Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

INCONTRI/GUSTAFSSON Una sorta di ideale, sia in narrativa che in poesia, è che si debba evitare di spiegare, e si debba invece mostrare; ma l'operazione non riesce mai completamente. Il dottor Dante di Firenze ci è riuscito. rispose per la generazione successiva Hans Ruin con La mistica della poesia, un testo di importanza fondamentale negli anni Cinquanta. Dal 1962 al 1972 è stato redattore della rivista culturale svedese più prestigiosa "BLM" (Bonniers Litteriira Magasin), e ha avuto un ruolofondamentale e stimolante nel dibattito politico, estetico efilosofico del suo paese. Com'è riuscito, pur dando molto spazio alla critica marxista, a mantenersi sempre indipendente dalle mode culturali, esprimendo con coerenza e libertà il suo punto di vista individuale? Quali difficoltà ha incontrato? Ci sono ruoli diversi nella vita. Uno scrittore può avere punti di vista molto netti e decisi; ma il redattore di una grande rivista non può fare lo stesso perché sarebbe terribile. Deve avere tutta un'altra apertura. Come redattore mi proponevo due cose: apertura e internazionalizzazione, sprovincializzazione della cultura e della critica svedese. La critica svedese era molto provinciale. Per quanto riguarda i critici marxisti, ci fu come un'inversione, dopo che per più di trent'anni erano stati esclusi. Pubblicai gli scritti di Lukacs, ma anche altre cose; detti molto spazio allo strutturalismo, per esempio a Foucault. Fu un periodo molto bello, anche perché avevo per collaboratori persone geniali, come Jan Stolpe, il più grande traduttore della storia svedese, e, soprattutto, come coredattore, quell'uomo meraviglioso che è stato l'editore Herald Bonnier. Non ci sono parole per descrivere un uomo così eccezionale. Non aveva né le esagerazioni di un Feltrinelli, né l'ortodossia di un Einaudi, né l'attivismo di un Gallimard. Herald Bonner era molto ricco, molto libero e molto intelligente. Un incrocio fra un vichingo e un ebreo, con una grande barba rossa. Una specie di Norman Mailer, anche lui descritto come un ebreo vichingo. Purtroppo morì molto presto, non aveva nemmeno sessant'anni. Eh, sì, è stato proprio un bellissimo periodo, quello ... Perché lasciò la redazione di "BLM", allora? Non per conflitti né disaccordi, o cose del genere. Ma perché sentivo di avere altri progetti da attuare nella vita. Quando si è giovani, ci si può dedicare il giorno a una cosa e la notte a un'altra. Ma poi ... dopo i quarant'anni il tempo scorre più in fretta e si deve cominciare a scegliere ... e io ho sempre odiato scegliere. Ma, allora, fui costretto. Ebbi un contratto come professore visitatore presso il Centro europeo di ricerche filosofiche avanzate a Berlino Ovest. Le mie entrate erano abbastanza esigue quando ebbi quel contratto: era meraviglioso, ricevere del denaro solo per poter scrivere! Rimasi aBerlino due anni e fu lì che scrissi La lana, Sigismund e cominciai la stesura di Morte di un apicultore. Lei, che è poeta e filosofo, come vede il rapporto che lega filosofia e poesia? Le sembra calzante l'immagine di Heidegger della poesia e della filosofia come due cime di uno stesso massiccio montagnoso? Beh, voi in Italia avete Dante che in De vulgari eloquentia ha scritto molto bene su questo argomento. Anche il dottor Petrarca ne ha scritto in modo eccellente. Il grado di libertà della poesia è molto maggiore rispetto al discorso filosofico. E poi la cosa è complicata perché si può avere la poesia nella filosofia, ad esempio nel Tractatus di Wittgenstein, e si può avere la filosofia nella poesia, come in molte parti della Divina Commedia. Ciò che le distingue è naturalmente l'uso della metafora. Il discorso filosofico procede per concetti astratti. La poesia, invece, mostra, fa vedere per mezzo della metafora. Credo che non ci sia nessun argomento specificamente poetico: si può dire che questa sia la grande scoperta di Baudelaire. E nemmeno esistono specifici argomenti filosofici. Si possono affrontare delle uova fritte col metodo filosofico e una vacca morta col metodo poetico. Non sono due regioni del mondo; il mondo non ha regioni. Non c'è nemmeno la regione fisica del mondo, ma il mondo è quello che è: i sogni inarticolati e fluttuanti di Dio, o qualcosa del genere. Poi abbiamo una caterva di tecniche diverse per affrontare questo mondo, come afferma Merlau-Ponty: il viaggio verso la cosa, una parte della cosa; e filosofia e poesia sono due viaggi di questo genere. Per questo prima ho menzionato Dante: non è certo una novità che filosofia e poesia si fondano; Dante nel Paradiso opera spesso questa fusione: in quel complicato trattato di astronomia si nasconde totalmente come poeta. Una sorta di ideale, sia in narrativa che in poesia, è che si debba evitare di spiegare e che si debba invece mostrare; ma l'operazione non riesce mai completamente, proprio completamente mai. Il dottor Dante di Firenze ci è riuscito. Una volta ho discusso di questo con Quine, il grande logico positivista. Quine fu un po' pedante perché pensava che fosse sbagliato dire che i più alti sistemi filosofici sono poesia. Eppure è così. Prenda ad esempio Anassagora, di lui abbiamo frammenti in poesia. Possiamo dire che la poesia è una risorsa, un aiuto per la filosofia? Sì, certo: ci sono tesi di dottorato con tanto di note apiè di pagina su questo. Ma, a volte, anche il dialogo può divenire un veicolo filosofico: per Platone, o per Diderot. Petrarca si chiedeva se avvenisse per mezzo della pittura o della poesia il contatto più vero e più profondo. C'è un rapporto fra Lars Lennart Westin, morente di cancro, che in Morte di un apicultore dice: "Sono un corpo, solo un corpo, tutto ciò che si deve fare deve essere fatto in questo corpo. Il paradiso deve consistere soltanto nella fine del dolore", c'è un rapporto fra queste parole e l'affermazione di Gunnar Ekelof, nellapoesia Una realtà (sognata) della raccolta D'autunno: "Non credo in una vita dopo questa, io credo in questa vita"? Sì. Lessi questi versi nel 1954 e ricordo che ne fui fortemente impressionato. Io ho un modo di vedere le cose, ed è la corporeità. Tutto deve essere fatto col proprio corpo. Questo naturalmente rispecchia anche il dogma cristiano, perché per il dogma cristiano dopo la morte non c'è nessun Ade dove andare, ma si resta nella propria tomba fino al Giudizio universale, quando finalmente riceveremo un nuovo corpo. La vera dottrina cristiana è corporale: non ci può essere anima al di fuori del corpo. Ma è certo una limitazione non credere che ci sia una vita dopo questa, al di fuori di questo corpo. Le donne ne fanno la scoperta quando aspettano un figlio, in quel momento si accorgono che non c'è modo di uscire dal proprio corpo, non c'è possibilità di fuggirne. Certo, Ekelof avvertiva la cosa molto più tragicamente. 91

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