Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

attuare il regno di Dio". Ma contrariamente alla sua aspettativa, i discepoli tornarono e l'apparizione del Figlio dell'uomo non ebbe luogo. È questo per Schweitzer il momento cruciale nella vita di Gesù; egli comprese allora l'insufficienza della predicazione della penitenza; occorreva qualcosa di più e di veramente decisivo, la propria passione, cioè l'atto gratuito per eccellenza: dare la vita per il Regno. Dunque l'insegnamento escatologico di Gesù ci dice che l'avvento del Regno dipende dal comportamento umano a condizione che questo sia ispirato alla gratuità; e che un comportamento gratuito comporta la passione, cioè il dono della propria vita fino, in determinate circostanze, al dono della stessa vita fisica; si stabilisce così un rapporto diretto e in certo senso necessario tra gratuità nel comportamento e reale cambiamento storico. Ora tutte queste affermazioni hanno carattere dogmatico, hanno cioè significato solo in quanto espressione di convincimenti personali non dimostrabili; potrebbero essere comprovate _soloa posteriori, vale a dire escatologicamente, dunque fuori della storia, dunque mai. Il Vangelo di Giovanni ha colto in profondità questa situazione annullando l'attesa escatologica, e affermando l'escatologia come già realizzata nell'atto stesso in cui l'amore, cioè la gratuità, è praticata. Torniamo al testo di Matteo. Ciò che il discepolo ha ricevuto gratuitamente è la convinzione profonda, totalizzante, che egli può provocare l'avvento del Regno di Dio, cioè di un un regno di giustizia, ma può farlo solo indirettamente. La sua azione è necessaria e sufficiente, ma la conseguenza certa della sua azione non è a sua misura. Il Regno, si pensi alle parabole, non ha alcun rapporto con i desideri e l'immaginazione umana, è qualcosa che si può solo provocare non costruire, esso viene da altrove; altrimenti sarebbe necessariamente a nostra immagine e somiglianza, e questo tipo di regno c'è già, lo costruiamo tutti i giorni. Dunque "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" significa innanzitutto che occorre cambiare se stessi per cambiare il mondo, testimoniando questo cambiamento. Rileggiamo un brano di questo discorso che nella storia del cristianesimo è da sempre una pietra d'inciampo, basta pensare a Francesco: "Andate dunque e predicate dicendo: "Il regno dei cieli si avvicina". Curate gli infermi, resuscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i démoni; gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date. Non fate provvista né di oro né di argento né di denaro nelle vostre cinture; né di bisaccia per il viaggio, né di due tuniche, né di scarpe né di bastone; infatti l'operaio è degno del suo nutrimento. In qualunque città o villaggio entrerete, ricercate chi vi è che sia degno e dimorate presso di lui fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, salutatela, e se essa sarà degna venga la vostra pace su di essa; ma se non è degna, la vostra pace ritorni a voi. E se qualcuno non vi accoglie e non ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città, scuotete via la polvere dai vostri piedi." (Matteo, 10, 7-14) Qui troviamo delineato per tratti essenziali soltanto un comportamento. Non vi è. un contenuto dottrinale, a parte la semplice affermazione sull'approssimarsi del Regno, e quindi neppure una predicazione. Non si tratta di persuadere nessuno, ma solo di presentarsi in un certo modo, poveramente, di compiere degli atti, anche straordinari ma senza particolare enfasi, come se anche i miracoli fossero operazioni di ordinaria amministrazione ("siamo servi inutili"), e di passare rapidamente oltre. Non c'è niente da costruire perché non c'è progetto, neppure quello di salvare chicchessia; in certo senso ci si occupa più dei corpi che delle anime. La conseguenza inevitabile di questo comportamento sarà di ritrovarsi come "pecore in mezzo ai lupi", sarà dunque la sofferenza e al limite la passione. Ma in definitiva questo non ha molta IL CONTESTO importanza, è nell'ordine delle cose; è una prova che, se accettata, ha significato solo come provocazione ultima del Regno, impone la sua venuta. 2. Ma si chiederà: e la politica? cosa ha a che fare tutto questo con la politica? Moltissimo, mi sembra; a cominciare dalla semplice constatazione che ogni comportamento consapevole e determinato ha valenza eminentemente politica; e non a caso qui si parla di regno: il cambiamento, la conversione, non è nella predicazione di Gesù fine a se stesso, ma per il Regno. E tuttavia l'interrogativo è giustificato a motivo dell'idea che noi moderni abbiamo della politica. Qui devo semplificare nel tentativo di andare il più direttamente possibile al centro della questione. Che cosa è per noi la politica, cosa pensiamo esattamente quando facciamo uso di questa nozione? Negli anni Sessanta e Settanta era un luogo comune della sinistra radicale affermare che tutto è politica, oggi la sinistra moderata afferma la necessità di porre dei limiti alla politica, in mezzo, negli anni Ottanta, si è tentato di volgere semplicemente le spalle alla politica per precipitarsi nel privato. Mi sembra che in tutto questo vi sia una difficoltà forte a pensare la politica in un rapporto chiaro con la propria vita personale e pubblica, o meglio a pensare le ragioni personali della politica; per cui si oscilla tra una concezione totalizzante e il puro rigetto. Ora in tutti questi esempi, o momenti recenti della nostra storia, è evidente che il politico è sempre pensato come una sfera a se stante dell'esistenza sociale, una sfera la cui estensione può essere variamente accresciuta o ristretta, ma che è comunque vissuta come separata. Naturalmente diverso è se la sua estensione è massima: vuol dire allora che l'individuo sarà portato a pensare ogni suo atto in termini politici, vale a dire subordinando se stesso alla società, al limite fino all'identificazione (totalitarismo), oppure, all'estremo opposto, penserà se stesso in opposizione alla società, porrà il proprio interesse contro quello della società, o meglio penserà la società come la somma casuale degli interessi personali (liberismo). Questo secondo caso a prima vista può sembrare migliore del primo; ma di fatto la somma degli egoismi non determina una società di uomini liberi, ma una società in cui si afferma un libero gioco di forze, innanzitutto economiche, in cui alcuni individui, di solito una minoranza, ma potrebbe anche essere una maggioranza come si sta verificando oggi nei paesi più ricchi, domina la parte più debole della società. Non per caso, credo, la nostra storia recente è stata segnata a fondo da un conflitto, quello tra capitalismo e comunismo, presentato e per lo più vissuto come scelta di civiltà, ma che di fatto è ampiamente servito a mascherare il problema vero, che è quello del rapporto tra individuo e società, cioè uno scontro in cui è stata essenzialmente compromessa la possibilità di pensare, di operare, di battersi per "la subordinazione della società all'individuo", secondo una formula di Simone Weil, forse un pò riduttiva del problema ma efficace per rimettere sui piedi la questione sociale. Voglio dire che la grande difficoltà per noi di coniugare l'ambito religioso e quello politico, è prima di tutto una difficoltà di ordine storico e antropologico dal momento che abbiamo concepito questi due ambiti, e quindi anche l'ambito morale, come separati. Non è qui il caso di ripercorrere il processo che ci ha portato a questo, ma è utile aver presente la ragione essenziale che lo ha determinato tra Sei e Settecento. Cioè l'esigenza di liberarsi dal potere totalizzante della teologia, espressione a sua volta dello spirito totalitario della Chiesa formatosi in epoca tardo medievale. All'origine di questa separazione si è soliti porre Machiavelli e la sua "verità effettuale della cosa", cioè della politica intesa come scienza delle leggi effettive della gestione del potere. Una separazione che per altro Machiavelli sentì tanto necessaria quanto 7

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