IL CONTESTO pensino che il velo sia necessariamente parte di una tradizione culturale, infatti il velo non fa parte della tradizione culturale egiziana. Il velo è diventato un terreno di scontro. Terreno di scontro non tra la tradizione egiziana e il modernismo egiziano, bensì tra l'Occidente e l'Egitto, o se preferite tra l'Occidente e il resto del mondo. Ciò che vi è di più triste in questa situazione è che le principali vittime di questa battaglia culturale sono le donne, ed è stato così durante tutto il secolo scorso. Nel XIX secolo non c'è stato movimento, movimento nazionalista, che non abbia fatto delle donne le portatrici dell'autenticità. Intendo dire che le donne sono diventate simbolo di autenticità e l'autenticità è stata imposta loro, che lo volessero o meno. Ed è tuttora così. Ci troviamo dunque di fronte a una reciproca invenzione. Da un lato vediamo un Occidente che professa un'ideologia liberale lontanissima dalla realtà attuale dell'Occidente, come ben sappiamo. Sappiamo tutti che l'ideologia liberale taglia corto, ad esempio con i Neri in America, gli Irlandesi nel Regno Unito, e in molte circostanze con le donne, e spesso con i bambini. Dall'altro lato abbiamo un'autenticità inventata che distrugge, di fatto, tutto ciò che è autentico. Quel tipo di autenticità che dice che per una donna egiziana è autentico indossare il velo è assolutamente non autentica, significa inventare un'autenticità che non esisteva. Ciò che mi sembra davvero deprimente, o forse deprimente non è la parola giusta, sarebbe meglio dire spaventoso, è il modo in cui l'ideologia liberale invoca se stessa in situazioni di guerra. Certo ricorderete che gli anni Ottanta sono stati caratterizzati da una serie di guerre punitive. Cominciarono con la guerra delle Falklands e come sappiamo la motivazione di tale guerra fu per gli Inglesi quella di distruggere una dittatura. Si trattava di una dialettica tra IPERBOREA DAL NORD LA LUCE ThorkildHansen KnutHamsun ARABIAFELIX SOGNATORI pp.400-L. 32.000 pp. 132-L. 18.000 Perchél'Arabiasi Ineditoper l'Italia chiamavaFelice? un raroHamsuna Nel '700 la prima lietofine.Fantasiospedizionescienti- so, paradossale, ficadelNordparte imprevedibielesoper il lontanoSud: gnatorecometuttii setedi conoscenza suoi personaggi, o nostalgiadi un per unavoltaOve mitico paese che Rolandsenè anche portail nomedella il'ERR<arA vincente. felicità? LarsGustafsson Per Qloy EnquiM PerOlovEnquist ILPOMERIGGIO LAPARTENZA DIUN LAPARTENZA DEIMUSICANTI PIASTRELLISTA DE[MUSICANTI pp.376-L. 28.000 pp. 176-L. 20.000 LasagadelsocialiL'ultimoromanzo smo svedese: un dell'autoredi Mor- romanzo corale te di unapù:ultore: nell'aspra natura la metaforicagior- dell'estremonord. natadi un uomoin Il travagliatsoorgeunacasamisteriosa redi un'ideanuova che somigliaalla nelprimodecennio l~T:A. Vita. ' l P~llllOR,L-\ delsecolo. Via Palestro, 22 - 20121 Milano - Tel. (02) 781458 16 tirannia e libertà: noi sconfiggiamo la dittatura, noi portiamo la libertà. Panama - fu ancora un trionfo assoluto della visione naipauliana: noi sconfiggiamo la dittatura, al suo posto portiamo la libertà. Poi naturalmente ci fu Grenada - tutto molto simile. E infine la guerra contro l' Irak, la guerra del Golfo. Se pensate agli innumerevoli discorsi che hanno accompagnato questa guerra, si potrebbe dire che ci sono stati discorsi razionalisti - la questione del petrolio, la questione degli armamenti, in ultima analisi una questione di interessi - e discorsi sulla tirannia, la corruzione, la perfidia nei rapporti tra i popoli arabi. Sull'altro piatto della bilancia, invece, c'era un miraggio di libertà, il Kuwait cominciò a rappresentare la libertà, il ritorno del sovrano del Kuwait, un simbolo di libertà alquanto improbabile. La retorica della libertà. Anèhe se potremmo dire che la libertà è il fardello retorico dell'ideologia liberale rispetto all'Oriente, sappiamo che in realtà è un fardello assai più antico. Recentemente, leggendo I Lusiadi di Camoes, il poeta portoghese seicentesco, una cosa mi ha colpito profondamente. Il re del Portogallo dice molto esplicitamente a Vasco Da Gama: "Devi andare al di là dell'oceano per portare la libertà, la liberazione dai Mori". In un certo senso è una retorica che risale ancora più indietro, all'epoca delle Crociate. E non credo di esagerare dicendo che quando l'Occidente parla di libertà dovremmo tutti diffidare, qualcosa di terribile sta per accadere! Voglio limitarmi a due ultime considerazione. Niente di più che semplici considerazioni. La prima: in quale misura è possibile fare di una pratica sociale accettabile la base di confronto tra culture? Credo che sia un problema da affrontare. Come reagiremmo, rovesciando le parti, se l'Irak dicesse, "Dobbiamo invadere l'Occidente perché fa violenza ai bambini", oppure "Dobbiamo invadere l'Occidente perché in Olanda ci sono troppi divorzi"? È un'ipotesi del tutto plausibile, quantomeno se tenete conto del tipo di discorso che si fa da una parte, e il tipo di discorso che si fa dall'altra - per quanto possa sembrarvi ridicolo, è proprio questo il tipo di discorso. E naturalmente, nella sostanza, non è una questione di liberalismo, né di diritti. In ultima analisi diventa un discorso di potere. Alla fine, chi ha più potere invade. Chi ha più potere vince, sconfigge l'altro. È dunque evidente che questa questione non può essere risolta. Ho l'impressione che ci troviamo davvero a una svolta cruciale per quanto riguarda la cultura, oggi la cultura è una cultura globale proprio nel senso che è complice dell'invenzione di differenze, dell'invenzione di alterità mai esistite prima. In molti casi, oggi, quando cerchi di dare un volto all'alterità, quando cerchi di capire l'intera questione dell'alterità, quali esempi puoi citare? Ogni volta ti ritrovi davanti a un'alterità nata dal contatto causato proprio dalla globalizzazione della cultura. Allora la prima domanda che dobbiamo porci è questa: nella situazione attuale quale alterità è possibile? Ovviamente è l'unica domanda che dobbiamo porci. È possibile oggi l'alterità? Me lo chiedo davvero. Temo infatti che non esista neppure la possibilità. Ecco perché credo che siamo giunti globalmente a una svolta cruciale nella cultura. È diventata troppo importante. In un contesto globale dobbiamo smettere di porre la questione delra differenza in termini globali, perché più la mettiamo in questi termini più le questioni diventano distruttive. Il che non può che portare a un infinito regresso. Dobbiamo piuttosto concentrarci - e so che è la cosa più noiosa che uno possa dire - su questioni noiose, il che significa creare istituzioni che creino la possibilità di far sopravvivere le differenze, affinché la differenza sia davvero possibile.
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