Linea d'ombra - anno X - n. 75 - ottobre 1992

IL CONTESTO un amico e apre un negozietto. Gli affari gli vanno per il meglio, sa che è la sua strada. Non mancano gli incidenti di percorso e c'è di mezzo una quasi bancarotta nell' 84. La breve biografia che si è fatto stampare dice che allora avrebbe voluto bruciarsi vivo a Tienanmen. La sua non la sentiva solo come una sconfitta personale: ma come una sconfitta per la causa dell'impresa privata in Cina. Poi prende il coraggio a due mani e ci ridà dentro. All'inizio dell'89 la sua società è registrata sull'isola a statuto speciale di Hainan, e questo gli permette molte più libertà di movimento. Non chiede riforme politiche, non pensa si debba uscire dal socialismo. Del resto, d'accordo con altri teorici cinesi, Mu pensa che le società per azioni, a responsabilità limitata hanno segnato la fine della proprietà privata classica, così anche in Cina il sistema dei contratti sta segnando la fine della proprietà statale. "Non importa come definisci legalmente il rapporto tra il contadino e la terra qui, fatto sta che oggi un contadino ha un pezzo di terra, e non lo ridarà volentieri allo stato. E questo significa che non si potrà tornare indietro da questa strada, si può solo andare avanti". Affermava sicuro allora ... E non temeva difficoltà, problemi politici: "Qualcuno può metterci il bastone fra le ruote, ma ormai non ci possono più strangolare, oggi la legge ci salvaguarda. Quando ho cominciato, come tutti i privati, ero illegale. Adesso la questione è stata superata, in realtà anche molto in fretta. Il più grande problema oggi è l'inefficienza del lavoro, c'è una vera cultura della pigrizia in questo paese. Quelli che vengono qui e hanno lavorato per lo stato, arri vano tardi, poi leggono il giornale, vanno in mensa mezz'ora prima, escono dall'ufficio un'ora prima. Poi magari, come oggi, uno non viene perché la moglie sta male. Questo è possibile da voi in occidente? Qui se io lo multo, per esempio, tutti pensano 'ma come, la moglie sta male e il padrone lo multa'. Però non va, perché così si va a fallimento. Ma questa è anche una cultura difficile da cambiare. Ci vuole tempo, forse qualche decina di anni. È il problema più grosso della Cina adesso. Tutti vedono gli occidentali e vogliono godere dei loro prodotti, ma non sanno come si lavora in occidente, quante decine di anni di dura organizzazione del lavoro ci sono dietro a quel benessere". E lui dà l'esempio, come un monaco buddista dei romanzi medievali, con le croste in testa, cerca di dare l'illuminazione. Lavora dieci, dodici ore al giorno, raccontano i suoi impiegati con le traveggole. Se deve viaggiare non importa se non trova posto in aereo o nelle cuccette; con tutti i suoi soldi prende un biglietto all'in piedi per un viaggio magari di 48 ore. E conduce una vita spartana. Non ha una macchina sua, il suo vestito non è proprio all'ultima moda. Non va a mangiare da "Maxim" come tanti di quelli che hanno fatto soldi vendendo vestiti sulle bancarelle. Lui i quattrini preferisce investirli in cooperazioni, piccole fabbriche dove lui mette il capitale e provvede a vendere il prodotto finito e gli altri pensano alla produzione. In questo modo lavorano indirettamente per lui mille persone, mentre nell'ufficio sono 70 con altri 30 impiegati sparsi per tutta la Cina. Una organizzazione enorme per questo paese, cresciuta in pochissimo tempo. Oggi la sua sede è dentro una caserma dell'esercito, gli hanno affittato una palazzina nuova nuova con la carta da parati al muro, un lusso per Pechino, e lui collabora con i soldati. Si tratta di un rapporto solido. Dopo Tienanmen gli affari gli vanno male, niente commesse, niente soldi, molti suoi impiegati fuggono come i topi. Ma non ci sono in realtà grandi difficoltà per lui. Dopo qualche mese le cose ricominciano a girare. Lui è con i soldati dopotutto, la parte vincente di piazza Tienanmen. 20 Si trasferisce in un hotel, sempre militare, e per il suo ufficio sceglie quello che doveva essere una volta un quartier generale. Gli impiegati in tre anni si triplicano, nel '92 ne ha 300 e a luglio ritorna sulla stampa di tutto il mondo per aver concluso il più grande affare da privato in Cina: ha scambiato 500 vagoni carichi di beni di consumo cinese per quattro aerei passeggeri TU-154M russi. Per il futuro ha in mente di piazzare in Russia i prodotti della decrepita industria nazionale, in Cina non li vuole nessuno ma al nord ... La stessa cosa in fondo faceva la Cina negli anni '70 con le forniture ai governi amici rivoluzionari dell' Africa, riempiti di ferrovie e telefoni che a Pechino non voleva nessuno. Mu sembra un imprenditore illuminista, che cerca di cambiare il mondo con il suo spirito di impresa. Ma la maggior parte degli altri imprenditori non sono così. Al di sopra di Mu Jaoban ci sono le grandi imprese statali gestite spesso dai figli degli alti dirigenti, il figlio di Deng Xiaoping, il figlio di Chen Yun, il figlio di Wang Zhen, il figlio di Zhao Ziyang. Loro possono avere contatti con l'estero sicuri che le loro parentele potenti apriranno le porte per i permessi tanto difficili da ottenere altrimenti. Loro sono una classe che vede con favore l'apertura ma che cresce proprio nella mancanza di regole, se ci fossero le regole gli appoggi non servirebbero a nulla e sarebbero solo come tanti altri, più potenti, ma forse non più scaltri. Quindi per questi figli l'apertura non deve minacciare il potere politico che li garantisce. Sono loro che evadono ogni nuovo regolamento perché sono più potenti dei governatori delle banche e dei vari parlamentari. "Wang Jun, il figlio di Wang Zhen, è quello che conta di più al Citic (una delle grandi corporation statali cinesi) con una telefonata riesce a fare cose che gli altri si sognano" mi dicevano molti dirigenti di medio livello del Citic. "Moltissimi poi in queste corporation gestiscono gli affari in modo completamente privato, costituiscono una propria ditta a cui loro, come dirigenti della grande corporation o danwei, danno a contratto un lavoro. Versano alla danwei una parte degli incassi, il 1 O, 20 per cento e si tengono il resto" mi racconta come se fosse la cosa più naturale del mondo Hou Wailu, un piccolo imprenditore con l'aria sognante. Questi fenomeni vanno al di là del doppio mercato, sono indice dei legami profondi tra nuovo potere economico e vecchi leader. A favore di un mercato regolato e trasparente c'erano solo gli intellettuali. Anche i venditori clivestiti dei mercatini crescevano nel torbido. Che ci facev~ il rigoroso Mu Jaoban in una caserma dell'esercito? che ravori chiedeva e scambiava? Come gestiva i rapporti con i suoi ..mille dipendenti affiliati"? Chi lo copriva? E in cambio di cosa? Niente questioni morali, per carità è solo questione di accumulazione originaria: per crescere gli imprenditori, anche quelli senza i papà potenti, dovevano passare sotto le forche delle prebende ai gerarchi di stato. Così gli imprenditori, anche quelli coperti da protettori politici, erano interessati a un mercato più svincolato dalle dirette esigenze politiche, anche dei propri protettori, ma che non tagliasse il cordone ombelicale con loro. In termini concreti volevano più garanzie legali di la~oro e iniziativa, magari anche una legge sulla divisione delle competenze fra stato e imprese, ma non volevano una divisione formale dei poteri e delle competenze, con un controllo regolare dello stato sulle loro attività, tipo il modello occidentale. Un controllo effettivo delle attività avrebbe rotto la protezione ali' ombra della quale questi imprenditori erano cresciuti. Così imprenditori e burocrati apparivano a tutti gli effetti due ruote della stessa bicicletta.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==