Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

SUO, ECCETERA. LEffERE Al GIORNALI Graham Greene a cura di Paolo Bertinetti traduzione di Paola Della Valle Tutti conoscono il Greene narratore, l'autore dei romanzi polizieschi (dove il sostantivo prevale sull'aggettivo) come Missione confidenziale e Unapistola in vendita, dei romanzi "cattolici" come Il potere e la gloria e Il nocciolo della questione, dei romanzi delle dittature come I commedianti e Il console onorario, delle storie straordinarie di uomini ordinari come di In viaggio con la zia e Il nostro agente ali 'Avana. Molti di questi romanzi nacquero dalla sua esperienza di inviato speciale: Greene scelse di andare negli angoli più "caldi" della terra guidato da una lucida tensione morale, stando dalla parte degli oppressi e contro gli oppressori, con i deboli e contro i potenti. E trasferì nei romanzi questa sua conoscenza diretta della realtà, di alcune situazioni chiave della storia contemporanea (le guerre di liberazione nazionale, l'apartheid, le dittature latino-americane), affidando all'opera letteraria ciò che di solito il romanzo moderno trascura, proprio perché lo delega al giornalismo. E questa presenza della realtà del nostro tempo, dei conflitti che l' attraversano e che spesso lo rendono infame, è il motivo non ultimo de li 'interesse che la sua opera narrativa presenta. Come giornalista Greene (nato in Inghilterra nel 1904 e morto a Vevey nel 1991) fu un esempio raro di vero, grande reporter: un giornalista che come il Ftower dell'Americano tranquillo non si limitava a frequentare le conferenze stampa dei portavoce militari ma che voleva andare sul posto, che voleva vedere con i suoi occhi per riportare ciò di cui era stato testimone e non ciò che veniva cucinato nelle retrovie. Greene era un giornalista che non si faceva illusioni sulla cialtroneria, sull'approssimazione, sulla malafede della maggior parte del mondo giornalistico. E quando, da vero inglese, scriveva le sue "lettere al direttore" dei grandi giornali con piglio ironicamente rispettoso, sapeva bene di contrapporre la sua apparente ingenuità (quella del bambino che dice che il re è nudo) alla menzogna delle versioni ufficiali. A volte il falso nasceva non dalla malafede, bensì dall'incompetenza. Ma anche questa gli sembrava colpa non meno grave (come dimostrano alcune sue gustosissime lettere sugli sbagli contenuti in servizi del tutto neutri, come l'elenco delle temperature registrate nelle varie capitali), perché sapeva che sugli argomenti d'importanza cruciale l'errore sarebbe sempre stato a vantaggio del potere. Le "lettere al direttore" che Greene scrisse nel corso degli anni sono state· raccolte in un volume pubblicato da Reinhart Books, Yours, etc. Letters to the Press. La scelta che ne offriamo qui ci mostra una versione "aggressiva" di Greene, perfettamente complementare a quella dimessa che nei romanzi affidava la denuncia ai rassegnati e ai perdenti: sono le facce diverse, perché diversi sono gli strumenti e le forme, della stessa tensione civile e morale che lo animava e che gli faceva scegliere di stare con i popoli e non con i governanti, con le vittime e contro gli aguzzini, con gli spiriti liberi e contro gli Stati (in una conferenza Greene ebbe a dire che "il vero dovere" degli scrittori "nei confronti della società è essere un granello che si caccia nell'ingranaggio della macchina dello Stato"). Alcune di queste lettere, come quelle su Haiti e su Cuba, si riferiscono a situazioni politiche che fanno da sfondo ai suoi romanzi. Altre toccano il tema del rispetto della libertà e della dignità umana. Altre ancora sono un finissimo sberleffo alla protervia e ali' ipocrisia del potere costituito. Tutte, in modi diversi, ci mostrano la nobiltà, la coerenza, il coraggio intellettuale di un uomo che mai si inchinava al potere, che mai ne avallava i soprusi (magari con un silenzio complice e vile); ma che prendeva la parola per chiedere che fosse detta la verità (e attraverso la verità che fosse resa giustizia), per dichiarare il proprio sostegno a chi veniva perseguitato, per denunciare l'ipocrisia con cui il perbenismo borghese maschera la sua vendetta di classe. · Forse alcune di queste lettere, o parte di esse, ci sembreranno magari inficiate dalla partigianeria di Greene; e almeno in un caso la storia ha 42 dato torto alla sua interpretazione dei fatti. Tuttavia anche in questo caso, e a maggior ragione negli altri, la posizione di Greene resta però esemplare per la sua capacità di schierarsi, di scendere in campo per affermare la propria verità. Queste lettere, dopo anni in cui, almeno da noi, l'indifferenza è stata elevata a virtù, ci sembrano un insegnamento salutare: la testimonianza di un grande scrittore che seppe soprattutto essere un uomo libero. Le note in fondo alle lettere sono del curatore del libro, Christopher Hawtree. A "Le Figaro Littéraire", 14 agosto 1954 A proposito dei funerali di Colette: A Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo di Parigi Eminenza, Coloro che amano Colette e i suoi libri si sono ritrovati oggi per renderle omaggio con una cerimonia che ai cattolici è dovuta sembrare stranamente monca. Noi siamo abituati a pregare per i nostri morti. Nella nostra fede i morti non vengono mai abbandonati. Tutti coloro che sono stati battezzati nella religione cattolica hanno il diritto d'essere accompagnati da un sacerdote fino alla tomba. Questo diritto non possiamo perderlo - al modo in cui si perde la cittadinanza di una patria provvisoria - a causa di un qualche delitto o di un qualche reato, in quanto nessun essere umano è in grado né di giudicarne un altro, né di decidere dove cominciano le sue colpe e dove finiscono i suoi meriti. Ma oggi, in base alla Vostra decisione, nessun sacerdote ha pubblicamente pronunciato una preghiera ai funerali di Colette. Le Vostre ragioni sono note a noi tutti. Ma esse sarebbero state invocate se Colette fosse stata meno famosa? Dimenticate la grande scrittrice e ricordatevi di una vecchia signora di ottant' anni che, quando Vostra Eminenza non aveva ancora ricevuto gli ordini, fece uno sfortunato matrimonio non per sua colpa (a meno che l'innocenza non sia una colpa) e·che in seguito violò la legge della Chiesa con un secondo e un terzo matrimonio civile. Due matrimoni civili sono davvero così imperdonabili? La vita di alcuni nostri santi ci offre degli esempi peggiori. Certo, essi si pentirono.· Ma pentirsi significa ripensare la propria vita; e nessuno può dire ciò che accade negli spiriti abituati alla lucidità quando si trovano di fronte il fatto imminente della morte. Voi

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