Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

OPERA METICCIA Incontro con Henri Lopes a cura di Fabio Gambaro Henri Lopes (Kinshasa, 1937) è oggi uno dei più significativi scrittori africani di lingua francese. Meticcio e di nazionaliti1 congolese, Lopes ha al suo attivo una raccolta di racconti, Tribaliques (1971 ), e cinque romanzi: La nouve/11: romance (1976), Sans tamtam (1977), Le pleurer-rir1: ( 1982),Le chercheurd'Afriques (1990, in traduzione pressoJakaBook,Surl'autr1: rive ( 1992). Soprattutto L1: pleurer-rire è ormai un classico della letteratura africana, ali' interno della quale esso si impone per la critica ironica e violenta della degenerazione politica nelle società africane nate dall' indipendenza. Quello della politica è un mondo che Lopes conosce bene, visto che durante gli anni Settanta ha ricoperto importanti cariche pubbliche: ad esempio, dal 1973 al 1975, è stato Primo Ministro della Repubblica Popolare del Congo. Dal I981 vive a Parigi e lavora presso l'Unesco, di cui oggi è il vice direttore generale per la cultura. Henri Lopes, può dirmi qualcosa della sua formazione culturale? Appartengo ad una generazione di africani nati durante la colonizzazione. Sono venuto in Francia nel 1949 per continuare i miei studi prima al liceo e poi all'università, laureandomi così in storia alla Sorbona. Sono tornato in Africa nel 1965, dove ho iniziato a lavorare come professore di storia. D'altra parte mi sono sempre interessato anche alla letteratura e alla filosofia, tanto che alla fine degli anni Sessanta ho iniziato a scrivere. Nel 1971, la raccolta di racconti Tribaliques è stato il primo risultato di questo mio impegno nella scrittura. A quel!' epoca quali erano le sue letture preferite? Ho una formazione classica, francese e latina. Durante l' adolescenza ho letto soprattutto i grandi autori dell'Ottocento francese e europeo: credo ad esempio che Dostoevskij abbia avuto un ruolo importante nella mia formazione. Un altro autore che ha contato molto è stato Louis Aragon, ma quello che posso considerare come il mio livre de chevet è Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke. Conosceva gli autori della letteratura africana? Ho scoperto gli scrittori africani alla fine degli anni Cinquanta, attraverso l' Anthologie de la poésie nègre et malgache de langue francaise curata da Senghor. Quel libro per me fu una vera rivelazione. In seguito, ho cercato di approfondire la conoscenza di alcuni autori che corrispondevano maggiormente alla mia sensibilità, come Aimé Césaire, Léon Damas e Guy Tirolien, che ho conosciuto 80 personalmente e con il quale ho avuto scambi fruttuosi fino alla sua morte. Poco a poco, ho letto tutto ciò che apparteneva al mondo nero: ad esempio, autori americani come James Baldwin, Richard Wright, Langston Hughes. Ma è nel romanzo africano di lingua inglese che ho trovato un mondo che mi si addiceva in modo particolare: a differenza degli scrittori dell'Africa francofona, gli scrittori anglofoni avevano una grande profondità di discorso, ponevano meglio i problemi della nostra epoca e non erano esclusivamente rivolti al passato. Due nomi soprattutto mi sembravano innalzarsi sugli altri: Peter Abrahams e Chinua Achebe, che per me è il più grande romanziere africano. A questi nomi oggi aggiungerei quelli di alcuni autori più giovani, come ad esempio André Brink e John Coetzee. Nel suo penultimo romanza, Le chercheur d' Afriques, emerge il tema della coesistenza di due culture, una occidentale e una africana. A questo proposito, qual è stata la sua personale esperienza? Vivere tra due culture è stato un limite o un arricchimento? A meno di non avere già una personalità tutta d'un pezzo, quando si è bambini e adolescenti si cerca la sicurezza di un gruppo in cui inserirsi, nella famiglia come nel mondo esterno. In entrambi questi ambiti, io ho vissuto in maniera molto dolorosa la lacerazione che era in me. Da piccolo avevo numerosi complessi, non ero sicuro della mia identità, non sapevo a quale gruppo appartenevo. Negli anni dell'adolescenza inoltre ho assistito alla presa di coscienza nazionale dei paesi africani. Quando ero a scuola in Francia, i miei fratelli africani militavano per l'indipendenza. lo all'inizio ho avuto qualche esitazione, dato che, pur essendo favorevole all'indipendenza dell'Africa, mi domandavo di continuo se sarei stato accettato come un vero africano, ben sapendo che non sarei mai stato un vero francese. Poi, dopo esser tornato in patria, poco a poco ho superato questo problema: così, oggi mi sento bene, nonostante l'incerto colore della mia pelle e nonostante l'ambiguità del mio nome. Oggi in realtà considero la mia doppia identità come un vero arricchimento. E sul piano linguistico? La mia lingua di riferimento, quella della cultura, è il francese; l'altra lingua - che amo altrettanto, ma che non è una lingua scritta - è il lingala. Poi ci sono tutte le altre lingue che ho imparato in seguito, quelle africane e quelle europee, tutte mi arricchiscono. Spesso sono presentato come un militante della francofonia; personalmente però ricordo sempre che lo sviluppo della francofonia non deve essere né esclusivo né aggressivo nei confronti delle altre lingue. Questa visione aperta è la mia eredità africana: quando ero bambino parlavo infatti quattro o cinque lingue africane, dato che da noi in Africa ogni cinquanta chilometri si cambia lingua, e imparare un'altra lingua non è l'exploit che si crede in Europa. Le lingue sono uno strumento per vivere: parlare le lingue dei vicini fa parte della buona educazione, dato che esse sono il mezzo che permette di accogliere bene lo straniero. Le chercheur d' Afriques è caratterizzato da continue oscillazioni temporali, le quali, oltre che essere un espediente per

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