Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

IL NARRATORE Jairo Anfbal Nino traduzione di Danilo Manera II colombiano Jairo Anibal Nino (Moniquira, 1941) è noto soprattutto per il suo lavoro in campo teatrale come attore, regista e drammaturgo (tra i suoi testi più rappresentati: Il colpo di stato, Le nozze dello stagnino o il ballo degli arcivescovi, Gli inquilini dell'ira e Il sole sotterraneo). È anche poeta e sceneggiatore cinematografico, nonché insegnante presso la Scuola Superiore di Teatro di Bogotà. Importante è infine la sua produzione rivolta al pubblico infantile, culminata nel successo di Zoro ( 1977), che narra le fantastiche peripezie dell'omonimo protagonista bambino tra la lussureggiante natura equatoriale. Ha pubblicato alcune raccolte di racconti in cui emerge un costante interesse per la figura del narratore orale popolare. In quello che presentiamo (tratto dal n.6 della rivista "Litoral" di Lanzarote, per amichevole concessione del suo direttore Antonio Félix Martfn Hormiga), il cantastorie ci ricorda come anche l'arte più umile può contrapporsi alla violenza del potere. Peccato che succeda solo in qualche favola. ( D. M.) Il tiranno venne un giorno a sapere che tra le montagne viveva un formidabile contastorie e ordinò al suo ministro della guerra di catturarlo. I soldati lo acchiapparono mentre navigava su una zattera di giunchi odorosi in un lago color della notte. Lo condussero in catene al palazzo. Il despota osservò con minuziosa attenzione le sue mani callose, la sua pelle brunita, le sue larghe e forti spalle. Quando lo guardò negli occhi, l'autocrate si sentì turbato. In quello sguardo scoprì qualcosa di simile a un nuotatore dorato e bronzeo nel!' acqua della pupilla. Ordinò allora ali' uomo che raccontasse una storia. Il narratore, minacciato dalle guardie armate, disse con una voce dura da uomo di mare: "Non si può raccontare nessun racconto quando si è incatenati". Il tiranno fece un cenno con la testa e l'uomo fu liberato dai ferri. "Racconterò una storia delle terre calde", annunciò il narratore. Quando cominciò a parlare del viaggio di Fatima Montes e Pedro Maria Valiente verso il posto dove cresceva il cespuglio dell'allegria, allo scopo di raccogliere i suoi semi e spargere la sua musica e il suo aroma per ogni recesso della fangosa palude, il grande salone del palazzo si trasformò in un luogo in cui scorreva un fiume navigabile e i presenti videro i personaggi della favola viaggiare sotto un cielo d'aironi fino a giungere in un luogo dove s'accamparono, nelle vicinanze di un boschetto d'alberi di guayaba, accanto a delle rosse e succose pere, e s'inumidirono le labbra con la generosa dolcezza delle amarene. Fatima e Pedro stesero una tovaglia bianca sull'erba e apparvero i fiocchi delle focaccine di manioca e come una pioggia d'oro le palline delle uova dei pesci del fiume. Dopo mangiato, Fatima cantò la romanza del povero che s'era innamorato di una principessa molto ricca e molto bella. Triste e adirato per il disprezzo e le crudeltà della nobildonna, una notte in cui la luna si mutò nella pupilla di un cavallo magico, il povero immerse il ritratto della principessa in un bicchiere di vino e se la 90 bevve. In quel preciso istante lei si liquefece nei suoi appartamenti del palazzo e dovette continuare a navigare nelle viscere del povero per tutta la vita. Quando terminò la melodia, nel salone sorse la pelle di fiore di FatimaMontes e s'intravvidero i suoi occhi d'un nero incandescente, mentre serena e tranquilla si coricava accanto al suo amante sulla sabbia del tropico. Poi scese la notte sul fiume, cedendo il passo a un gigantesco giaguaro farfalla con fattezze umane che avanzava verso la corrente per abbeverarsi. Il giaguaro restò inebetito a guardare il corpo nudo della ragazza, sentì una pioggerella dolce sui suoi occhi celesti e stupefatto volle palpare il meraviglioso eccitamento che avvertiva per la prima volta nella parte più oscura del petto. Con le sue unghie d'acciaio si fece un taglio profondo e, mentre sveniva, il cuore insanguinato gli galoppava tra gli artigli. Il despota, affascinato dal!' abilità del narratore nel convertire in vita la parole e spinto dalla sua grande cupidigia, esclamò: "Adesso ti ordino di raccontare la storia delle miniere del re Salomone". L'uomo disse: "Non si può mai lasciare una narrazione ametà. Prima bisogna finire questo racconto". Il tiranno sguainò la spada e grugnì: "E va bene. Finiscilo. Ma alla svelta". Il contastorie replicò: "Lo concluderò e avrà un lieto fine". Il narratore parlò allora delle battaglie che sostennero Fatima e Pedro contro le colombe di vetro che cavano gli occhi alle persone per alimentarsi con tutte le figure da essi viste durante la vita, che se ne stanno acquattate nel centro della pupilla, e narrò l'incontro con il fiore canterino e le interminabili notti d'attesa tenendosi ben stretti lungo tutto l'orlo del mondo, fino al giorno in cui giunsero a un cascinale illuminato e lì, in un patio verdemare, trovarono il cespuglio dell'allegria. Il narratore lasciò che i suoi carcerieri, attratti dalla ingioiellata presenza del cespuglio dell'allegria, entrassero poco a poco nel racconto. Quando si erano ormai addentrati per varie miglia verso il centro del racconto, il contastorie esclamò: "Fatima Montese Pedro Maria Valiente raccolsero i semi che brillavano nelle loro mani come diamanti e non si resero conto che i loro nemici stavano lentamente stringendo l'accerchiamento fatale. All'improvviso, da uno dei semi scaturì una luce che andò crescendo fino a trasformarsi in un tapiro gigantesco che sprizzava fiamme dalla proboscide e che si scagliò, in difesa di Fatima e Pedro, contro i loro avversari, distruggendoli". Il contastorie scorse, in mezzo ali' immensa nuvola di polvere del palazzo abbattuto, il tiranno e i ;uoi sgherri carbonizzati e disse: "Il racconto è finito". Guardò il cielo stellato, sorrise e si mise in cammino verso le montagne. Copyright Jairo Anfbal Nifio, 1990.

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