Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

4/92 In questo numero, fra gli altri saggi: Ralf Dahrendorf: Diario europeo Luigi Spaventa: Il disastro della finanza pubblica Alfonso Berardinelli: Classe media e fine del mondo E con interventi di: Emrio Pintacuda: Il nemico riformista Giamri Riotta: La fine della politica . E un ampio dossier sulla riforma elettorale, con articoli di: Paolo Flores d'Arcais, Mario Segni, Antonio Maccanico, Augusto Barbera, Andrea Manzella, Leopoldo Elia. LAPRIMA AGENZIA SUI PROBLEMI DELL'EMARGINAZIONE DELLAPACEDELL'AMBIENTE Da nove anni Aspe esce quindicinalmente edita dal Gruppo Abele di Torino. NOTIZIE CHE PUNGONO ◊ Inchieste, opinioni, fatti e commenti, documenti, esperienze, flash, inserti speciali ◊ Banche dati in collegamento con numerosi centri studi ◊ Aspeuropa: inserto mensile per il dialogo e il confronto tra istituzioni e realtà di base europee 58 ◊ Aspemigrazioni: agenzia mensile sugli immigrati, i rifugiati e le minoranze etniche SAGGI/ ANDERSON era stato direttamente coinvolto nella propaganda e nella repressione promosse dalla Quarta Repubblica in Nordafrica. Debray dichiara inaccettabile la partecipazione della Francia ali' attacco in lrak: la linea di condotta che la nazione deve seguire è quella opposta tradizionalmente rappresentata da De Gaulle. Debray, per inciso, aveva appena dedicato al generale un'opera programmatica,À demainDe Gaulle, in cui auspicava che la sinistra francese si ispirasse a lui per l'attività politica contemporanea. Secondo Debray, De Gaulle fu l'uomo di stato che meglio comprese - contrariamente alle convinzioni liberali e marxiste - che i principali agenti della storia moderna non sono né le idee, né le classi, bensì le nazioni. Questo non era un nazionalismo irrazionale o dalle vedute troppo ristrette. De Gaulle evitava di parlare di sciovinismo francese, non parlava mai di radici o di corpi estranei. "Il termine 'identità' nazionale gli era sconosciuto". Il generale non credeva in una essenza immutabile della Francia: era un esistenzialista della nazione. L'insegnamento della sua impresa, dice Debray, è nella persistente passione nazionale come forza motrice della vita politica, anche nel mondo del consumismo altamente tecnologico e dell'integrazione internazionale che oggi caratterizza il capitalismo europeo. Il progresso tecnologico non significa una mentalità libera da sogni. Nelle società postcomuniste o postcoloniali l'avvento dell'era moderna scatena, come è prevedibile, per reazione un totale scardinamento dell'arcaico: le code a Mosca sono le stesse per Mac Donald e per San Basilio. In condizioni postindustriali, la stessa dialettica può apparire più favorevole. Sgravata dalle antiche necessità materiali, la popolazione cercherà soprattutto di ritrovare se stessa in nuove forme di cultura nazionale rese ancora più preziose dal contesto più confortevole che le racchiude. Più la Comunità si fa europea, più i suoi membri vorranno distinguersi, per inventiva e consapevolezza, come nazioni di diritto. Le varie analisi di questi scrittori sottolineano nella razionalizzazione capitalistica e nel suo malcontento un'ambiguità di fondo che solo gli eventi potranno risolvere. Se le preoccupazioni riguardanti l'identità nazionale sono il prodotto della disgregazione materiale di gran parte di ciò che un tempo era associato al carattere nazionale, l'ulteriore progresso di una modernità cosmopolita sarà destinato a dissolverle oppure a intensificarle? Nella recente rassegna del loro sviluppo dal 1750 in poi, Eric Hobsbawn giunge alla conclusione che il gufo di Minerva ha già sorvolato nazioni e nazionalismi. Nei cieli dell'URSS e dell'Europa orientale qualcuno è portato a vedere la procellaria, altri l'albatro. Le due ipotesi contrapposte, in ogni caso, saranno messe alla prova in due enormi teatri sperimentali: la disintegrazione dell'ex mondo sovietico, e l'integrazione della metà occidentale europea. Il capitalismo e lo stato-nazione sono più o meno contemporanei. Un tempo ci fu chi era convinto che sarebbero tramontati insieme, o che il secondo sarebbe sopravvissuto al primo. Ora piuttosto ci si chiede 6e il capitalismo non sia da considerarsi definitivo e lo stato-nazione invece destinato a divenire solo un fatto nominale. La risposta a queste domande non è necessariamente uguale, ma esse costituiscono le grandi incognite della politica dellafin du siècle. Copyright Perry Anderson, 1991. Questo testo è apparso sulla "London Review of Books", maggio 1991.

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