Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

SAGGI/ ANDIRSON lavoro, il grado di urbanizzazione, il profilo demografico, le dimensioni e le funzioni dello stato - ma significativamente distinte come cultura: nessuno confonderebbe il Belgio con il Giappone. Riguardo alla cosiddetta "prospettiva del presente" che Braudel utilizzava per le sue riflessioni storiche, verrebbe da dire che cercava l'identità della Francia nel posto sbagliato. Alla lunga le correnti sotterranee relative alla popolazione e alla produzione presenti nei suoi due volumi avevano infatti finito con il confluire con quelle di altri paesi, e forse è stata conseguenza del fatto che egli non viveva per scrivere di politica e cultura che ha reso le sue risposte meno soggette all'erosione della contemporaneità. Quello di carattere nazionale è un concetto, da un punto di vista intellettuale, ormai caduto in disgrazia. Probabilmente pochi dei nostri lettori interrogati così, su due piedi, dichiarerebbero di crederci ancora, ma quanti, riferendosi a uno straniero o a un amico, in una conversazione qualsiasi si farebbero scrupolo ad usare il solito giudizio: "tipicamente ... "? Non esistono altre generalizzazioni altrettanto insostenibili nella teoria, eppure così inevitabili nella pratica. Già all'epoca dell'Illuminismo il fantasma del pregiudizio cominciò a far parlare di sé. Il primo che se ne occupò, David Hume, introdusse l'argomento intimando che "il volgo ha la tendenza a portare agli estremi ogni genere di carattere nazionale". Questa però non era una buona ragione per negarne l'esistenza. "Gli uomini di buon senso condannano simili giudizi espressi senza discernimento, eppure riconoscono al tempo stesso che ogni nazione presenta una rosa di comportamenti tipici, e che è più facile ritrovare alcune qualità all'interno di una sola popolazione che tra quelle vicine". Lo scopo di Hume era di dimostrare che il carattere nazionale così inteso non era il prodotto di una determinata posizione geografica bensì del mutevole contesto politico, economico e diplomatico: "il tipo di governo, lo sviluppo degli affari pubblici, l'abbondanza o la penuria in cui vive la popolazione, i suoi rapporti con i popoli vicini". Il massimo che era disposto a concedere al fattore climatico era probabilmente la forte inclinazione delle popolazioni nordiche per l'alcol e di quelle del sud per il sesso ("il vino e i liquori scaldano il sangue, mentre il gioviale calore del sole ravviva il fuoco tra i due sessi"). A parte questo è il fattore morale, non quello fisico, che conta. La popolazione inglese è quella che presenta la maggior varietà di temperamenti individuali al mondo, mostrando un "carattere nazionale praticamente nullo, a meno che proprio il suo individualismo non sia interpretato come tale". Questa varietà non ha niente a che vedere con le precarie condizioni climatiche dell'isola (condivise tra l'altro dagli scozzesi, ben più conformisti), essa dipende invece dall'eterogeneità del suo governo (un cocktail di monarchia, aristocrazia e democrazia), dal carattere composito dei suoi governanti (dalla nobiltà alla classe mercantile), dal numero di religioni presenti nel paese (ci sono sette di ogni tipo) e dalla libertà individuale che questo pluralismo ha reso possibile. Se invece del territorio si prendesse in esame il temperamento, la varietà potrebbe essere a buon titolo proclamato il carattere distintivo dell'Inghilterra invece che della Francia. Il carattere adulatorio di queste argomentazioni non passò inosservato allora, come non lo sarebbe oggi. Kant ribatté che 52 proprio quell'ostentato individualismo da parte degli inglesi esprimeva il loro collettivo disprezzo nei confronti degli stranieri, un'arroganza radicata nell'illusorietà della propria autosufficienza. Il carattere, comunque, non era tanto una reale inclinazione quanto un'unità normativa frutto esclusivamente di una coerente condotta morale. "L'uomo di principi ha carattere". Fortunatamente i tedeschi erano noti per il loro buon carattere - un misto di onestà, laboriosità, acume e modestia (con un pizzico di sconveniente deferenza e pedanteria). Un secolo più tardi Nietzsche si elevò un gradino più in alto. A confronto degli inglesi, "un branco di ubriaconi e di scellerati che in passato avevano appreso la morale attraverso il metodismo, e più recentemente tramite l'Esercito della Salvezza", i tedeschi potevano meritarsi la loro parte di sarcasmo ma erano più inafferrabili, più eterogenei, più imprevedibili di qualsiasi altro popolo - in definitiva, la nazione in assoluto più difficile da definire. L'immagine è sorprendentemente calzante. Al di là delle Alpi, Vincenzo Gioberti poteva tesserla non meno abilmente nella sua esposizione sulla Supremazia morale e civile degli italiani. Da principio, nel mondo delle relazioni con la Chiesa Romana e nel regno del pensiero grazie alla,supremazia italiana in campo filosofico, teologico, scientifico, politico, letterario e artistico, la missione civilizzatrice della "nazione madre di tutte le razze" consisteva nel promuovere l'unità del continente: "la varietà dell'Italia l'aveva resa specchio e sintesi dell'Europa". In mezzo a tanti autoincensamenti spicca un'accusa. Leopardi, almeno, era insensibile alla vanità: meditando tristemente sul temperamento dei suoi compatrioti durante la Restaurazione, arrivò alla conclusione che il loro carattere distintivo non era la diversità bensì il conformismo. La loro inesauribile ostentazione di un cinismo immune dalla superstizione medievale, eppure incapace della moderna socievolezza, era il risultato di una storia priva di continuità che intrecciava raffinatezze nefande e arretratezza: gli usi degli italiani avevano più bisogno di riforme che di indulgenza. Queste amare riflessioni furono rese pubbliche solo agli inizi del XX secolo. Nel frattempo, nella nuova era degli armamenti industriali e delle dottrine accademiche, il carattere nazionale era diventato oggetto dei principali trattati tra le potenze rivali. Tre esempi· testimoniano questo cambiamento. In Francia, Alfred Fouillée, collega di Durkheim e socio portavoce dei Solidarist cabinet of the Nineties, pubblicò nel 1902 un Esquisse psychologique des peuples européens, la prima panoramica comprensiva di tutti i temperamenti del continente. Il suo intento patriottico, spiegò, era di dare maggiori informazioni ai francesi riguardo ai popoli vicini, affinché essi non cadessero in loro balia o ne fossero tratti in inganno. Cinque anni più tardi, Otto Bauer pubblicò in Austria l'imponente opera The question of nationalities and social-democracy. Il tema centrale, oggi spesso trascurato, era un'interpretazione teoretica del concetto di carattere nazionale, ritenuta da Kautsky e da altri marxisti un'eresia, mentre secondo Bauer era indispensabile per liberarsi dall'ode, dal feuilleton e dalla taverna, se si vuole veramente combattere il nazionalismo. Questo però non sarebbe mai stato possibile negando le incontestabili caratteristiche proprie di ogni nazione, ma solo cercando di spiegarle razionalmente come altrettanti prodotti della storia, cosa che Bauer tentò di dimostrare

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