IL CONTESTO ConfliHi Usa. Politica estera e razzismo Incontro con Edward Said a cura di Maria Nadotti Edward W. Said è nato a Gerusalemme, Palestina. Attualmente è Old Dominion Foundation Professor nel dipartimento di Humanities di Columbia University, New York. È autore di Orientalismo (Bollati Boringhieri), The Question of Palestine, Covering Islam, After the Last Sky e dell'imminente Culture and lmperialism. È stato membro del Palestine National Council.Collabora a varie riviste, tra cui: "Arab StudiesQuarterly","Diacritics","RaceandClass", ''TheoryandSociety", nonchè a: "The New York Times", "The Wall Street Journal", "Le MondeDiplomatique". Tiene unarubricadi musica su"TheNation". Lo abbiamo intervistato a New York nell'agosto scorso. Chi è oggi il nuovo nemico degli Stati Uniti? Un mese fa il quotidiano "Washington Post", una delle testate che più fanno opinione in questo paese, ha pubblicato un articolo il cui succo era che l'Islam ha preso il posto del comunismo. Chi è muslim o arabo non può che essere d'accordo, perché con la fine della guerra fredda e con la dissoluzione dell'Unione sovietica negli Stati Uniti si è creato un vero e proprio bisogno di individuare un nuovo nemico. E questo nuovo nemico è stato trovato in ciò che i media e il governo hanno chiamato "fondamentalismo islamico". Bisogna fare attenzione però, perché in questo paese tale definizione si estende molto al di là del dovuto, fino a includere la stessa nozione di Islam, nella sua interezza. Anche se è noto che se ne sa molto poco. In particolare direi che i.I problema è rappresentato da arabi e Mediorientali. Non credo che qui ci si preoccupi di Pakistan o Indonesia. La parte del mondo storicamente considerata una minaccia è il Medio oriente ed è il tipo di islamismo che lì si pratica a fare paura. Basta dare un'occhiata ai fatti: negli ultimi dodici anni gli Stati Uniti sono stati coinvolti essenzialmente e consistentemente in conflitti rivolti contro alcuni paesi islamici, Libano, Libia, Iraq. In ogni caso si è trattato di guerre condotte attivamente contro il fondamentalismo islamico. Credo si tratti di qualcosa di molto di più di guerre politiche. Direi che si tratta di guerre culturali travestite, di guerre basate insieme su elementi religiosi e su pregiudizi razziali, che hanno dotato gli Usa di un nemico adeguato. C'è poi un altro aspetto della questione, ovvero che il mondo islamico sembra fatto apposta per qualificarsi come nemico organizzato a livello mondiale, è turbolento e in cerca di cambiamenti. Eppure lo stesso mondo islamico ha dimostrato di non avere una politica coerente nei confronti dell'occidente. C'è dell'ironia nel fatto che la maggior parte dei leader dei paesi islamici, dall'Arabia Saudita all'Egitto o al Marocco, sostengano in modo attivo gli Stati Uniti e le politiche nordamericane. Ironia e contraddittorietà. Ma, a mio parere, non c'è dubbio che l'unica area culturale e religiosa del mondo di cui è possibile parlare come di un'unità monolitica è il cosiddetto Islam. Ti faccio un altro esempio, tratto dalla stampa newyorkese. Recentemente Leslie Gael, uno dei più autorevoU editorialisti del "New York Times", ha pubblicato un articolo il cui titolo, "Here, oh Islam!", si riferiva all'Islam come insieme. Un insieme che l'autore non sapeva neppure cosa fosse, ma che gli serviva per lanciare un appello del Lipo"l'Islam dovrebbe lasciare in pace Israele". Si tratta sempre di posizioni di questo genere, per lo più prive di qualsiasi senso. Qualche mese fa sembrava che, a candidarsi a nemico pubblico numero uno, dovesse essere il Giappone. Va a cicli, umori, ondate. Il Giappone, in una certa misura, è parte dell'Altro: "i musi gialli", "i jap", "il sol levante", "il pericolo giallo". Non che la cosa si sia esaurita. Diciamo però che ha perso d'importanza, perché il Giappone per molti versi fa parte della stessa unità economica a cui appartengono gli Stati Uniti. Si tratta di una società industriale avanzata che, pur appartenendo a una cultura diversa da quella degli Stati Uniti, non rappresenta, dal punto di vista culturale, una minaccia. La minaccia, nel caso del Giappone è stata esclusivamente economica. Nel caso dell'Islam si tratta invece di una minaccia che riguarda la sfera culturale religiosa razziale, geografica. È vero che, circa un anno fa, la no;tra stamp~ e il nostro governo hanno attaccato con una certa virulenza il Giappone, ma oggi che questo paese è in difficoltà economica nessuno ne parla più. Come è organizzata la comunità islamica di New York e più in generale degli Stati Uniti? In modo incoerente. Non ne esiste solo una, perché tutte le divisioni tipiche del mondo islamico vi si riflettono. In questo paese, ad esempio, i muslim pakistani o del Bangladesh subcontinentale hanno assai poco a che spartire con i muslim iraniani o con quelli provenienti dai paesi del Medio oriente. I muslim dei vari paesi arabi hanno ben poco a che fare gli uni con gli altri, perché nelle loro relazioni prevalgono nettamente le questioni nazionali, il rapporto che esiste tra Siria e Libano o tra Libano e Giordania e tra Giordania e Egitto ecc. Negli Stati Uniti esistono comunità islamiche provenienti da ognuno di questi paesi, ma sono divise le une dalle altre esattamente come nei loro paesi d'origine. No, qui non esiste un blocco arabo o islamico identificabile in quanto tale e capace di autoidentificarsi e di agire di conseguenza. Cheforma prende oggi, negli Stati Uniti, il razzismo? E si può parlare di un nuovo razzismo? A mio parere la forma di razzismo più recente e maggiormente tollerata, per non dire approvata, è diretta contro gli arabi. Non vi 9
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