INCONTRI/VINTURI Bastava passeggiare per Mosca e si capiva se esistevano o no i campi di concentramento. Bastava prendere un metrò. un'utopia di democrazia in epoca in cui altrove era completamente seppellita. Da un punto di vista della diffusione delle idee sono più importanti le società agrarie, soprattutto quella di Berna, che hanno creato un nuovo rapporto tra i proprietari terrieri e la terra, i contadini, perché c'è il grande movimento fisiocratico in Francia ecc. ma anche perché c'è la volontà di vivere insieme ai contadini, di partecipare alla loro vita, per gli uomini della città di uscire dalla città per andare a vivere in campagna. Terzo aspetto importante è Ginevra. Dicendo Ginevra si dice sempre l'illuminismo francese, Montesquieu, Rousseau ... Rousseau non era per niente francese, se non mi sbaglio! La sua visione l'ha presa da quella specie di conchiglia fossile che era Ginevra, un mondo da comune medioevale, e ne ha fatto una teoria: quella del contratto sociale. Ec'è poi la rivoluzione sua figlia, la rivoluzione dell'82, che non è stata studiata abbastanza. Questa simpatia per Ginevra è dovuta al sangue ugonotto che circola nelle sue vene, perché lei ha delle radici ginevrine ... Sì, mia madre, mia nonna ecc. Sì, certissimamente. È inutile dire che lo spirito di indipendenza, la capacità di creare questo mondo indipendente, ha avuto la sua importanza. Ginevra non raggiungeva 25.000 abitanti all'epoca in cui Rousseau scriveva, eppure Ginevra insorgeva, e dovevano intervenire Francia e Piemonte per schiacciare la rivoluzione dell'82, quando aveva 25.000 abitanti. Nei suoi volumi è spesso citato a fondo pagina, nelle note, Lugano e soprattutto la tipografia Agnelli, che è stata importante, penso, per la diffusione delle idee gianseniste ... Non solo giansenistiche, ed è da lì che è partito un nuovo rapporto stato-chiesa che diventa molto presente nella tradizione italiana, che naturalmente ha profonde radici nella tradizione del Settecento europeo, Giannone ecc. Però con gli anni Sessanta non c'è dubbio che gli Agnelli a Lugano hanno creato una diffusione delle idee che spesso si chiamano gianseniste e che qualcosa di giansenista ce l'hanno. Ma è soprattutto un nuovo rapporto tra lo Stato e la Chiesa. Una cosa che avevano tentato di fare altri, Amidei e gli altri, in altre regioni italiane o di lingua italiana che su questo giornale assumono una nuova importanza ... l'ho studiato recentemente per quel che riguarda Venezia, e si potrebbe riassumere così: è il giornale più libero, è la gazzetta più libera che esistesse allora nel Nord Italia esclusa la Toscana. Lei ha sfogliato centinaia, migliaia di pamphlet, gazzette, opuscoli, e come lei dice, li ha spremuti proprio come acini d'uva, però dice di non aver mai letto Goldoni, o una pagina di Casanova. Perché questa distanza verso la letteratura del Settecento? Non vorrei sembrare paradossale, ma per un italiano anche se vissuto all'estero tanto tempo, Goldoni non c'è bisogno di leggerlo: perché l'abbiamo letto a scuola, andiamo a teatro e ci capita di vederlo, apriamo la televisione e ce lo troviamo. Questo per prima cosa. Seconda cosa, sono convinto che a Goldoni mancava profondamente ciò che per gli uomini dei lumi è essenziale, e cioè la passione politica. A proposito di questa negligenza nei confronti della letteratura, c'è però chi sostiene che forse Franco Venturi non ama tanto la narrativa e la storia della letteratura perché è lui un ottimo narratore, uno storico che sa scrivere e che ama scrivere. Che io sappia scrivere, giudicatelo voi; che ami cercar di scrivere in modo comprensibile, e comprensibile anche largamente al di fuori del!' ambiente accademico, credo sia vero, e credo sia dovere di uno storico di farlo, se può e nei limiti in cui può. Quanto agli scrittori, bisogna pur pensare che ho vissuto per lunghi anni aTorino in un ambiente in cui l'elemento illuminista, e l'elemento di narrativa erano molto ben legati insieme, perché sono stato grande amico di Italo Calvino e perciò i complimenti che lei mi fa dovrei passarli a Italo Calvino! Mi ha colpito in un 'intervista che lei ha rilasciato a Corrado Stajano sul "Corriere della Sera" la sua risposta alla domanda "cosa le sta più a cuore?" Lei ha risposto: la coscienza di aver fallito nei nostri compiti. Quali compiti, e in che campi? È una cosa che mi sta a cuore nel senso che pesa sul mio cuore. È la decadenza, la difficoltà di aver senso che attraversa l'università italiana, e non solo italiana anche se io posso occuparmi solo di quella del mio paese. Ebbene, questo per me pesa e continua a pesare fortemente. Ora sono in pensione, non sono neanche più membro dell'università e posso dunque giudicarla: è uno strumento che non è possibile abolire né svillaneggiare, ma che bisogna riformare. E certamente abbiamo fatto troppo poco da questo punto di vista. Prendiamo per esempio l'insegnamento 67
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