Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

I TOTEM DI KITW ANCOOL Emily Carr traduzione di Marina Premo/i Emily Carr, oggi riconosciuta come la più importante pittrice del Canada, nacque a Victoria, sull'isola di Vancouver (British Columbia), nel 1871. A quel tempo la città iniziava a mutare e da piccola stazione per commercianti di pellicce e cercatori d'oro, si trasformava in un anacronismo "vittoriano" nel cuore di una terra ancora "indiana". Resterà sempre molto provinciale, ortodossa e "lealista", cioè fedele alla monarchia inglese. Emily Carr la descriverà in The Book of Small (1942), una rievocazione autobiografica filtrata dal punto di vista di Small, la piccola Emily. Volitiva, e soprattutto convinta della propria vocazione artistica, Emily sfida l'ambiente conformista in cui è cresciuta e parte per studiare a San Francisco, in California ( 1891-1892), in Inghilterra (1899-1904) e infine a Parigi (1910-1911). Due dei suoi dipinti saranno esposti al Salon d' Automne del 1911. Ma gli anni all'estero li vive con difficoltà. Spesso inferma, la struggente nostalgia della sua isola complica il suo rapporto con l'Europa. Ne parlerà, con la solita freschezza e semplicità, nell'autobiografia Growing Pains (1946), e in Pause (1953), una raccolta di annotazioni e disegni, entrambe postume. Al 1898 risale il suo primo viaggio fra i gli indiani di Ucluelet, un villaggio remoto e dimenticato sulla costa occidentale dell'isola di Vancouver. È qui che inizia a stringere con i nativi un patto di simpatia che coltiverà per il resto della sua esistenza. Dapprima gli indiani Nootka sono diffidenti: missionari, antropologi, emissari del governo hanno mutato il loro sistema di vita. Inoltre, non amano farsi ritrarre: la staticità del ritratto è temuta come l'arresto della vita. Ma Emily pian piano ne guadagna l'amicizia, e per loro diventa Klee Wick: Colei che ride. Nel 1912 in un viaggio alle Queen Charlotte Islands, fra gli Haida, e aAlert Bay, fra i Bella Coola e i Kwaktiutl, Emily scopre un patrimonio artistico in totale abbandono e degrado. I totem si ergono solitari - corrosi, mutili, spettrali -, sopravvissuti al popolo che li aveva innalzati. Decide di dipingerli prima che la salsedine, il tempo e l'arrivo devastante dell'uomo bianco ne cancellino le tracce. È questo forse il momento più fecondo della sua arte, che cerca di ricatturare lo sforzo mistico dell'artista primitivo: quelle figure grottesche (corvi, orsi, castori, balene), riempiono lo spazio delle sue tele riprodotte con la medesima pennellata espressionista, animate dalla medesima spiritualità. La cultura figurativa studiata in Europa si unisce ora all'espressionismo primitivo. Le sue avventure fra gli indiani della Costa Occidentale saranno raccontate in Klee Wyck ( 1941), il suo libro più bello. Il riconoscimento per Emily Carr arriverà in parte solo con la partecipazione a una collettiva organizzata dalla National Gallery di Toronto nel 1927. L'incontro con Lawren Harris e gli altri artisti canadesi del "Gruppo dei Sette" la riscatta per qualche tempo dall'isolamento. Ma è solo un contatto fugace. Negli anni Trenta vivrà un'esistenza difficile. Muore a Vancouver nel 1945. Gli ultimi anni sono dedicati ai suoi libri di memorie, che le guadagnano un posto significativo anche nella storia della letteratura canadese. (Caterina Ricciardi) Quando gli indiani mi parlarono dei totem di Kitwancool, dissi: "Come si fa ad andare a Kitwancool ?" "Non sappiamo," risposero gli indiani. Anche dei bianchi mi parlarono dei totem di Kitwancool, ma quando dissi che volevo andare a vederli, il loro consiglio fu: "Stai lontana da quel posto". Tuttavia, il pensiero di qu,egli antichi totem mi attirava molto. Kitwancool distava circa venti miglia da Kitwangak, dove mi trovavo. Emily Carr, aularilralla. Un giorno un meticcio mi disse, "Il giovane figlio del capo di Kitwancool parte domani con un carico di legname. Gli ho chiesto se voleva portarti; ha detto di sì". "Come farò a ritornare?" "Il ragazzo si fermerà un paio di giorni, poi farà ritorno qui". Il figlio del capo indiano si chiamava Aleck, era timido, ma parlava bene inglese. Mi disse di trovarmi l'indomani mattina davanti alla bottega di Hudson's Bay. Lo aspettai dalle otto alle undici. Finalmente arrivò e si mise a caricare il legname. Il carro aveva quattro ruote e una lunga asta. Il ragazzo legò la legna all'asta e sopra un sacco di avena. Davanti, arrangiato alla bene e meglio, c'era il posto del guidatore - in realtà, non era un vero sedile, erano solo un paio di casse di cherosene legate alle assi. Sulle casse sedettero tre uomini. La strada era pessima. Al primo sobbalzo del carro l'uomo seduto sulla parte esterna delle casse cadde a terra. Dietro al carro arrancava un vecchio piuttosto robusto. Ogni tanto si metteva a cavalcioni sulla lunga asta, che lo faceva ondeggiare su e giù come un'altalena. Percorse quasi tutto il tragitto a piedi, con il suo fucile a tracolla. Il sole rovente di mezzogiorno picchiava sulle nostre teste. Seduta sul sacco di avena, non sapevo come appoggiare la schiena né le gambe, che stavano a penzoloni. Per non cadere mi tenevo aggrappata con una mano ad un angolo del sacco - mentre con l'altra mano tenevo stretto il mio cucciolo griffo ne. Pensavo che da un momento all'altro saremmo stati sbalzati dall'asta. Il vecchio camminava completamente avvolto dalle nuvole di polvere gialla sollevate dal carro, tanto che era a stento visibile. Gli arbusti lungo il ciglio della strada esalavano un odore di caldo. I cavalli scheletrici sollevavano a fatica gli zoccoli; rivoli di sudore scorrevano lungo le loro groppe polverose. Cominciai a pensare che uno dei tre uomini seduti sul davanti del carro fosse una sorta di eroe. Infatti, i due compagni non facevano che tempestarlo di domande, benché sia noto che gli indiani non parlino quando sono in viaggio. A un certo punto, uno dei tre venne sbalzato dal sedile, corse attorno al caITo,saltò nuovamente al suo posto, ma non smise di porre domande all'eroe. La strada 81

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