Foto di Marco Bruzzo (Agenzia Contrasto). Dico questo perché io amo viaggiare e per fortuna ho potuto farlo molto, e negli ultimi due anni, o forse tre o quattro, è stato molto interessante per me interrogare i giovani occidentali che mi è capitato di incontrare in India, in Egitto e in Medio Oriente per capire come giudicano quei paesi. E naturalmente per loro non c'è alcun mistero. Il mistero non esiste. O meglio, è un'altra storia. Fondamentalmente condividono il punto di vista di Naipaul, anche se probabilmente non sarebbero d'accordo se si dicesse loro che hanno una visione naipauliana di tali luoghi. Ma sostanzialmente è così, la loro visione è la stessa di Naipaul. Ciò che mi colpisce profondamente è che la negatività del punto di vista dei giovani occidentali in viaggio in India o inMedio Oriente non mi sorprende più di tanto perché ... diciamo che è per una ragione curiosa. Infatti io sono convinto che la distanza tra quello che si può chiamare Primo Mondo, mondo sviluppato, e il mondo sottosviluppato sia oggi maggiore di quanto sia mai stata in passato. Sappiamo benissimo che nel XV secolo, quando Vasco Da Gama si mise alla ricerca di una nuova rotta per l'India, non era facile stabilire quale parte del mondo fosse più sviluppata, più fiorente. E penso che ciò fosse ancora parzialmente vero nel XIX secolo e anche più tardi, negli anni Quaranta di questo secolo. Sappiamo che nel 1939 c'era un gran povertà in Europa. E che alcune convinzioni, ad esempio l'idea del mondo in Europa, e l'idea dell'Europa in Asia, non erano molto diverse. Certo, c'erano molte differenze, differenza di potere, di esercizio del potere, ma sotto molti punti di vista l'Asia non era un altro pianeta. E se IL CONTISTO prendiamo la scienza negli anni Venti e Trenta, c'era molta buona ricerca scientifica in Asia, in India, per esempio. Ma adesso tutto ciò non si vede. Dunque si ha davvero l'impressione che la distanza tra l' Occidente e il resto del mondo sia maggiore di quanto sia mai stata prima, maggiore che nel XIX secolo, maggiore che in tutta la storia dell'umanità. Ecco perché mi preme sottolineare un bizzarro paradosso: nel nostro universo postcoloniale, le tre cose che ho messo in luce prima parlando della visione naipauliana del mondo asiatico, ovvero tirannia, condizione delle donne e sfruttamento dell'ambiente - che potremmo anche definire questione dell'uso della tecnologia - sono ancora quelle che costituivano la visione del1'Asia che ·si aveva in Europa all'inizio del XIX secolo. Considerate, ad esempio, la storia dell'espansione inglese in India: era fondata esattamente sugli stessi presupposti ideologici. Posso fornirvi un piccolo esempio, quello di Konarak Raj, che fu conquistato nel diciannovesimo secolo dopo una guerra sanguinosissima. La motivazione di fondo adottata dagli Inglesi fu che quel popolo maltrattava le donne e aveva una forma di tirannide che andava sostituita con un governo liberale e illuminato. Ai miei occhi appare dunque come un bizzarro paradosso quello per cui, in un universo sostanzialmente postcoloniale, l'Occidente - e quando dico Occidente intendo in un certo senso la cultura globale - conserva del mondo orientale una concezione assolutamente simile a quella del secolo scorso. Con una significativa differenza, tuttavia, in quanto entrambe le parti, l'Occidente e il resto del mondo, sono complici nel condividere il medesimo giudizio. Vale a dire che dentro e fuori dall'Europa, o dall'Occidente, le due parti concorrono, implicitamente o esplicitamente, a definire la scala di valori da cui nascono tali giudizi sulle società. E sono altrettanto complici nel costruire l'alterità dell'altro. Voglio dire che c'è una sorta di patto di alterità, e proprio per questo motivo la cultura è il terreno di violente controversie. Voglio darvi qualche altro esempio. Molti di voi sapranno che recentemente, non ricordo se nel 1990 o '91, in Francia è diventato improvvisamente di attualità il problema della clitoridectomia, ovvero l'escissione della clitoride, pratica assai diffusa in vaste zone dell'Africa. E molti teologi musulmani hanno cominciato a prendere posizione dicendo, no, questo fa parte della nostra cultura, del nostro patrimonio di tradizioni. E allo stesso modo gli intellettuali francesi hanno preso posizione dicendo no, no, questo è assolutamente inammissibile per la nostra concezione etica, la nostra visione del mondo. C'è di che sorprendersi, infatti negli anni Cinquanta, ovvero subito dopo la rivoluzione egiziana, Nasser proibì la clitoridectomia nel suo paese e non vi fu reazione alcuna. Il fatto è che in questi quarant'anni è accaduto qualcosa di nuovo: se le stesse cose avvengono in un contesto globale diventano improvvisamente intollerabili. Le due parti si fanno complici nel costruire la propria alterità. Il che significa che da una parte c'è un gruppo di persone che dice "questo è ciò che fa di me una cultura", e l'altra parte dice "questo non verrà permesso, non vi sarà permesso che questo vi faccia esistere come cultura. Lo eviteremo a qualunque costo". Lo stesso discorso si può fare per la questione del velo in Egitto. Conosco l'Egitto perlomeno da dieci o dodici anni e quando ci andai per la prima volta non mi accadde mai di vedere una donna velata. Incontravi donne che si coprivano il capo, ma non incontravi mai una donna velata, o quasi mai. Oggi in Egitto si vedono moltissime donne con il velo. All'improvviso il velo è diventato una questione centrale, in Egitto come in Iran, un punto nodale per definire la differenza culturale. E questo non perché gli Egiziani 15
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