Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

INCONTRI/VENTURI un'idea chiarissima, oscura ma chiarissima, del mondo sovietico sotto Stalin. Un'idea chiara per lei ma che per molti e per molti anni ancora non lo fu affatto, e che si è cercato quantomeno di occultare. Anche questo si può ridurre a un rimprovero giustificato. Perché uscendo dalla Russia invece di scrivere un libro sul populismo russo non ho scritto un libro sull'epoca di Stalin? Ci sono forse tante ragioni, ma la ragione fondamentale è che gli intellettuali e in particolare gli storici hanno bisogno di documenti. Io ho vissuto nell'Unione Sovietica in un periodo in cui a una persona come me, che era addetto culturale a Mosca, non hanno mai fatto vedere neppure un catalogo, non dico il catalogo, ma neppure un catalogo della biblioteca Lenin. Ho dovuto ricostruire i titoli attraverso le citazioni ecc. E giudicare ... Il mio giudizio morale e politico nel '50 era assoluto: quella era una delle peggiori dittature che abbia afflitto l'umanità; ma spiegare storicamente il perché, cercare di capire il perché ... questo non ho avuto la capacità, il coraggio, ma forse soprattutto la mancanza di materiale per poterlo fare. Però ai comunisti che arrivavano a Mosca in quegli anni, quelli del Partito comunista italiano, lei cercava di indicare qualcosa. Ho cercato di farlo con quelli che sono stati a sentire, non molti ma alcuni ce n'erano. Ho cercato di far loro vedere le cose. Bastava passeggiare per Mosca, dico in quell'epoca, e si capiva se esistevano o no i campi di concentramento. Bastava prendere un metrò. Non c'era che andare a una stazione e già si vedeva un campo di concentramento, grossissimo. Perciò è impossibile neppur pensare a questi problemi. Disgraziatamente il destino non ha voluto che io fossi un Solzenicyn, e Solzenicyn è il grande esempio di cosa vuol dire letteratura, cosa significa il saper dire, il saper sentire. Nel '48 uscì un libro di Nikolaevskij sopra i gulag, sopra l'organizzaziòne del lavoro forzato nell'Urss. Lo comprai, lo misi sotto braccio (avevo un passaporto diplomatico), lo portai a Mosca, lo leggemmo con Brosio accuratamente. C'erano le stesse cifre che ci sono oggi, forse addirittura un po' più ottimistiche, parlava di 25 milioni e non di 30 ma raccontava come il lavoro era organizzato ecc. Si sapeva benissimo come sapessero queste cose le persone responsabili, l'ambasciatore italiano, l'addetto culturale. Le sapevano come le sapeva Solzenicyn. Con la sua scrittura, con il suo genio, con la sua forza d'animo eccezionale Solzenicyn è stato capace di far conoscere questo, di imprimere al nome gulag il segno dell'eternità. Se si pensa a qualche anno prima, agli anni Trenta o durante la guerra, anche allora si sapeva e non si voleva crederci dell'esistenza dei campi di sterminio nazisti. È la stessa cosa. Questi sono i problemi veramente tragici della nostra epoca. Non c'è dubbio! Professor Venturi, torniamo al suo Settecento. Che definizione darebbe oggi dell 'ancien régime, e questa definizione lepiace? Sì, mi piace, perché credo che effettivamente bisogna vedere 66 il movimento del Settecento come la crisi di qualche cosa. Ma la crisi di che cosa? Dell'ancien régime. Dobbiamo parlare diancien régime nel senso di eredità, di una lontana e importante eredità che entra in crisi verso la metà del Settecento, una crisi che si sviluppa sempre più profondamente. La parola ancien régime, malgrado il suono tipicamente francese, ha senza dubbio il grande vantaggio di poter essere applicata a tutta l'Europa. L' ancien régime esiste in Inghilterra, un'Inghilterra che è stata incapace di resistere ai coloni americani è tipicamente un mondo dell'ancien régime. Sarebbe lunghissimo discutere con lei sul Setteç_entoriformatore, sui sei volumi che raccolgono i suoi studi in proposito! Ma qual è il personaggio del Settecento, soprattutto di quello italiano, che l'ha emozionata di più, che lei ama di più? Mi permetterei di dividere le cose. Che amo di più è una cosa, che credo particolarmente importante è un'altra. Generalmente gli storici cercano di unire le due cose e non vorrei perciò definirle troppo. Tuttavia, se dovessi dire la persona che mi è più simpatica, beh, è... Carlo Antonio Pilati. Un uomo che a Coira crea il primo centro dell'attività di diffusione di idee politiche, sociali ecc., nel 1766; che pubblica là nel 1770 l'edizione definitiva del libro che ha dato il nome a quell'epoca, di "una riforma d'Italia". È un problema eterno per l'Italia, non vorrei esagerare per il futuro ma temo che anche i nostri successori avranno da porsi il problema di una riforma, e certamente Pilati aveva il senso della riforma, la volontà di riforma in maniera eccezionalmente viva. E Beccaria? Naturalmente se dovessi dire quella persona ha'avuto maggiore importanza filosofica, per parlare alla settecentesca, è certamente Beccaria. È in questa figura che si vede cosa significa unire coraggio, morale e visione razionale. L'idea di abolire la pena di morte, di togliere allo stato il diritto di uccidere è la cosa che ha trasformato e che non può non trasformare la visione della società umana. Naturalmente non è che sia stato lui a inventare queste cose, queste cose non si inventano mai, ma è il fatto di averlo affermato come lui ha portato al cambiamento. C'è poi quel senso della legge, il senso della legge necessaria che deve pesare sugli uomini. Beccaria non era uno che disprezzava la legge, tutt'altro, ma sapeva bene quanto tremore interno, quanta difficoltà ci sia ad applicarla. Si fa presto a dire una società fondata sulle leggi, Beccaria ha fatto vedere anche come questo è necessario ma anche così difficile ... Nel suo Settecento lei ha sondato, ha fatto ricerche su un territorio vastissimo, enorme. Dentro questa grande idea, questo grande spazio - lei ha gà citato Pilati - che posto ha la Svizzera? La Svizzera può sembrare nel Settecento parallela all'Italia. Anche l'Italia è un museo straordinariamente complesso e complicato. Il mondo siciliano e il mondo della Val d'Aosta non a,vevano molto in comune. Bisognerebbe vedere i vari pezzi anche nel caso della Svizzera. Certamente il mondo dei Grigioni ha mantenuto una speranza, un desiderio, o se si preferisce

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