OTTOBREl 992 · NUMERO75 , LIRE9.000 mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo UNYOLV:ISTOD LETTEIRNE N:LEIDENTI I: STORIASOCIETEARAG -..$41D: POLITICEASTEREARAZZISMNOEGLUISA-\ . . G.SOFRIN:OI tLA BOSNIA.U/ IETZKE,OLBEG:LINTELLETTUALI TEDESC --- I ; ... _-ltr'•V 'f _ RACCONDTIIEMILCYARREALICE-MUNROt~OESIE DJMUL~D . - ~ ~ :' '/· UN'INTERVISTA CONLARGS USTAFSSON . 1
1992 L'evoluziofnreancese 1966. Esceil DizionarioGarzantidi Francese. 1992. Esceil NuovoDizionarioGarzantidi Francese:completo,innovativo, affidabile,per leggere,capiree scrivereil francesedi oggie di ieri. Dal linguaggioquotidianoa quellospecialistico,dalleforme_gergalai i neologismi,dal lessicogiuridicoa quelloscientificoe commerciale,dallagrammatica alla letteratura,dalleespressionifigurateall'argot,dallatradizioneall'attualità, tutta la linguafrancesechecambia. 2160pagine- 127.000lemmi 198.000accezioni 59.000terminispecialistici Informazionidi storia e culturafrancese Citazfonid'autore
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AUTORI V,4RJ GERSHWIN f ~ • --- 'j - ·., . ', ', , -~ ... ~ _. .. ~ l/C..:,_ ~"' r Vlk@mSeth AUTOSTOP PERI.'.HIMALAYA Viagio dallo Xinjiang al Tibet AA.VV. GERSHWIN A cura di Gianfranco Vinay 408 pp., L. 45.000 Gershwin non era soltanto l'autore di canzonette e musical che con Porgy and Bess e la Rapsody in Blue sognava la consacrazione classica. Liquidando un ostinato luogo comune, gli autori del primo libro sul musicista rivelano al lettore il compositore più contraddittorio, geniale ed emblematico della prima grande stagione dello show business americano. VikramSeth AUTOSTOPER L'HIMALAYA Viaggio dallo Xinijang al Tibet 208 pp., L. 25.000 Estate 1981. Vikram Seth, studente indiano all'Università di Nanchino, riesce ad ottenere i permessi per tornare a Delhi via terra. Su camion sgangherati, in climi proibitivi, per strade impraticabili Seth dipana il suo avventuroso itinerario, vissuto soprattutto come scoperta di un'altra Cina, umana e geografica, ancora proibita agli stranieri. li libro ha fruttato al giovane autore il Thomas Cook Trave! Award. FrancoBattiato TECNICAMISTASUTAPPETO Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini 192 pp., L. 28.000 Battiato per la prima volta racconta la sua storia di uomo e di musicista. In appendice i testi di tutte le canzoni. ArnfriedEdler SCHUMANNEILSUOTEMPO 304 pp., L. 48.000 La storia documentata e avvincente di un grande del romanticismo. BernardVincent PERCHÉL'EUROPAHA SCOPERTOL'AMERICA Prefazione di Pier Luigi Crovetto 244 pp., L. 28.000 Con mano sicura di storico e fine letterato, un quadro originale ed affascinante dei più autentici motivi che portarono al la scoperta del Nuovo Mondo. MarioPraz PENISOLAPENTAGONALE Prefazione di Goffredo Foti 176 pp., L. 25.000 La Spagna nella "controguida" di un viaggiatore d'eccezione. FINALMENTELEGUIDE ~ INITALIANO "-..:,./ BALI &Lombok 352 pp., L. 35.000 TUNISIA 176 pp., L. 20.000 NEPAL 400 pp. L. 38.000 YUCATAN &Cancun 400 pp., L. 35.000 GUATEMALA & Belize 304 pp., L. 29.000 YEMEN 232 pp., L. 29.000 KENYA 344 pp., L. 38.000 ZIMBABWE 322 pp., L. 32.000 BOTSWANA 184 pp., L. 23.000 NAMIBIA 184 pp., L. 23.000 SINGAPORE 144 pp., L. 22.000 19 via Alfieri, 10121 Torino, tel. 011/5621496 - fax 011/545296
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Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Marco Bacci, Marco Capietti, Francesco M. Cataluccio, Massimo Cecconi, Anna Chiarloni, Stefano Geraci, Stefano Losurdo, Maddalena Pugno, Alessandra Serra, Barbara Veduci, la casa editrice Iperborea, ì'Assessorato alla Cultura della Provincia di Milano, il Centro Accademico Canadese, la segreteria del premio Grinzane-Cavour, le redazioni di "Debate" e di "L'Unità", la Radiotelevisione della Svizzera Italiana, le agenzie fotografiche Contrasto, Effigie e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 20124 Milano Te!. 02/6691132. 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CONFRONTI 25 27 31 33 Annamaria Gallone Gianni Volpi, Federico Varese Ferdinando Taviani Gabriele Dietze,Uwe Kolbe POISIA 41 Uwe Kolbe 85 PaulDurcan STORII 73 Alice Munro 81 Emily Carr INCONTRI 63 Franco Venturi 89 Lars Gustafsson SAGGI 42 Graham Greene 48 Perry Anderson 70 Gustaw Herling SCIINZA 59 James Moore lene e l'ultimo cinema africano Italiani e stranieri al festival di Venezia Ricordo di Fabrizio Cruciani Gli intellettuali tedeschi e la Stasi: il caso Anderson a cura di Cecilia Novero Poesie Ulisse e altre poesie a cura.di Roberto Bertoni e Giovanni Pillonca Meneseteung. Un fiume e una poesia con una nota di Alessandra Contenti I totem di Kitwancool con una nota di Caterina Ricciardi Una società fondata sulla ragione a cura di Federico folli Tra poesia e filosofia a cura di Maria Cristina Lombardi Suo, eccetera. Lettere ai giornali a cura di Paolo Bertinetti Stati-nazione e identità nazionale. Braudel e la Francia Sull'esilio La rivoluzione nell'evoluzione incontro con Lindsey German e Chris Harman La copertina di questo numero è di Gianluigi Toccafondo. I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi. Linea d'ombra è stampata su carta riciclata Freelife Vellum white - Fedrigoni
IL CONTESTO Ma non vedete quei lager! Note sulla Bosnia e sulla non-violenza Gianni Sofri 1. Mi sono chiesto cosa avrebbe detto Gandhi riguardo alla Bosnia. Naturalmente, è sempre difficile, e rischioso, estrapolare qualcosa dal pensiero di chi non c'è più: a maggior ragione quando si tratta, come in questo caso, di un pensiero non chiuso e consolidato, ma in movimento, attento (più di quanto si creda) alla complessità e mutevolezza del reale, e quindi del rapporto fra principi: e creatività. Credo comunque che Gandhi avrebbe consigliato ai musulmani bosniaci (forse anche alle popolazioni serbe e croate di quello sventurato Paese) di opporsi con la non-violenza, fino alla morte, ai propri nemici e massacratori, nell'intento di conquistarne il cuore con lo spettacolo del proprio sacrificio. Gandhi avrebbe cioè detto loro, per quanto è dato supporre, le stesse cose che disse, fra il '38 e il '42, agli ebrei, ai polacchi, ai cecoslovacchi, agli inglesi, quando si trovarono a dover fronteggiare le aggressioni e gli stermini: di Hitler. Per quanto rispetto possa suscitare, ancora oggi, una posizione così radicale, tuttavia la sua evidente inadeguatezza le attirò, allora e in seguito, molte critiche. Paradossalmente, nel caso della Bosnia una strategia di questo tipo sarebbe ancora più inadeguata e irrealizzabile. Nel caso di Hitler c'era la possibilità di individuare un cattivo e dei buoni (o dei meno cattivi), o se si preferisce un aggressore e delle vittime, in una maniera chiaramente definita. Nel caso della Bosnia, questa possibilità è assai più vaga. Nonostante l'evidenza del peso soverchiante (numerico, politico, militare) e della responsabilità primaria dei serbi, quasi tutti gli osservatori concordano nel segnalare la natura intricata e contraddittoria del conflitto. I nemici cui opporsi con la non-violenza sarebbero i serbi per alcuni, i croati per altri, addirittura i musulmani per altri ancora. E, in più, tutti i serbi, tutti i croati, tutti i musulmani? Oppure, come sarebbe assai bello ma poco corrispondente alla realtà, ogni popolazione contro i propri violenti, fanatici, massacratori, militaristi? È comunque un fatto che nulla di questo si è verificato. Certo, conosciamo esempi di solidarietà interetnica, e sappiamo anche che la grande maggioranza della popolazione rappresenta dolorosamente il mondo composito delle vittime. Ma un aspetto inquietante è il consenso che gli odii nazionali, etnici, religiosi ( soprattutto quando si uniscono a concreti interessi economici) riescono oggi a costruire intorno a sé, in questo come in altri casi. Ed è difficile pensare che bande armate numerose e senza scrupoli, spesso appoggiate da settori di popolazione eccitati da odii nazionali, etnici, religiosi (e da promesse di vantaggi), possano recitare il ruolo del "nemico da conquistare con lo spettacolo della propria sofferenza e del proprio sacrificio": il ruolo, insomma, che Gandhi costrinse gli inglesi a recitare in India negli anni Venti-Quaranta. Quale che sia il giudizio che si voglia dare sui colonialisti britannici di quegli anni, è certo che un abisso li separa da nazisti, khmer rossi, ustascia e cetnici. So bene che questo ragionamento viene respinto da alcuni sostenendo che la non-violenza ha un valore morale indipendente dalla sua efficacia immediata e proiettato nel!' educazione futura dell'umanità. Ma è legittimo sacrificare la sorte di milioni di persone sull'altare di questo lungo processo pedagogico? Tuttavia, se vogliamo completare questo ricorso - spero non ozioso - a Gandhi e agli altri padri del pacifismo radicale, c'è un 4 altro aspetto da prendere in esame. Per Tolstoj, il Cristo ha ordinato di non resistere al malvagio e di non accettare la violenza in alcun caso, a meno che si tratti di salvare un bambino minacciato e in pericolo. Quanto a Gandhi, faceva anche lui un'eccezione, per un folle omicida che minacciasse una comunità e che non fosse possibile catturare vivo. Nel '26 scrisse che "colui che non uccide un assassino che sta per uccidere suo figlio (quando non può impedirglielo in altro modo) non ha alcun merito, ma commette peccato". E più volte spiegò che in una società non fatta di esseri perfetti ma "di comuni esseri mortali", in alcune circostanze l'astenersi dalla violenza può non corrispondere ali' ahimsa (la nonviolenza). O, ancora, che l'uso della violenza per una causa giusta è comunque più lodevole di una vile accettazione dell'ingiustizia. Si possono prendere alla lettera queste citazioni su bambini e pazzi sanguinari (e certo colpisce che in Bosnia si sia comunque sparato su bambini). Ma si può anche cercare di coglierne il significato simbolico e metaforico: anche dal punto di vista della non-violenza non c'è nulla di peggio che assistere indifferenti a un massacro. Naturalmente, non si tratta di violentare il pensiero di Gandhi per fame un guerriero, bensì di impedire che la teoria della non-violenza diventi un alibi all'impotenza e all'indifferenza. 2. Si discute se in Bosnia ci siano dei lager. Wiesenthal ci ha richiamati a evitare le confusioni di termini e di concetti che finirebbero per offuscare la tragica, indicibile unicità della Shoah. Nolte ha fatto notare, per converso, che all'inizio i lager na.zisti erano dei "normali" campi di concentramento, e che solo in seguito sarebbero diventati quello che sappiamo. Molti avanzano l'esigenza di saperne di più, il che è sempre buona cosa. È assai probabile che i racconti degli scampati abbiano potuto indurre e diffondere esagerazioni: ma è anche possibile che questo tipo di argomentazione (già usata a suo tempo per i lager nazisti) e la diffidenza che l'accompagna si prestino assai bene a fornire un alibi ali' inazione. È comunque certo che esistono in Bosnia un numero eno_rmedi campi di concentramento, allestiti soprattutto dai serbi (se non altro perché sono i più forti), ma anche dai croati e persino dai musulmani. Questi campi servono alla "pulizia etnica", essendo l'anticamera della deportazione forzata di centinaia di migliaia di innocenti. È altrettanto certo che all'interno di questi campi ci sono, in una misura che ci sfugge, uccisioni, violenze, stupri e comunque condizioni di vita disumane. Naturalmente, non ci sono solo i campi, ma una guerra ormai lunga di tutti contro tutti, spietata e san&uinosa, una guerra di genocidio. Tutto questo non è sufficiente? E noto che dopo la fine della seconda guerra mondiale, in più fasi, vennero messi variamente sotto accusa governi, uomini politici, istituzioni (dalle potenze alleate alla Croce rossa agli stessi leader del sionismo) perché, pur sapendo dei lager nazisti, tacquero e poco o nulla fecero per interromperne l'orrore. Si sono invocate più giustificazioni: per esempio, ti fatto che si stava conducendo una guerra mortale, e che modificarne i piani avrebbe potuto essere pericoloso. Si è detto che le informazioni disponibili, per quanto drammatiche, davano comunque un'immagine edulcorata della realtà. E, ancora, che la mente di un europeo del XX secolo (ma anche Hitler lo era) non era in grado di concepire la realtà dei campi di sterminio, per cui le informazioni più tragiche erano oggetto di
Foto di Ron Haviv (Agenzia Contrasto). una sorta di rimozione collettiva. Ad alcuni leader sionisti la causa degli ebrei orientali appariva come una minaccia per le sorti del futuro stato ebraico. In ogni caso, quando si conobbero le dimensioni dello sterminio, il fatto che ci fossero gruppi e istituzioni che sapevano fu sentito da tutti - e lo è tuttora - come fonte di angoscia e di scandalo. Ho già detto che non occorre far ricorso a discutibili paragoni con i lager nazisti. Quanto già sappiamo è sufficiente. E la nostra mente è oggi, ahimé, attrezzata per capire senza rimozioni realtà simili ad altre già conosciute in Europa come altrove (la Cambogia fu un bell'esempio di "pulizia", ancorché sociale più che etnica). Quali scuse potremmo noi addurre di fronte ai nostri figli, ai nostri posteri, a noi stessi? Nessun ragionamento più o meno vagamente pacifista può condurre ad assistere immobili a un genocidio. Esiste, certo, una complicazione forte, che è data dallo stato attuale delle relazioni internazionali. Negli anni del bipolarismo, ognuna delle due potenze avrebbe risolto un "problema" che si presentasse all'interno della propria area di controllo. La Cambogia venne abbandonata a se stessa, e poi affidata all'intervento subimperiale vietnamita (con tutte le conseguenze, positive e negative, che ne derivarono), perché si trovava alla periferia degli imperi. Oggi, il vuoto di potere che caratterizza i Balcani, l'Europa orientale e tanta parte dell'ex Unione Sovietica (Asia compresa) fa di questa enorme area un insieme di conflitti etnici, nazionali, religiosi, potenziali o già attuali. Personalmente sono convinto che la Russia cercherà di tornare in tempi abbastanza brevi ad esercitare, su una sua sfera d'influenza, un ruolo di gendarme corrispondente alla sua anticà vocazione imperiale, che la crisi attuale può solo interrompere. Ma nell'attesa di nuovi ass~tti ci troveremo a fronteggiare un'epoca di conflittuaIL CONTESTO lità cronica e permanente, con punte anche di estrema gravità e, infine, con possibili estensioni anche all'Europa occidentale. Tutto questo pone, in prospettiva, il problema di una riorganizzazione delle istituzioni internazionali, capace di prevedere anche una sorta di polizia mondiale che possa intervenire per evitare o arrestare i molti possibili massacri e genocidi da guerra o fame. Tuttavia, sappiamo che la realtà attuale è molto diversa, che l'Onu attraversa una crisi profonda dagli sviluppi incerti. Che cosa dovremo fare nel frattempo? Il problema di eventuali interventi da parte di gruppi di Paesi, per evitare nuove Cambogie o Bosnie o Somalie va visto, mi sembra, in questo quadro. E tra i vari pericoli dai quali occorre guardarsi, c'è anche la paralisi da eccessi di prudenza, di miseria morale o di Realpolitik. Fra l'altro, potrebbe rivelarsi una ben miope Realpolitik quella che sottovalutasse i rischi collettivi o addirittura planetari insiti nei conflitti locali, nei massacri, nell'intolleranza, nell'arroganza di leader che volessero sfruttare spregiudicatamente i vuoti di potere. Naturalmente, i modi concreti, le tecniche, la logistica degli interventi, la limitazione dei rischi (e soprattutto della violenza e delle ulteriori sofferenze per le popolazioni) restano problemi difficili da risolvere: ma non certo insuperabili in presenza di chiarezza strategica, etica e politica. Colpisce che all'interno di ognuno degli schieramenti ideali e politici abbiano giocato un ruolo fondamentale i "tecnici", sottolineando l'esistenza di monti e boschi: come se un deserto e migliaia di pozzi di petrolio non fossero un deterrente almeno altrettanto importante in occasione della crisi irachena. 3. La Bosnia rappresenta anche un interessante esempio di come etica e realismo non facciano necessariamente a pugni: al contrario. Negli stessi giorni di agosto in cui la Bosnia e la Somalia si contendevano tragicamente le prime pagine dei giornali, molte cose accadevano all'interno del mondo islamico. Iraq a parte (si fa 5
IL CONTISTO per dire), Iran e Turchia si contendono l'egemonia, in nome di vecchie e nuove velleità imperiali, ma anche di diverse concezioni del ruolo dell'Islam, sulle ex-repubbliche musulmane sovietiche del Caucaso e dell'Asia centrale. Il Sudan si afferma come il nuovo "santuario" dell'islamismo radicale e integralista. Scontri aperti tra modernisti e integralisti islamici sono in atto o covano sotto la cenere in Algeria e Tunisia. E in Egitto si assiste a massacri di cristiani copti da parte di integralisti islamici. Ora, in un momento in cui occorre fare di tutto per allontanare lo spettro delle guerre di religione, l'Europa e l'Occidente avevano tutto l'interesse a far propria la difesa dei musulmani della Bosnia, in nome di alcuni dei principi fondanti della nostra cultura. (Il fatto che Izetbegovic progettasse da tempo di fare della Bosnia uno Stato islamico non è colpa da far pagare ai suoi connazionali e compagni di fede- ben lungi, peraltro, dall'essere tutti degli integralisti). Al di làdi ogni altra considerazione, la Bosnia è stata anche per questo un'occasione perduta, che accende nuovi rancori nel mondo islamico. La difesa dei musulmani di Bosnia (e domani forse del Kosovo) è stata abbandonata nelle mani della Turchia e dell'Iran, o della Conferenza islamica che progetta brigate internazionali. Con scarse conseguenze, per ora: ma fino a quando i governi occidentali (ma anche quelli dell'Europa orientale e della Russia) penseranno di poter contare sull'attuale relativa fragilità e inettitudine dei governi musulmani, e sulle divisioni e rivalità che li paralizzano? 4. Mi sembra assai difficile provare oggi simpatia per i serbi, cui spettano indubbiamente le responsabilità maggiori della situazione attuale, a causa della loro lunga incapacità di accettare una divisione consensuale e pacifica dell'ex Jugoslavia, delle loro storiche e oggi rinnovate tradizioni bellicose, delle loro spregiudicate ambizioni egemoniche grandi-serbe. Ma trovo altrettanto errata e pericolosa una demonizzazione globale del popolo serbo in qualche modo analoga a quella che fu riservata (e lo è ancora in parte) ai tedeschi. Gli stereotipi hanno sempre qualche ragione (a volte - ed è il nostro caso - ne hanno molte), ma non sono mai sufficienti. In particolare, non credo che nessuno di noi possa sentirsi al riparo da tragedie come quella che la Bosnia sta vivendo 6 Mi manca qualcosa... Certo, noidonne! Con il numero di ottobre: • L'etàdi frontiera: tra il lifting e l'ascesi • Giustizia: SilviaBaraldiniaspetta ancora • Sarahe Anna, un matrimoniolesbico • Esu legendaria, tantissimilibri MENSILEDI ATTUALITÀ,POLITICA,CULTURA. IN EDICOLA I PRIMI DELMESE. in nome di una supposta maggiore civiltà o solidità istituzionale. Il riemergere dei vecchi particolarismi e il formarsi di nuovi, in una situazione caratterizzata da crisi economica e da un impatto di dimensioni epocali (e crescenti) con le migrazioni dal Sud e dall'Est, le tendenze disgregatrici, i razzismi che ritornano, gli integralismi religiosi autoctoni o di importazione sono tutti fenomeni che appartengono, ogni giorno di più, anche all'Europa occidentale: per quanto possano apparirci (e siano in effetti) più solide, da noi, le barriere protettive. Anche per questo, a nessuno è permesso, oggi, chiamarsi fuori o illudersi che guerre civili, orrori e massacri siano cose che riguardano sempre un "altrove" lontano. Se lontana, geograficamente e culturalmente, era la Cambogia, questo non può certo dirsi per un paese che fronteggia le nostre coste adriatiche. Poscritto Questo articolo che Goffredo Fofi vuole gentilmente riprodurre in "Linea d'ombra", mi venne chiesto da Roberto Roscani,per "l'Unità", ai primi di agosto. Ebbe una gestazione assai lunga e combattuta, e fu pubblicatosolo il 28 dello stessomese. Credoche i problemi, le incertezze e le inquietudinidi chi lo ha scrittoappaianochiaramenteal lettore. In ogni caso, questo non è un articolo di uno specialista in questioni balcaniche (quale io non sono, né pretendoovviamente di essere), ma di una persona scandalizzata e preoccupata. Lo riproduco nella sua primitivaversione, con pochissimecorrezioni formalie una sostanziale,benchébrevissima. Enpassant, avevo ricordato i "massacri tra islamisti e cristiani copti" in Egitto. Rileggendo, non so spiegarmiquesto lapsus. Inrealtà, ciò che accadeoggi inEgittoè che molti cristiani copti vengono massacrati da integralisti islamici, il che è molto diverso. Non si è mai abbastanza attenti. Semprerileggendo,aunaventinadi giornididistanza,mi sonochiesto se qualcosa nella situazione sia cambiato. Assai poco, direi, in Bosnia, dove la strage continua. Qualcosa, forse, nell'opinione internazionale, presso la quale i serbi hanno guadagnato qualche punto, mentre ne hanno persi i musulmani. Negli ultimi giorni, infatti, i serbi hanno alternato ai colpidi cannone alcuneproclamazionidi buonavolontàe di disponibilità a trattare. Ma no.nè chi non veda come questo atteggiamento si leghi strettamente al fatto che i serbi della Bosnia hanno ormai quasi vinto la loro guerra, e che la "cantonalizzazione" dei musulmani è tragicamente vicina a essere un fatto compiuto (con la complicità anche dei croati). I musulmani hanno ucciso due soldati francesi dell'Onu, e pare siano stati loro anche ad abbattere l'aereo italiano. Si dice che punterebbero con questi gesti, nella situazione disperata in cui si trovano, a provocare un interventomilitare dall'esterno. Si tratta, senza dubbio, di gesti criminali e suicidi, che hanno per ora solo contribuito ad alienare ulteriormente ai loroautorilegià scarsesimpatieinternazionali.Ma resta,comeun pesoper noi tutti, la loro disperazione. Nell'articolo, pur richiamandol'attenzionesul rischiodi demonizzare un intero popolo, non esito ad attribuire ai serbi la responsabilità principale della tragedia; di più, ad accogliere in qualche misura lo stereotipo delle loro tradizioni storichedi bellicosità e di violenza.Mantengoquesta posizione.E consiglio la letturadel romanzodiM. Cmjanski, Migrazioni, /, Milano, Adelphi, 1992. I problemi che avevo esposto sull' "Unità" sono stati ripresi sullo stessogiornale, il 5 settembre,da Franco Cassano, il quale ripropone, con interessantie appassionate argomentazioni, il tema dell'"economia della violenza", nonché della possibilità (e dei modi) di iniziativedall'esterno, atte, in determinate circostanze, a fermare un massacro.Mi sembra però che Cassano sfugga alla domanda che sembra a me la più importante - e lapiù angosciosa. Questa:cosa fare, inpresenzadi unmassacro,quando nessunapprezzabile risultato sembrapoter essere ottenuto nè dall'equilibrio tra le potenze (oggi inesistente)néda istituzioni internazionalifragili e incerte, né dalle organizzazioni del pacifismo? Infine, per concludere un Poscritto già troppo lungo, vorrei segnalare al lettoreche in passato ho affrontatopiù volte, e inmanierapiù specifica (ma sempre, nelle mie intenzioni, problematica), il tema delle contraddizioni della non-violenza: soprattutto nel capitolo finale, su "Gandhi e i dittatori", del volume Gandhi in Italia, Bologna, Il Mulino, 1988.
ANTOLOGIA Cosa insegna la guerra Aldo Palazzeschi Di Aldo Palazzeschi (Firenze 1885, Roma 1974) ripubblichiamo alcuni brani da un libro da molti annifuori commercio, uno dei rari libri decisamente pacifisti di uno scrittore italiano: Due imperi ... mancati (Firenze, Vallecchi, 1920 pp. 29-36, 50-7, 180-2). (...) Quella della Germania è stata la più sconcia aggressione che la storia abbia mai dovuto registrare? Miei ottimi signori io voglio credervi, voi siete stati aggrediti brutalmente da una banda di assassini, ma vi restava pur sempre un bel gesto da fare, il solo: disarmare. Giungere a questa coalizione, disarmare tutti insieme. Perché non lo avete fatto? Io non avrei avuto allora l'illusione di ascoltare una sinfonia che una famosa orchestra mi aveva preparata da un pezzo, con tanto di spartito davanti, con tutti i suoi strumenti bene accordati, gli ottoni ben lucidi, con tutte le necessarie prove parziali e generali. La Germania ha dato il la. Sciocca, impaziente, suo danno! Che grossolanità è stata mai la sua! Ha perduto una battaglia prima d'incominciare a combattere. Ha violato, calpestato un paese neutrale, un paese inerme! Peggio! A parte che quel paese avesse dei torti abbastanza rispettabili (io sono un uomo che non ucciderà mai nessuno, nemmeno una pulce molesta, anzi io sono addirittura l'uomo che non uccide, la mia francescana adorazione per tutte le creature del Signore è divenuta leggendaria, lo sanno tutti al mondo, non ci può essere uomo al quale venga neppure per un momento l'idea di torcermi un capello, e io ne sono più che sicuro di questo, però vado in giro con quattro pistole ben cariche legate al collo, otto alla cintura, due in mano e due ai piedi. Vedendomi passare così nessuno vuol convincersi che io non sono altro che un seguace di San Francesco d'Assisi) la Germania ha Foto Camera Press Ltd Londra. IL CONTESTO sbagliato il primo passo, e la vediamo naufraga appena gettata dentro l'acqua. Doveva sfondare a Verdun, chi sa se i Francesi avrebbero avuta la forza e il tempo di trattenerla allora, ella sciupa il suo primo formidabile urto. E gli altri non avrebbero vantato sì vagamente che correvano in difesa di un innocente, di un povero piccino. Un uomo vede un altro calpestare un fanciullo, il suo nobile istinto lo spinge a saltargli addosso e liberare quel fanciullo. Io che osservo mi sento gonfiare due lucciconi dentro gli occhi. Poverino! Che mascalzone! Bene ch'egli abbia avute le sue. Dopo liberata la creaturina vedo il nostro salvatore che, tenendo l'aggressore sempre acciuffato per il collo, gli cava l'orologio di tasca e il portafogli, gli anelli dalle dita. Mi viene subito in mente: Oh! egli vuole dare al fanciullo colpito tutte quelle cose per sua riparazione, bravo, bene gli sta la punizione al manigoldo; ben pensata davvero, egli rimarrà senza le sue robe e il suo denaro e tutto andrà a profitto dell'innocenza, della giustizia. Ma mi accorgo che l'altro, il galantuomo, l'orologio lo sistema bene al taschino del proprio gilet, gli anelli alle dita, il portafogli se lo mette in tasca, accende un mezzo sigaro e senza occuparsi di nessuno si ficca ali' osteria. Voi che siete rimasti lì come tanti coglioni vi date a far congetture e raffronti sul primo e sul secondo, io, pure avendo ripresa in fretta la mia strada ... vi confesso ... che una bella doccia l'ho avuta anch'io. Disarmare. Come non vi è passato subito per la mente? perché non lo avete fatto? Oh! ingenui! incauti! inesperti! Disarmare dentro ventiquattro ore, rispondere così alla sfida, far cadere d'un colpo dalle mani del nemico l'arma ch'egli aveva tanto bene affilata contro di voi. Invece vi abbiamo visti correre incontro l'aggressore collo stesso suo spirito, gli stessi cannoni puntati, uguali baionette innestate, e legalizzare, sanzionare in gran fretta l'aggressione. Oh! incoscienti, sconsiderati! Avete fatto dunque il suo gioco, quello eh' egli voleva faceste perfettamente. L'aggressione non esiste più ora, noi passiamo ad assistere ad una partita d'onore fra due avversari, così dispari materialmente, e moralmente peggio che mai, un gentiluomo che scambia la propria carta da visita con un bandito, con un uomo della macchia, ora non siete più bandito e un gentiluomo, ma o tutti e due l'uno, o tutti e due l'altro. Non sono essi una schiatta di volgari assassini come bene mi dite? Dunque avanti, vediamoli all'opera. Noi siamo al nostro posto di tutti i giorni, nelle case, per i campi, nelle officine, facciamo precisamente i fatti nostri come ieri, come sempre, vengano pure coi mortai, gas, aeroplani e il resto del loro bagaglio, ci dovranno uccidere uno per uno, scannare tutti uno alla volta, nel lavoro o nel riposo, questo è quello eh' essi debbono fare, quello che il loro imperatore comanda. Si doveva disarmare e che i bravi cittadini se la cavassero come meglio credevano, ed imparassero davvero a odiare il nemico. Avete contati venti milioni di soldati? Ne avreste contati duecento, quattrocento milioni, voi non sareste stati capaci di contarli più assicuratevi, non il vestito li avrebbe uniti, ma uno stesso spirito, uno stesso santo sdegno! E non ci sarebbero stati nemmeno gli imboscati. Siete per il cannone? Benissimo, ne avreste avuto uno fuori della finestra sicuramente, oh! vi sareste rovinati volentieri la posizione per procurarvelo. L'altro è per il pugnale, un altro ancora per il trabocchetto, avreste lavorato la notte colla febbre addosso per prepararne uno a dovere sulla porta o per le scale della vostra casa. Avanti gli assassini! Il fronte si sarebbe un po' allungato, e dei loro piani avrebbero potuto giovarsene ... per qualche altro servizio. Con quale cuore correste incontro al nemico che sapevate formidabile? Non ch'egli amasse più o meno di voi la guerra, ben inteso, ma era il mezzo che aveva ritenuto adatto per schiacciarvi, per le sue qualità fisiche, la grandiosità delle sue officine, la ricchezza di ferro e di carbone, aveva scelto quel mezzo lì, sapeva che avreste ingenuamente accettato per vostra sola bontà per unico spirito di sacrificio, e in quello si era addestrato reso formidabile terribile. E voi gli siete andati incontro così... colla sola grande voglia di dargli una giusta punizione, deboli e impreparati, quasi inermi, non è vero? Incerti sulla fedeltà dei non pochi che erano con voi ... proprio perché il suo colpo potesse riuscire ...Ma allora, secondo voi, se domani mi capita addosso un uomo enorme, un atleta coi pugni tesi per massacrarmi senza una ragione al mondo, io dovrei essere tanto citrullo da mostrargli i miei pugni, piccolini e inesercitati, per dargli ragione di cominciare. Io invece nascondo lesto lesto le mie brave manine in tasca e me ne sto fermo stecchito, guardando sotto se nulla ci sia da inventare per la circostanza. Guai se non avrà dato subito il primo colpo! Mi darò a piangere, saprò 7
IL CONTESTO trovare ~ivini singhiozzi di agnello, mi butterò pallido svenuto ai suoi piedi, vorrà egli uccidere un morto? Guai se si chinerà per vedere che accada di me, se dirà una parola prima ch'io possa afferrare una sua corda, e ne avrà, avrà pure un tasto debole, s' io lo potrò toccare! Il giorno dopo ve lo mostrerò fra le mie mani a giuocherellarci come con una bambolina giapponese. Ma via! Non un più grosso Sansone ci volle per vincere Sansone, ma Dalila, debole e inerme. Alla forza contrapponete l'astuzia. E come senza di ciò sarebbe l'uomo divenuto il re degli animali? Come col sussidio unico della forza avrebbe potuto giungere a liberarsi e a dominarli tutti? Quelli tanto più forti di lui? È anzi tutto il contrario. Voi lo vedete, questo re, tranquillo su cammelli e cavalli, muli asini e buoi, tutto tronfio cavalcarseli, imporre ad essi di strascicarlo dove più gli fa comodo, al teatro o alla passeggiata, dal suo avvocato o dalla sua amante, farsi aspettare finché gli piace, finché non abbia esaurita ogni sua comodità. Tagliuzzargli la coda, gli orecchi, le parti genitali, far loro portare da destra a sinistra cose che non li riguardano e non li interessano, e vi si mostra a ruzzare con un elefante come con -un bambinone grasso di dodici anni, in una misera gabbietta far salti mortali col leone e colla tigre, giuocare a palla coli' orso per scampare insieme la vita, tenersi un boa al collo come un vezzo, o ai polsi come un braccialetto. E dopo tutte queste belle cose lo udirete dar fuori della grazia di Dio perseguitato e vittima della pulce o della zanzara, della cimice o del pidocchio. Per vincere il nemico col suo mezzo istesso, avete dovuto studiarlo, imparare il suo segreto, assimilarlo, farvi a poco a poco come lui, l'assassino, il ladro, lo stupratore, egli è in voi ora, il suo spirito; disgraziati, che siete riusciti tanto bene a vincerlo, siete forse ora più addestrati di lui nelle male arti. Infelici! Alla fine della immane fatica, per essere proprio sicuri di averlo distrutto, il bruto, dovreste puntare contro la vostra stessa pancia le baionette che vi sono avanzate. Questo avvenne col consenso di tutti quelli che erano ai poteri su questa terra. Coli' adesione di tutti i luminari delle scienze, della politica, delle industrie. a NOVITÀOTTOBRE92 Rafael Sanchez Ferlosio LA FRECCIA NELL'ARCO Contro gli alibi ideologici del nostro tempo. A cura di Danilo Manera. Julio Cortazar ULTIMO ROUND E ALTRI SCRITTI POLITICI Cuba e il Nicaragua, il Maggio francese e le dittature. A cura di A. Mariottini e E. Franco. Giustino Fortunato I GIUSTIZIATI DI NAPOLI DEL 1799 t Persuasione etica nella politica: una rivoluzione e la sua sconfitta. A cura di Vittorio Dini. *** "Infine ... infine, dicono tutti, i nostri figli muoiono per la libertà. Certo. Verissimo. Essi morendo, assicuratevi, ne avranno senza economia; quelli che restano invece non ne potranno avere che ben poca: è troppo giusto". ("Lacerba", 10 gennaio 1915) Gli errori dei cattivi governi si accumulano. I cattivi governanti alla fine del loro giuoco si ritirano in nostalgiche ville piene di raccoglimento e di poesia. I popoli dovranno sciacquare nel sangue i cenci sporchi della loro insipienza o malvagità. La guerra non si fa. La guerra non si deve fare per nessuna ragione al mondo. Due popoli civili, come due persone, devono venire a fine di ogni divergenza o contesa senza spaccarsi il cranio con un randello, o bucarsi la pancia con un ferro. Vi dissero che la guerra che vi s'imponeva era per la libertà. Ora potete dire quale fonte di libertà fosse. Tutto è legato, tutto è in lacci e catene. Nulla più è vostro, lo stesso pensiero, tutto. I comf11erci,le industrie, i colpi di zappa che il bravo contadino lascia cadere sopra la terra sono registrati, il pezzo di panno che vi ricuopre, il cattivo boccone di pane che trangugiate è numerato, segnato, tutto. Questa è la libertà che vi avevano promessa, per essa vi siete lasciati uccidere. Se fossero venuti a governarvi le pellirosse avreste goduta, assicuratevi, più libertà di questa. E il vostro spirito, anelante a questo bene supremo, deluso si dà ora in braccio alla più laida scompostezza, alla più ripugnante trivialità. Attenti! In fondo a questa libertà sono le forche, e sarete stati proprio voi a tirarle su. Non era la guerra necessaria per nessuno, tanto meno per l'Italia che aveva ragioni, diritti, e doveri per rimanere neutrale. La Spagna, la Svizzera, l'Olanda, le altre, sono state rispettatissime e lo sono tutt'ora. Quale rispetto si è avuto del sacrifizio che l'Italia ha fatto? Superiore alle sue forze, e contro la sua legittima volontà? L'America vi è intervenuta dopo che tutto l'oro era affluito nelle sue tasche, per paura di rimanere soffocata. Da un'azione mostruosa di miserabili interessi e ambizioni come la guerra che è stata combattuta, non si poteva uscire sul fertile suolo della libertà ma della schiavitù. È il militarismo la negazione dell'individuo e della vita, la scuola di tutti i vizi. Mozza all'uomo le migliori energie appena sorte in lui, e gli apre la strada a tutte le perdizioni! L'ozio gli corromperà le buone iniziative, il sentirsi nulla, un numero, non più un uomo, gli sciuperà ogni dignità personale, ogni responsabilità, la sensibilità. Lo assuefà colla prigione. Imparerà a scrollare le spalle di fronte al gastigo e al rimprovero o ad avvilirsi per schivarlo. Perderà nel mare magnum delle caserme il senso di proprietà. Tutto è di tutti e di nessuno. Lo assueferà al piccolo furto quotidiano quasi indispensabile. Da quello passerà al furto più grosso. Il maneggio, l'amore per le armi che gli insegna, estrarranno dal suo fondo l'istinto sanguinario e lo svilupperanno. Costretto a circolare per le grandi città piene di inviti e seduzioni, e generalmente senza un soldo, si presterà poco alla volta a tutte le prostituzioni per averne, o soffrirà e, imparerà a odiare coloro che ne hanno. Quando un ufficiale avrà detto con benevola superiorità due o tre volte ad un soldato: "puliscimi questo", "mettimi quello", "levami quest'altro", "lustrami qui", vammi a prender là" voi sentirete quel soldato esclamare: "il signor capitano mi vuol bene" e si abituerà a essere il lacché o il cane di un altro uomo. La guerra porrà in azione tutti i cattivi insegnamenti.
IL CONTESTO ConfliHi Usa. Politica estera e razzismo Incontro con Edward Said a cura di Maria Nadotti Edward W. Said è nato a Gerusalemme, Palestina. Attualmente è Old Dominion Foundation Professor nel dipartimento di Humanities di Columbia University, New York. È autore di Orientalismo (Bollati Boringhieri), The Question of Palestine, Covering Islam, After the Last Sky e dell'imminente Culture and lmperialism. È stato membro del Palestine National Council.Collabora a varie riviste, tra cui: "Arab StudiesQuarterly","Diacritics","RaceandClass", ''TheoryandSociety", nonchè a: "The New York Times", "The Wall Street Journal", "Le MondeDiplomatique". Tiene unarubricadi musica su"TheNation". Lo abbiamo intervistato a New York nell'agosto scorso. Chi è oggi il nuovo nemico degli Stati Uniti? Un mese fa il quotidiano "Washington Post", una delle testate che più fanno opinione in questo paese, ha pubblicato un articolo il cui succo era che l'Islam ha preso il posto del comunismo. Chi è muslim o arabo non può che essere d'accordo, perché con la fine della guerra fredda e con la dissoluzione dell'Unione sovietica negli Stati Uniti si è creato un vero e proprio bisogno di individuare un nuovo nemico. E questo nuovo nemico è stato trovato in ciò che i media e il governo hanno chiamato "fondamentalismo islamico". Bisogna fare attenzione però, perché in questo paese tale definizione si estende molto al di là del dovuto, fino a includere la stessa nozione di Islam, nella sua interezza. Anche se è noto che se ne sa molto poco. In particolare direi che i.I problema è rappresentato da arabi e Mediorientali. Non credo che qui ci si preoccupi di Pakistan o Indonesia. La parte del mondo storicamente considerata una minaccia è il Medio oriente ed è il tipo di islamismo che lì si pratica a fare paura. Basta dare un'occhiata ai fatti: negli ultimi dodici anni gli Stati Uniti sono stati coinvolti essenzialmente e consistentemente in conflitti rivolti contro alcuni paesi islamici, Libano, Libia, Iraq. In ogni caso si è trattato di guerre condotte attivamente contro il fondamentalismo islamico. Credo si tratti di qualcosa di molto di più di guerre politiche. Direi che si tratta di guerre culturali travestite, di guerre basate insieme su elementi religiosi e su pregiudizi razziali, che hanno dotato gli Usa di un nemico adeguato. C'è poi un altro aspetto della questione, ovvero che il mondo islamico sembra fatto apposta per qualificarsi come nemico organizzato a livello mondiale, è turbolento e in cerca di cambiamenti. Eppure lo stesso mondo islamico ha dimostrato di non avere una politica coerente nei confronti dell'occidente. C'è dell'ironia nel fatto che la maggior parte dei leader dei paesi islamici, dall'Arabia Saudita all'Egitto o al Marocco, sostengano in modo attivo gli Stati Uniti e le politiche nordamericane. Ironia e contraddittorietà. Ma, a mio parere, non c'è dubbio che l'unica area culturale e religiosa del mondo di cui è possibile parlare come di un'unità monolitica è il cosiddetto Islam. Ti faccio un altro esempio, tratto dalla stampa newyorkese. Recentemente Leslie Gael, uno dei più autorevoU editorialisti del "New York Times", ha pubblicato un articolo il cui titolo, "Here, oh Islam!", si riferiva all'Islam come insieme. Un insieme che l'autore non sapeva neppure cosa fosse, ma che gli serviva per lanciare un appello del Lipo"l'Islam dovrebbe lasciare in pace Israele". Si tratta sempre di posizioni di questo genere, per lo più prive di qualsiasi senso. Qualche mese fa sembrava che, a candidarsi a nemico pubblico numero uno, dovesse essere il Giappone. Va a cicli, umori, ondate. Il Giappone, in una certa misura, è parte dell'Altro: "i musi gialli", "i jap", "il sol levante", "il pericolo giallo". Non che la cosa si sia esaurita. Diciamo però che ha perso d'importanza, perché il Giappone per molti versi fa parte della stessa unità economica a cui appartengono gli Stati Uniti. Si tratta di una società industriale avanzata che, pur appartenendo a una cultura diversa da quella degli Stati Uniti, non rappresenta, dal punto di vista culturale, una minaccia. La minaccia, nel caso del Giappone è stata esclusivamente economica. Nel caso dell'Islam si tratta invece di una minaccia che riguarda la sfera culturale religiosa razziale, geografica. È vero che, circa un anno fa, la no;tra stamp~ e il nostro governo hanno attaccato con una certa virulenza il Giappone, ma oggi che questo paese è in difficoltà economica nessuno ne parla più. Come è organizzata la comunità islamica di New York e più in generale degli Stati Uniti? In modo incoerente. Non ne esiste solo una, perché tutte le divisioni tipiche del mondo islamico vi si riflettono. In questo paese, ad esempio, i muslim pakistani o del Bangladesh subcontinentale hanno assai poco a che spartire con i muslim iraniani o con quelli provenienti dai paesi del Medio oriente. I muslim dei vari paesi arabi hanno ben poco a che fare gli uni con gli altri, perché nelle loro relazioni prevalgono nettamente le questioni nazionali, il rapporto che esiste tra Siria e Libano o tra Libano e Giordania e tra Giordania e Egitto ecc. Negli Stati Uniti esistono comunità islamiche provenienti da ognuno di questi paesi, ma sono divise le une dalle altre esattamente come nei loro paesi d'origine. No, qui non esiste un blocco arabo o islamico identificabile in quanto tale e capace di autoidentificarsi e di agire di conseguenza. Cheforma prende oggi, negli Stati Uniti, il razzismo? E si può parlare di un nuovo razzismo? A mio parere la forma di razzismo più recente e maggiormente tollerata, per non dire approvata, è diretta contro gli arabi. Non vi 9
IL CONTESTO è dubbio. Per esempio, due mesi fa, qui a New York si è svolta un'importante cena di beneficenza, a cui è intervenuto Henry Kissinger. Durante il suo discorso -e la situazione era assolutamente ufficiale - Kissinger ha detto testualmente: "Non si può credere a niente di quello che dice un arabo". Se avesse detto: "Non si può credere a niente di quello che dice un 'ebreo' o 'un nero'", non gliela avrebbero lasciata passare. Ma in questo caso, lo hanno applaudito. Erano d'accordo. lo lo chiamo razzismo che gode dell'approvazione generale: a proposito degli arabi si può dire di tutto, come è successo durante la guerra del Golfo. Li si può chiamare 'carne da cammello', 'teste imbottite', 'wogs' (modo violento e offensivo di definire l'appartenenza geografica di una l?ersona: terrone, cafone), a-rabbie (feccia, marmaglia), terroristi. E questa la forma più nuova di razzismo e gode di un consenso generalizzato. Ci sono ovviamente altre forme di razzismo che stanno ricomparendo, ad esempio l'antisemitismo, e c'è quell'altro razzismo, costante e secondo me mai cambiato, che ha come bersaglio gli afro-americani. Continua come sempre. In questo paese, dal punto di vista culturale e intellettuale, l'atmosfera è assai tesa. Esiste una specie di consenso diffuso secondo cui la gente di colore e le cosiddette razze emergenti, neri, latino-americani ecc - è da ricordare, tra l'altro, che numericamente è sempre più difficile considerarle minoranze - si sono spinte un po' troppo in là nell'affermazione dei loro diritti, che hanno esagerato a forza di imporre il loro punto di vista e a invadere le accademie americane come oggetto di studio da rivalutare. Stiamo assistendo a quello che definirei uno spostamento di interesse: ci si sta concentrando sulle civiltà occidentali classiche e sull'idea che facciamo parte della cultura giudaico-cristiana, una cultura fondamentalmente bianca. L'intera lotta in favore del multiculturalismo sta svanendo senza lasciare tracce. Vi è il senso diffuso che l'America sia una società coerente. La si rappresenta come una società coerente, costretta dalla storia a lanciarsi in imprese avventurose nel mondo extra-americano, come nel caso della guerra del Golfo. Non bisogna dimenticare che proprio questa guerra ha avuto una parte importantissima nel disegnare l'attuale ruolo degli Stati Uniti. Cosa si può prevedere per i prossimi due o tre anni? In che direzione andrà la politica estera statunitense? La grossa ironia o il paradosso della nostra politica estera è che gli Stati Uniti sono diventati una potenza economica in declino. Non ci sono soldi! D'altro canto, l'ambizione statunitense di essere i poliziotti del mondo non accenna a affievolirsi. Ultimamente questo fatto ha preso una forma nuova e sottile. Vale a dire che usiamo le Nazioni Unite come un'estensione della nostra politica estera. Il 17 agosto le Nazioni Unite hanno discusso su un nuovo documento che ne dovrà rappresentare le linee politiche per i mesi a venire. Si tratta di un documento che parla della pace e di come mantenerla nel mondo. Beh, è un documento essenzialmente occidentale e sponsorizzato soprattutto dagli Stati Uniti. L'idea centrale è che gli Usa useranno la loro forza economica, politica e soprattutto militare per influenzare le Nazioni Unite e spingerle a prendere posizione. Esattamente come durante la guerra del Golfo. Il nuovo modello è questo. Credo che rappresenti un precedente molto pericoloso, perché è diretto sostanzialmente contro il Terzo mondo. Voglio dire che gli Stati Uniti sono stati molto prudenti quando si è trattato di prendere posizione sulla questione jugoslava. In quel caso il loro intervento si è ridotto al minimo. Ma quando si tratta di Terzo mondo, Africa, America Latina! Pensiamo all'invasione di Panama, di Grenada, dell'Iraq. Ne vedremo molte altre dello stesso tipo, perché, su questo piano, credo che tra repubblicani e democratici esista un'intesa assoluta. E perché gli Stati Uniti 10 sono sostanzialmente isolati dal resto del mondo. In questo paese si può crescere sapendo ben poco di quello che sta fuori dai confini nazionali. Qualche mese fa si è svolto un concorso scolastico interstatale a cui partecipavano studenti di quindici/sedici anni. Alla domanda "dove si trova Toronto?", I' 89% ha risposto "in Italia", per via della o finale. La comprensione geografica del resto del mondo da noi è molto ridotta. La gente oggi è completamente eterodiretta. I miei figli, ad esempio, sono cresciuti con la televisione. La televisione dà un'immagine molto distorta del mondo. Di conseguenza si ha una popolazione di fatto facilmente manipolabile. Non acculturata, non dotata di senso critico come in passato. Sono quindi molto spaventato per il futuro, perché la storia degli Stati Uniti è la storia di una missione imperiale nei confronti del resto del mondo, la stessa del Capitano Achab inMoby Dick. È nostro compito occuparcene. E non c'è bambino, indipendentemente dal suo retroterra razziale, etnico, culturale, linguistico, che, una volta cresciuto in America, non sia convinto che NOI siamo il popolo che combatte per la democrazia in tutto il mondo, che NOI siamo il migliore dei popoli, che NOI siamo il numero uno. C'è un libro, uscito un paio di anni fa, scritto da un pòlitologo di Harvard, Joseph Nyatt e intitolato Bound to Lead. L'autore, subito dopo la guerra del Golfo, ne ha prodotta una seconda versione, in cui affermava che anche l'Iraq ammetteva che noi avessimo una missione mondiale. Credo che andremo avanti così, anche se molte cose impediscono alla nostra attuale politica estera di avere il successo che aveva negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. Ci sono segnali di opposizione politica interna? No, e questo è il problema. Il grosso problema è che l'opposizione politica in questo paese, in parte a causa delle enormi dimensioni del suo territorio, è sostanzialmente dispersa. Prendiamo laguerra contro l'Iraq.All'epoca non c'è stataalcuna opposizione intellettuale a cui fare riferimento. C'erano pochi individui, Chomsky, io, cinque o sei altri che giravano il paese intervenendo pubblicamente contro il conflitto, ma in generale l'opposizione è esistita nei piccoli centri, non si è creata opposizione a livello nazionale. Credo si sia trattato in parte di un fatto generazionale: l'opposizione cresciuta contro la guerra del Vietnam era morta. Eravamo di fronte a un nuovo nemico, a un nuovo mondo. Il mondo islamico e arabo, come ho già detto, non è considerato qualcosa per cui la gente dovrebbe combattere o a favore del quale schierarsi in modo da evitare che gli venga dichiarata guerra. Ecco dunque che ci si è trovati di fronte a un'opposizione dispersa, frammentata, disorganizzata. E soprattutto io penso che il problema principale sia stato che in questo paese la cosiddetta sinistra è diventata accademica. E gli accademici parlano solo tra loro. Se, tanto per fare un esempio, si prende in mano il libro di un marxista o di un teorico della sinistra, un testo che tratti di politica, di cultura o di storia, c'è rischi odi non capirlo. Hanno scelto di usare un linguaggio ermetico, che ha come destinatario il ristretto circolo degli altri intellettuali. Quindi l'idea stessa di un pubblico nazionale è morta. Naturalmente in questo i media hanno avuto un ruolo straordinario, come si è visto durante la guerra del Golfo. Questa guerra è stata un momento di svolta importante, perché ha prodotto una collaborazione piena tra media e governo e un vuoto assoluto di dibattito. Si può dire che tutta la gente comparsa sugli schermi in quei mesi, tutti i vari intervistati, fossero sostanzialmente in favore della politica del governo. Inoltre, a différenza di quanto era successo in tutte le altre guerre, in questo caso era scomparsa la figura del reporter di prima linea, del testimone oculare. Diciamo che si era creata una situazione di reale unanimità. Eppure bastava andare a vedere cosa ci fosse dietro. Parlando con Chomsky e con i pochi che all'epoca andavano in giro per il paese prendendo posizione contro la guerra, ho verificato che la risposta della gente c'era. Il
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