Linea d'ombra - anno X - n. 76 - novembre 1992

IL CONTESTO un altro trombato, Arnaldo Forlani, occupando il telegiornale, passeggiando pensoso, il capo reclinato, la mano che si gratta il mento, mentre il "suo" segretario di riferimento gli snocciola il rosario, con quel suo fare lattemiele da vecchio sporcaccione, che rasenta il codice penale per oltraggio al pudore. Ed allora tutto quel gran vociare, pro e contro, dei mezzibusti Buttiglione, Gruber, Del Noce, Badaloni, Lasorella? Persino Nicoletta Orsomando che ci accompagna dai tempi della tv dei ragazzi. Tutti a protestare: contro ilcodismo, contro la lottizzazione, contro l'abbraccio soffocante dei partiti, persino contro il cattocomunismo eterno fantasma che sopravviverebbe nei cuori dei nuovi nemici di Vespa, per la professionalità, per l'autonomia. Parole sante e sbaglia chi butta tutto sul ridere (Guzzanti) o chi disprezza ("branco di lottizzati", secondo Scalia). Perché gettare alle ortiche le opinioni di quei settantanove che hanno detto "no" a Bruno Vespa (contro sessantasei "sì")? Almeno le parole prendiamole per buone. Ma come interpretarle? Ha ragione Bassolino quando dice: "Vedo in quegli avvenimenti il segno della insostenibilità dell'attuale situazione; il segno che cresce la coscienza di un sistema da disarticolare, per ricostruire qualche cosa di radicalmente nuovo". O ha ragione Emilio Fede, che conosce la Rai dai tempi di Bernabei: "Guardate che corsa: chi non è ancora salito sul carro di Martinazzoli e Segni cerca di farlo adesso, in pochi giorni ...". Probabilmente hanno ragione tutti. Se le parole sono buone, persino ovvie, viene da chiedersi perché non le abbiano pronunciate prima, qualche mese fa, addirittura qualche anno fa, perché questo bisogno di libertà, questo rispetto della informazione, questo senso della professionalità hanno dovuto attendere tanto tempo perché fossero pienamente espressi? Alla Rai ci sembra non sia cambiato nulla. La Rai di Manca e Bagio Agnes non era diversa da quella di Pedullà e di Pasquarelli (se non per questioni di bilancio, perché gli ultimi arrivati sono stati costretti a tagliare spese e a bloccare le assunzioni, arma "letale" di clientelismo e familismo e nepotismo di ogni specie, ma anche motivo di una programmazione contenuta che ha dato fiato alla Fininvest). Solo che la crisi del sistema è andata avanti insieme con l'onda leghista e si è legata alle difficoltà della Dc e del suo segretario Arnaldo Forlani. Così impossibile, a proposito della protesta dei redattori del Tguno, allargatasi presto ad altre aree della redazione, non avvicinare l'un fatto all'altro, non mettere crisi assieme a crisi e non pensare che qualcuno, all'ultimo momento, capisca che è meglio darsi da fare, saltare intanto sul carro del "rinnovamento", vero o solo sbandierato, per poi rincorrere quello di una o dell'altra corrente democristiana, di questo o di quel partito. La diagnosi più severa l'ha fatta Angela Buttiglione, accusata d'aver capeggiato la rivolta anti Vespa: "Il disagio è lo stesso al Tgdue al Tgtre. Solo che qui siamo più liberi e le cose vengono fuori. La verità è che i telegiornali Rai non sono più l'espressione delle tre aree culturali nelle quali grosso modo era diviso il Paese. Sono l'espressione della parte più degradata dei partiti, della lotta tra le fazioni ...Ammettiamo che tu vuoi. fare un servizio. Succede anche che, anziché rivolgerti al direttore, ti rivolgi, e forse sei costretto a farlo, al tuo referente politico, dentro un partito. Lui chiama il direttore e propone il servizio per te". C'è qualcosa di allarmante e di degradante, se le cose sono andate veramente così. Quanto basta comunque per incenerirsi dalla vergogna o per lo meno per andare a nascondersi e, per quanto riguarda noi teleutenti, per non pagare più una briciola di canone (come d'altra parte ha sostenuto un ministro della repubblica, Margherita Boniver). E sono talmente gravi che persino al Bossi torna facile avere ragione: "Io gli uomini di regime li cambierei. E quelli che sono lottizzati li licenzierei". C'è un'altra strada rispetto al 10 licenziamento? La questione, come si dice sempre in Italia, è politic_a.E non c'è niente di più vero, tale è l'intreccio tra sistema dei partiti e sistema dell'informazione (dentro la Raie fuori dalla Rai). Il trambusto nasce da una crisi politica, che potrebbe essere ridotta per comodità o per opportunismo all'equilibrio di regimi rotto dalla comparsa di qualche altro ospite o attore. Non è un caso la difficoltà incontrata nella nomina dei membri della commissione parlamentare di vigilanza (che deve eleggere il consiglio di amministrazione della Rai). Va ridimensionato o no il peso dei tre partiti "classici", Dc, Psi, Pds? Va ridisegnato o no il manuale Cencelli dei lottizzatori? Sono arrivati o no i leghisti? Di questo e non certo di contenuti si parla, non certo di tv spazzatura o di tv culturale, di reti specializzate (lo fa ancora il Bossi). Gli insulti di Sgarbi sono stati appena ricordati, senza che si aprissero dibattiti sulla liceità della rissa televisiva. Non c'è Samarcanda alle porte. Perfino Ferrara sembra essersi calmato. I varietà non fanno rumore e i programmi verità sembrano ormai destinati all'oblio. Ciò che si vede ancora, sul fronte privato e su quello pubblico, è solo un restyling del già visto, felice la Fininvest d'aver raggiunto nell'audience la Rai, costretta dalla gestione piatta e al risparmio di Pasquarelli e dalla burrasca in corso ad occuparsi di tutto tranne che dei programmi. L'unica proposta che potrebbe spezzare la vecchia logica spartitoria (obbligando a rinnovare qualcosa, offrendo una risposta ai mali economici della Rai, colosso da tredicimila dipendenti eda mille miliardi di indebitamento medio, e riaprendo le porte alla competitività) è venuta da Angelo Guglielmi, direttore di Raitre, che ha suggerito la vendita e quindi la privatizzazione di una rete Rai, perché possa nascere davvero un terzo polo tv per "spaccare" il duopolio Rai-Finivest, mostro a due teste e principale causa del degrado e della mediocrità della tv in Italia. Cioè, dice Guglielmi, tre reti Raie tre reti Finivest (più la paytv) sono troppe, occupano tutto il mercato, rastrellano tutta la pubblicità possibile. Eliminiamo una rete per parte e creiamo uno spazio per qualcun altrQ. Ragionamento, visto così, ineccepibile. Ma quale tra i partiti "occupatori" è disposto a mollare qualche cosa? L'Italia ha bisogno di riforme e senza di quelle neppure la Rai si può riformare o autoriformare. Il "terzo polo" riuscirebbe però a produrre televisione migliore? Intanto Guglielmi assolda Celentano e Umberto Eco (La bustina di Minerva, sull'Espresso) sostiene che bisognerebbe farla pagare di più la tv: come il whisky, se ne beve meno se costa tanto. Marco Pannella marcia su Roma con pochi intimi inalberando cartelli che gridano "Libertà, Onestà, Verità" (in concomitanza con un'altra, ahinoi, marcia fascista e con larga presenza di fascisti alla sua di marcia, ma lui dice che alla prova gli stanno bene anche i boia chi molla), rischiando questa volta di fare apparire tutto folklore, snobbato dai più lui che di televisione se ne intende, apparendo a raffica in qualsiasi rete, privata o pubblica. La verità forse l'ha scritta il "Corriere", per mano di Piazzesi: "La Rai, emanazione dei partiti, non può non rinnovarsi contro la volontà dei partiti medesimi. Ma è anche vero il contrario: se va in porto qualcuna delle iniziative che si propongono la trasformazione di questo sistema politico, la Rai ne trarrebbe subito dei grandi vantaggi, anche se non avesse fatto nulla per meritarseli". Insomma. Aspettiamo. Ma non credo sia tutto perduto. Come sempre c'è la pulizia e c'è la retorica della pulizia, che è un fiume in piena che travolge tutto e travolge anche chi nell'oceano lottizzato mantiene rispetto per il'pubblico e per se stesso, senza potere e senza sapere distinguere tra programma e prog_rarnma,tra inchiesta e inchiesta, tra sceneggiato e sceneggiato. E singolare che nessuno, in tanto parlar di riforme e di rinnovamento, abbia indicato l'obiettivo minimo e però discriminante del lavorare onestamente. Come molti di già fanno. E la pratica, fosse solo un poco più diffusa, avrebbe effetti dirompenti.

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