero di settembre di "Linea d'ombra"), obbligo verso l'altro, dovere di solidarietà, ascolto, accettazione del conflitto con l'altro come contraddizione che si riversa su di sé. Alla politica come potere qui si contrappone la politica come dono, come nuovo antiprincipe. In questo senso, ricordando Capitini, si può parlare di una politica della nonviolenza, cioè di una nonviolenza ispiratrice di politica, come aggiunta alla democrazia, categoria nuova ed imprescindibile delle relazioni umane, fondate sul rispetto e la comprensione, la giustizia e i diritti umani, la solidarietà e l'equità. Queste forme nuove di politica diffusa si sono espresse non con le grandi adunate e i movimenti di massa (brutta parola, che connota la retorica ideologica dell'indistinto; parola di destra usata per tanto tempo dalla sinistra) ma con i piccoli e tanti capillari gruppi di volontariato, di solidarietà, di lavoro sociale e si sono manifestati nella concretezza, nell'utilità, nella condivisione, nel qui e ora degli atti e dei gesti dei singoli. È come dire che bisogna

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