Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

CONFRONTI ragioni politiche (Biermann, Fuchs e altri) accusa Anderson per il suo avanguardismo estetico che essi ritengono apolitico e privo di valore letterario (Biermann ha denominato Papenfuss-Gorek un nano da giardino) e a cui contrappongono, da un lato, il proprio concetto letterario un poco démodé modellato su figure quali Heine o Brecht e, dall'altro, naturalmente i propri meriti dovuti alla resistenza e alle sofferenze che hanno subito in quanto vittime (meriti e sofferenze che non intendo qui sminuire). In questo essi si trovano concordi con i "rivoluzionari" del 1989. Baerbel Bohley, la "pasionaria" della Rivoluzione, per esempio, si è espressa con dure parole: "chiunque non si disperi del fatto che pacifici padri di famiglia fossero responsabili per Auchwitz e che letterati si trasformino in delatori, non è in grado di disperarsi". Una politica del confronto e dell'antagonismo si leva contro una strategia di rifiuto apolitico. Al centro della questione si trovano la leggerezza del circolo di Prenzlauer Berg e la sua postrnodernità, il tentativo di sotterrare il discorso dominante tramite una forma di non riconoscimento, il tentativo dunque di spiegare il fenomeno della Stasi come un fenomeno di simulazione, la Stasi come una macchina impazzita che corre a vuoto e produce del surrealismo involontario. Drawert, poeta di Prenzlauer Berg, usa parole simili per descrivere la Stasi/potere in una lettera aperta a Rainer Schedlinski dopo la sua confessione: "Come abbiamo detto, non si può abbandonare il potere, se non se ne abbandonano la lingua e i temi. Il potere di criticare è già una forma nascosta di approvazione che rende il potere reale e ne prolunga l'esistenza". Così pure l'ex membro del gruppo Prenzlauer Berg Durs Gruenbein: "Il confronto era la logica del sistema, la negazione è ciò che lo ha distrutto". Il circolo di Prenzlauer Berg è anch'esso diviso: una forma di lealtà che lascia dubitare nei confronti di Anderson, come è il caso di Papenfuss-Gorek si intreccia con prese di distanza nette, quali Foto di Eligio Paoni (Agenzia Contrasto). quelle di Drawert, Gruenbein o Jan Faktor. L'unico punto su cui si trovano tutti d'accordo è la necessità di difendere l'autenticità dell'attività artistica del gruppo e della rivolta personale nello stile di vita durante gli anni trascorsi nella Rdt e quella di contestare con fervore l'accusa di essere stati "marionette nelle mani della Stasi". Durs Gruenbein, giovane artista senz'altro ispirato da un atteggiamento postmoderno, in merito alla questione del rapporto tra arte e morale giunge ad un estremismo interessante, ma del tutto discutibile: "Tracciare la sottile linea di confine tra l'opportunismo del potere e l'autonomia dell'arte è compito della pedanteria artistica ogni qual volta essa si trovi in situazioni senza vie d'uscita ... Da preservare è una certa linea di condotta anche se, ironicamente, si tratta di quella errata, come nel caso di Erza Pound o di Celine". Senz'altro questa rappresenta la mossa più ardita nel dibattito, il tentativo di salvataggio dell'autonomia e dell'innocenza dell'arte tramite l'immoralità politica di alcuni artisti. Per riassumere si può dire che l'evidente scissione nelle diverse posizioni nei confronti del "tradimento" dei letterati è dettata o da una strategia di confronto politico ormai fuori moda che rimane inchiodata sui lemuri dell'ormai tramontato realsocialismo, o dall'impegno della fazione neoconservatrice di estetizzare nuovamente la letteratura. La fascia che comprende tra gli altri alcuni tra i più noti intellettuali di sinistra all'Est e all'Ovest ha invece assunto una posizione titubante. Finora detentori indiscussi del monopolio sulle argomentazioni morali, a questo punto preferiscono non. essere poi così certi della situazione: alcuni ritengono che l'apertura degli archivi della Stasi possa causare una "guerra civile" (Christoph Hein) o, come teme Giinter Grass, che con il dibattito 35

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