Sogno? No, non sto sognando. Sono in grado di sentire i miei zoccoli battere sui gradini di marmo della sua scala. Mi riaddormento al suono dei miei zoccoli che battono sui gradini di marmo della sua scala "Sei un cavallo sulla mia scala, Paul". Ulisse Mi nascondo da mio padre sul tetto della Torre di Joyce a Sandycove. Giù dabbasso mio padre, nella tetraggine del Museo joyciano, scambia eufemismi con il poeta Michael Hartnett, curatore del Museo: eufemismi metereologici, piovosi e freddi anche se è giugno. Sto in piedi sugli spalti. Ho diciotto anni. La battaglia è: se lui comprerà o no una copia dell'Ulisse di Joyce. È una battaglia di denaro, ma è anche una battaglia di moralità, o, come si dice, di "morale". È cominciata stamani a colazione, quando ho chiesto a mio padre ventuno scellini per comprare una copia dell'Ulisse. Me li ha rifiutati, perché oltre ad essere scandaloso l'importo, che un giudice malpagato può appena permettersi, il libro in questione era, com'è noto, immorale. Persino i gesuiti di mentalità più aperta avevano condannato l'Ulisse in quanto blasfemo nonché pornografico. Mia madre, voltandosi d'un balzo dal lavello: "Dagli i soldi per quel libro abietto e finitela con queste corbellerie per carità. Avremo mai pace e buon senso in questa casa?". Mio padre è tempestosamente uscito di cucina, con l' / rish lndipendent sottobraccio, dicendo: "Non sponsorizzerò quel furfante facendo entrare opere blasfeme in questa casa. Nell'anno del Signore miHenovecentosessantatré non fungerò da favoreggiatore della bestemmia". Poi ho preso l'autobus 46A diretto al Museo appena inaugurato nella Torre di Joyce. Il curatore mi ha offerto di condividere una caraffa di vodka avanzata dalla serata letteraria di ieri. Era lunedì, 17 giugno 1963, il giorno dopo Bloomsday. Sedevamo in un silenzio compatibile, POESIA/DURCAN contemplativi, affabili, finché un sovvertimento sismico di ghiaia ci ha sradicato dalle rèverie. Sono corso alla porta, ho intravisto mio padre ai piedi degli scalini di ferro. Sono salito sul tetto, sperando di nascondermi da lui lassù nella nebbia di mare, sirene da nebbia gemevano nella baia. Sento dietro di me passi e so che è lui, che dichiara: "Immagino che dovremo comprare quel libro. Come hai detto che si intitola?". Gli dico che il titolo del libro è Ulisse. Lo seguo giù per le scale; afferma: "Signor Hartnett, ho ragione di ritenere che lei abbia copie di un libro intitolato Ulisse. Desidererei acquistare una di tali copie". "Certo, signor giudice ... Eccellenza, certo", risponde l'ultracortese curatore dagli occhi da cinese. Quando Hartnett, restando su una sedia dallo schienale alato dietro la scrivania, estrae da un cassetto una copia dell'Ulisse con la copertina colore di giada dell'edizione Bodley Head, mio padre gli chiede se non abbia carta marrone con cui fasciare il verde romanzo satanico, con cui farne insomma un pacchetto. Il curatore scruta in un cestino di carta straccia "Fatto dai Ciechi" come se scrutasse nel pozzo senza fondo di un ascensore; lancia un secondo, indagatorio sguardo funicolare a mio padre prima di pescare dei sacchetti raggrinziti di carta marrone, nei quali ieri sera si sono trasportate bottiglie di vodka. Mette i sacchetti sul ripiano della scrivania e li stende lisciandoli, dandosi pena d'essere ossequiosamente ultrascrupoloso e ultrameticoloso. Porge cerimoniosamente il pacchetto a mio padre, come se stesse consegnando a un potentato astratto e intrattabile, in pegno di pace, un paio di scarpe vecchie. Mio padre dichiara: "Grazie, signor Hartnett". Il_curatore, quanto mai bizzarramente untuoso, replica: "E mio massimo piacere servirla, Eccellenza". Mio padre uscì dalla Torre di Joyce col libro. Il giorno dopo, quando chiesi a mia madre se lo avesse visto lei disse che era nella loro stanza da letto, accanto al letto di mio padre. Il letto di mia madre era vicino alla finestra e il letto di mio padre era tra il letto di mia madre e il muro. Stava lì, sul comodino di mio padre, l'Ulisse. Con dentro un segnalibro - un involucro per caramelle - alla fine dell'episodio di apertura. Qualche settimana dopo riuscii a leggere anch'io l'Ulisse: lo trovai strano come mio padre e altrettanto discorde. 87
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