Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

INCONTRI/LOPES · suoi libri, seppure nei modi della critica. Che rapporto esiste tra politica e letteratura? Penso che, ad un certo livello, siano complementari e possano illuminarsi a vicenda. Ma - per usare una metafora - tra Cesare e Dio, oggi scelgo Dio. La politica, anche nella sua accezione più elevata, che è ad esempio quella di Platone, è sempre il luogo dell'immediatezza. Il politico elabora di continuo piani e strategie (nel bene e nel male) per avere dei risultati subito, hic et nunc, in modo da accedere o mantenersi al potere. L'artista invece rifiuta di prendere in considerazione il tempo; non ha bisogno di essere compreso e apprezzato subito; quando crea un'opera, non si pone scadenze.C'è dunque una differenza fondamentale tra il politico e lo scrittore: quest'ultimo agisce sul lungo periodo; il primo - qualunque cosa egli dica - guarda sempre a scadenze ravvicinate, quindi deve venire a patti con la realtà, con il collettivo a nome del quale vuole parlare. Il creatore invece è libero, non appartiene ad alcun collettivo. Direi quasi che nel suo piccolo è come Dio, ma forse lo scrittore assomiglia di più a un profeta, perché il profeta è colui che è ispirato. Per affrontare il tema della politica ha tratto spunto dalla sua personale esperienza? Certo, le attività politiche che ho svolto ad un certo momento della mia vita mi hanno spinto ad occuparmi della politica anche nei miei romanzi. Allo stesso tempo però scrivere era un modo per ricreare una certa distanza nei confronti di tali attività. Ben inteso, credevo a ciò che facevo, ma contemporaneamente l'intuizione mi diceva che negli apparati l'artista può perdere l'anima. In ogni caso, anche se non avessi svolto alcuna attività politica, avrei comunque scritto su tale tema, perché l'Africa - dall'indipendenza a oggi - è un mondo in cui la politica è dappertutto, all'angolo di ogni strada, in ogni relazione, può manifestarsi persino nell'amore. Insomma, anche quando non lo si vorrebbe, si è sempre implicati in una situazione politica. È per questo che da qualche tempo vado dicendo che in Africa sarebbe necessario depoliticizzare la politica e coltivare di più i dirigenti politici, i quali dovrebbero avere un po' più di cultura, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche nel senso di una più profonda sensibilità: i politici dovrebbero ricordarsi che hanno ricevuto un mandato non per fare carriera ma per risolvere i problemi quotidiani della gente. Nel suo romanzo Le pleurer-rire, il personaggio del dittatore è una marionetta grottesca, che però ricorda la realtà di certe tragedie africane ... Naturalmente ci sono diverse chiavi attraverso cui leggere il personaggio del dittatore. Si è pensato a questo o a quel despota africano. In genere però non si pensa che quel personaggio terribile rimanda in fondo anche a ciascuno di noi: ad un certo punto del libro dico che non esiste dittatura senza una qualche complicità popolare. Secondo me, infatti, in ciascuno di noi dorme un dittatore, anche in coloro che sono sottoposti alla dittatura. Ci si accorge di ciò proprio in questi anni, durante i quali in Africa assistiamo ad alcune aperture democratiche: purtroppo, per molte persone la democrazia è solo un modo per arrivare al potere e per regolare i propri conti con gli sconfitti. 82 Le pleurer-rire si chiude drammaticamente e senza alcun orizzante di speranza. È così pessimista sulla situazione africana? Se scrivo un libro è perché in fondo ho ancora qualche speranza. Detto ciò sono però contro ogni happy end. Quando una storia finisce bene, si ha voglia di andare a dormire e di lasciar scorrere le cose. Secondo me, occorre invece indispettire e inquietare. Questo è il mio scopo: sono un ottimista, ma non credo che il mondo possa migliorare rapidamente. Gli avanzamenti saranno lenti, sulla nostra strada troveremo nuovi incubi, bisogna esserne coscienti, anche se non bisogna perdere la speranza nel genere umano. Non mi chieda perché, è così, è la mia religione. Pensa dunque ad una specie di letteratura engagée? Non parlerei di letteratura engagé ma di letteratura engageant, dato che la prima è spesso noiosa e banale: oltretutto non sono certamente le belle immagini che rendono la gente migliore. È necessario invece essere inquietanti e far nascere nei lettori il desiderio di trasformarsi e trasformare la realtà che li circonda. Per fare ciò però non bisogna essere noiosi, bisogna affascinare, essere un poco istrioni. È per questo che spesso nei suoi romanzi la critica di una realtà drammatica si serve sempre delle più diverse tonalità dell'ironia? Per me l'ironia è l'unica arma con cui inAfrica oggi possiamo avanzare. L'Africa guarirà dei suoi mali solo se passerà dalla paranoia degli anni che hanno seguito l'indipendenza all'ironia critica. Si tratta di un atteggiamento fecondo: attraverso l'umorismo si può avere una visione seria delle cose; e secondo me, è importante non perdere il sorriso, perché ci permette di prendere le distanze e conservare la speranza. La lingua delle sue opere è assai elaborata e complessa, sfrutta diversi registri linguistici, utilizza costrutti tipici del francese parlato in Africa ... Lo scrittore non è un reporter, deve sedurre, deve piacere e far sognare. Non a caso prima ho ricordato che tengo molto a Rilke: amo dunque la fascinazione e l'incantesimo. Tutto ciò si costruisce attraverso la lingua. Personalmente però ho un problema con la lingua, dato che io non scrivo il francese, ma in francese. Ora, si sa che il romanzo evita le spiegazioni (quando ci si lancia nelle spiegazioni significa che non siamo riusciti a fare quello che ci proponevamo) e procede per strizzate d'occhio, per scorciatoie, per allusioni: ma un'allusione comprensibile per un congolese non è detto che lo sia per un senegalese, per un algerino o, a maggior ragione, per un francese. Eppure scrivendo in francese mi rivolgo anche a quest'ultim9, quindi devo tenerne conto, cercando di essere comprensibile sia ai lettori africani che a quelli europei. Quindi, quando scrive, pensa ad un pubblico particolare ... Quando scrivo penso innanzitutto al pubblico africano, altrimenti non scriverei, dato che al mondo ci sono già abbastanza libri senza che si abbia il bisogno dei miei. Leggendo gli scrittori

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