Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

INCONTRI/GUSTAFSSON Foto di Mikoel Andersson. È ancora possibile, secondo lei, o auspicabile, l'idea di una società senza costrizioni, dove l'uomo possa esprimere liberamente lapropria creatività? Una domanda che spesso scaturisce da certe sue opere, per lo meno da quelle di Crepe nel muro. E come vede il futuro della società svedese, dopo la crisi della socialdemocrazia, in questo difficile momento in cui da unaparte gli svedesi sono stanchi del loro tradizionale isolamento e, al tempo stesso, vorrebbero salvaguardare la propria specificità? Non credo che sia possibile una società senza problemi e penso che non sarà mai realizzata, sulla terra. Le utopie, si è visto, si sono solo trasformate in totalitarismi. Certo, ci si può chiedere se sia possibile una società molto, molto più culturalizzata, molto più comunicativa, con meno logoramento e sfruttamento degli individui. Non credo che problemi del genere siano risolvibili con uomini politici pratici, ma solo con lo sviluppo di tecniche civilizzatrici. Penso alle trasformazioni della natura, penso a Norbert Elias. Le tecniche civilizzatrici crescono a tutt'altro ritmo dei rapidi movimenti politici moderni. Una società con metodi di lavoro più avanzati e sviluppati, più tollerante, caratterizzata da rapporti di collaborazione più generosi, non credo si possa raggiungere con l'impazienza, con l'intolleranza politica, né con soluzioni veloci o leaders forti, che aumentino le tasse. Credo che un autentico, vero sviluppo della società abbia ritmi lenti, ma non troppo, a vada avanti complessivamente. È chiaro che in generale il mondo ha fatto passi avanti, è migliorato ... Dunque lei è ottimista. Non è unpo' difficile essere ottimisti di questi tempi? Beh, negli anni Ottanta c'era tanto ottimismo. Io, per la maggior parte della mia vita, ho vissuto in un regime congelato: la guerra fredda fra Est e Ovest, i due blocchi, conflitti non ben definiti. Ora viviamo in un mondo che forse è rischioso, ma non più rigido. 92 E tutti questi conflitti nati dai vari nazionalismi? Naturalmente, sono terribili. Ma è tipico di certi periodi di rivolgimenti: sono terribili, ma importantissimi e pieni di fermenti. Pensiamo alla caduta dell'impero romano. Quando ero giovane, siccome non mi piacevano le carote lesse, in famiglia dicevo sempre, se le trovavo fra le pietanze a pranzo o a cena: "Mangerò carote lesse solo quando i re serbi torneranno sul trono.", come dire: quando gelerà l'inferno. Chissà, può darsi che mi tocchi mangiarle ... Oggi è difficile capire quello che sta succedendo e non tutte le cose che accadono tendono al positivo. Ma, secondo me, la prospettiva da cui oggi osserviamo è diversa da quella di cui potevamo disporre anni fa, in un periodo congelato: oggi è più facile capire. Ad esempio è più facile capire periodi in assoluto difficili da comprendere, come il Romanticismo tedesco. Non ho mai creduto facile capire come Hegel potesse stare a Jena a scrivere la Fenomenologia dello spirito che riguarda idee sociali che si realizzano attraverso la storia ... la situazione di Hegel aJena è finita a Stoccolma, o aJena, nel 1989. Ci si deve guardare da chi propone soluzioni centralistiche: il sottile legame fra il sociali0 smo tradizionale e le strutture naziste e fasciste va ben al di là delle apparenze. Si può vedere in Svezia con i coniugi Myrdal, pionieri della socialdemocrazia, che scrissero un libro, Crisi demografica, in cui si diceva che la Svezia era troppo poco popolata e quindi bisognava fare più figli per avere più forza lavoro. E, per facilitare la cosa, si dovevano incrementare e potenzionare gli asili per istituzionalizzare i figli. I giornali della Svezia degli anni Trenta non raramente rispecchiano quelli russi o moscoviti, anche se non si è finiti in un regime fascista o nazista o stalinista. È stato un grande movimento che ha preso diverse forme, ma è sempre lo stesso schifo. Può darsi che, per paesi come la Svezia, Maastricht sia un errore, ma porta comunque con sé cambiamenti e l'importante è che la Svezia non rimanga a stagnare nel tradizionale gioco tra le istituzioni e l'individuo. Sì, credo in Maastricht quia absurdum est. Io voglio dire: credo in Maastricht nonostante sia assurdo.

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