Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

STORIE/CARR era coperta di buche e i tre non facevano che cadere e scambiarsi di posto, come uccelli su un trespolo col freddo. Ali' improvviso il carro s'impennò: cademmo tutti a terra e i cavalli si fermarono. Non appena le ruote smisero di cigolare udimmo un suono di acqua corrente. Il vecchio, uscito dalla sua nuvola di polvere, ci raggiunse e ci disse che nei pressi c'era un torrente. Ci buttammo carponi e, immergendo la faccia nell'acquà, ci mettemmo a bere come animali. Gli indiano tolsero quindi il morso ai cavalli e diedero loro da mangiare. Poi, infilatisi sotto il carro, consumarono il loro pasto all'ombra; io mi sedetti vicino alla ruota più ombreggiata. Che sollievo potere allungare le gambe sul terreno, e appoggiare la schiena contro la ruota! Il vecchio si addormentò. Al suo risveglio, e dopo che i cavalli ebbero tirato fuori il carro dalla buca, ripartimmo tra i soliti cigolii. Al tramonto ci trovammo in mezzo ai boschi; alle nuvole di polvere si alternavano ora nuvole di zanzare, certo molto più fastidiose delle prime. Gli insetti ci divorarono letteralmente: dopo sette ore di sballottamenti, non avevamo infatti più alcuna forza per combatterli. Finalmente giungemmo nei pressi di una grande vallata scoscesa. La strada - stretta e con i bordi franati - si snodava sul ciglio di un precipizio simile a una scodella oblunga e apparentemente senza fondo. Procedevamo al livello della cima degli alberi. Impaurita, dissi, "Preferisco andare a piedi." Aleck fece un cenno con la mano indicando oltre il burrone. "Kitwancool", disse e, in lontananza, sull'altra sponda del dirupo, vidi un gruppo di tetti grigi. Per arrivarci, se non morivamo prima in quella scodella senza fondo, dovevamo percorrere il cammino che scendeva a zigzag fino alla fine del burrone, per poi risalire dalla parte opposta. Dissi di nuovo, "Preferisco andare a piedi". "I cani del villaggio ti sbraneranno insieme con il tuo cucciolo", mi rispose Aleck. Percorsi comunque a piedi sia la discesa che la salita, finché arrivammo nei pressi dell'abitato. Al momento di entrare a Kitwancool risalii sul sacco di avena. Un'intera muta di cani ci corse incontro, seguita dagli abitanti del villaggio. La vista dell'eroe fece grande scalpore e tutti gli si affollarono attorno. A me non prestarono più attenzione di quanta non ne prestassero al sacco di avena. Poi il gruppo entrò in una casa lì accanto, portandosi dietro Aleck, l'eroe, il vecchio e l'altro uomo, quindi chiusero la porta. Avrei voluto piangere, aggrappata lì, sul mio sacco di avena poggiato sul legname, completamente sfinita, senza nessuno cui rivolgermi: !.'unica presenza erano quei poveri cavalli incurvati e tutt'attorno i cani abbaianti. Aleck mi aveva detto che avrei potuto dormire sulla veranda della casa di suo padre: nottetempo, infatti, degli orsi si aggiravano nell'abitato, mentre io avevo con me solo un lettino da campo e il telo superiore di una tenda. Ma nessuno mi aveva detto quale fosse la casa. Se fossi scesa dal carro, i cani mi avrebbero sbranato e comunque intorno non c'era anima viva. 82 All'improvviso qualcosa attrasse l'attenzione delle bestie verso l'altra estremità del villaggio. L'intera muta si allontanò correndo e scomparve nella polvere. Aleck si riaffacciò sull'uscio e mi disse, "Noi ceniamo qui". Poi rientrò e chiuse la porta. Il carro si trovava nella parte nuova dell'abitato. In lontananza, sulla sinistra, potevo scorgere una fila di vecchie case, ormai quasi in penombra. Sopra di esse, neri ma nitidi, si stagliavano ·contro il cielo gli antichi totem di Kitwancool. Saltai giù dal carro e mi avviai in quella direzione. Intorno a me non c'era anima viva. Giunsi a una verde distesa erbosa che si apriva tra il fiume e i totem. Dietro, le case grigie e cadeRti foripavano una lunga linea ondulata con le loro facciate larghe e senza finestre. I totem si innalzavano davanti a esse, sopra una lieve altura in mezzo alla distesa verde. Ve ne erano poi altri, disseminati nella parte pianeggiante, accanto a tombe.circondate da recinti e ricoperte da tettoie. Quando si fece buio tornai al carro. La casa del padre di Aleck era l'ultima ali' estremità opposta del nuovo villaggio. Era composta da una sola grande stanza simile a un salone, ostruita con tronchi tagliati di recente. Aveva sette finestre e due porte; le finestre erano tenute aperte da battigli~ di olio di ricino di colore blu. Fui molto sorpresa nello scoprire che il vecchio che aveva arrancato a piedi dietro il carro non era altri che il capo Douse - il padre di Aleck. Mrs. Douse era più importante del marito; era ella stessa un capo per proprio diritto, e godeva di grande prestigio. Quella sera nessuno dei due mi rivolse la parola. Aleck mi mostrò il posto sulla veranda dove disporre il letto, sul quale appesi il telo della tenda. Mangiai qualche boccone di cibo secco e mi cacciai sotto le coperte. Non avendo zanzariera, fui tormentata dalle zanzare. Il mio cuore disse nel buio: "Perché sei venuta?" E il buio rispose: "Lo sai". L'indomani mattina l'eroe mi si avvicinò e mi disse: "Mia suocera desidera parlarti. Non conosce la lingua inglese ma parlerà attraverso la mia bocca". Mi trovai davanti a una vecchia imponente e glaciale. Incrociò le braccia e mi puntò gli occhi addosso. Erano occhi talmente espressivi che parevano emettere le parole che viceversa uscivano dalla bocca dell'eroe. "Mia suocera vuole sapere perché sei venuta nel nostro villaggio". "Voglio dipingere i totem". "Perché proprio i nostri totem?" "Perché sono belli. Sono molto antichi e la vostra gente ne fa pochi di nuovi. I giovani non danno loro lo stesso valore dei vecchi. Un giorno o l'altro non ce né saranno più. Voglio ritrarli, di modo che la vostra gente - oltre che i bianchi - possa rendersi conto di come erano belli". Quando l'eroe riferì le mie parole, Mrs. Douse le ascoltò con attenzione. I suoi occhi scrutavano il mio viso per vedere se avevo parlato in modo "sincero". Fece quindi un cenno con la mano in direzione del villaggio.

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