SULL'ESILIO Gustaw Herling Gustaw Herling (Kielce, Polonia, 1919) ha abbandonato la Polonia nel 1939, e da allora ha girato molti paesi, finché nel '55 si è stabilito definitivamente a Napoli. Organizzatore intellettuale di grande rilievo, negli ultimi decenni ha pubblicato il grande romanzo Un mondo a parte (Laterza 1958, poi Rizzali 1965), Due racconti (Scheiwiller) e quattro volumi di diario, non ancora tradotti in italiano. Questo è il testo del discorso pronunciato a Torino il 22 maggio durante il convegno sulle letterature dell'Est, organizzato dal Premio Grinzane-Cavour. Il testo di Herling chiuderà, come postilla, il suo volume Gli spettri della rivoluzione che sarà pubblicato nel corso del prossimo anno dal Mulino (a cura di Pietro Marchesini). Il saggio di Milosz Sull'esilio è stato pubblicato in Italia dalla rivista "Leggere" con una nota introduttiva di Francesco M. Cataluccio. Di Gustaw Herling "Linea d'ombra" ha pubblicato sul n. 63 il racconto Il marchio. l'ultimo racconto di Kolyma. Il titolo Sull'esilio lo prendo in prestito da Czeslav Milosz, che chiamò così nel 1988 la sua prefazione all'album del fotografo boemo Kudelka Exiles. Tengo non soltanto a far risuonare la voce di uno dei Premi Nobel letterari dell'Est al simposio dedicato alle letterature dell'Est; al simposio nel'quale, nonostante un caloroso invito a tutte le buone intenzioni, egli non può partecipare per ragioni assai importanti. Tengo anzitutto a presentare brevemente le opinioni di Milosz sull'esilio per confrontarle con le mie, alquanto diverse. Quando si parla o scrive in Occidente della grande svolta del "mirabile anno 1989", della nuova Europa dell'Est sulle rovine del comunismo e della dominazione sovietica, si dimentica di solito il ruolo che in questo processo hanno avuto gli esuli. Non ho nessuna intenzione di gonfiare il nostro ruolo, voglio semplicemente - per dirla con Conrad- "rendergli giustizia". Milosz, costretto dalle circostanze ali' inizio del 1951a scegliere l'esilio, ha accettato il destino di esule in un modo estremamente drammatico, ritenendolo quasi ·una morte civile ed artistica. Il primo testo di Milosz sulle pagine di "Kultura", la rivista polacca di Parigi che fu il primo porto del poeta dopo la rottura con il regime comunista, il suo primo testo dicevo era intitolato No e rivolto sia contro i governanti comunisti del paese sia contro le idee e le "pretese" del!' emigrazione politica polacca in Occidente. Questa posizione, che esponeva l'ambivalenza di un esilio puramente "personale", non poteva durare a lungo. E infatti nella seconda metà dello stesso anno nacque lapoesia "alsaziana" Mittelbergheim, che il commentatore italiano del testo Sull'esilio, Francesco Cataluccio, ha giustamente definito un punto di svolta nella biografia del poeta in emigrazione: 70 La mia terra Si trova qui e ovunque, da qualunque parte mi volga o in qualsiasi lingua oda il canto d'un bimbo, la conversazione di amanti. Più felice di altri, devo cogliere uno sguardo, un sorriso, una stella, una seta piegata sulla linea delle ginocchia. Sereno, lo sguardo attento, devo andare per i monti nel morbido chiarore del giorno al di sopra di acque, città, strade, costumi. Da questo momento è lecito parlare di Milosz riconciliato con la sua sorte di esule, di più - con il suo esilio "doloroso privilegio" di scrittore emigrato. Mentre gli anni passavano non si leniva il Czeslaw Milosz dolore, ma allo stesso in una foto di Giovanni Giovannetti. tempo si rafforzava il senso del privilegio. Del dolore dà idea il brano seguente di Sull'esilio: "C'è molta verità nel!' affermazione, che la terra natia ha una forza vivificante, anche lasciando stare l'ovvia constatazione sulla lingua natia con tutte le sue sfumature insostituibili". Il senso sempre crescente del privilegio fu naturalmente il risultato della scomparsa dei vecchi timori, che l'esilio significasse una morte civile e artistica. La vita di Milosz in esilio può essere definita una fioritura ininterrotta della sua energia creatrice. La visione disperata dei manoscritti depositati nei buchi degli alberi veniva man mano sostituita dalla realtà dei libri pubblicati in abbondanza sia in originale sia nelle traduzioni. Al suo naturale lettore polacco i libri di Milosz arrivavano dapprima a contagocce, contrabbandati dall'editore di Parigi, cioè "Kultura", per aumentare anno dopo anno grazie all'editoria clandestina in Polonia. Il periodo dal Premio Nobel a oggi fu ormai un vero e proprio ingresso trionfale dello scrittore esule nel suo paese natio. La differenza tra le opinioni di Milosz e le mie sull'esilio riguarda principalmente due punti assai essenziali. Milosz disse, che "gli esuli sono stati espulsi dalla storia, la quale storia è sempre la storia dello spazio specifico sulla carta geografica". Quando, all'indomani della guerra, ho deciso di non tornare nel mio paese natio, scegliendo la non facile e non troppo popolare situazione dell'esule, non mi sono sentito nemmeno per unmomento "espulso dalla storia". Al contrario. Mi sono sentito immerso nella storia profonda, autentica, una satira che Simone Weil aveva davanti agli occhi in Venezia salva, e non una s~oria nella quale i "realisti" democratici in Occidente e i pazzi totalitari dell'Est avevano imprigionato di comune accordo a Jalta quella parte d'Europa amputandola dal vecchio continente. Lo stesso hanno sentito i miei amici del gruppo di "Kultura". Nella nostra scelta non c'era nulla di particolarmente drammatico, nei nostri pensieri non dominava la paura della morte civile e artistica. Fu una decisione del tutto naturale, anche se presto doveva diventare chiaro, che non veniva
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