IL CONTESTO Jugoslavia, soldati (foto di Ron Haviv/Sabo/Con11aslo). Jugoslavia è stata rivolta ai pacifisti la domanda fatale: dove siete? Cosa state facendo? I pacifisti e i nonviolenti, in realtà, anche prima che il conflitto scoppiasse hanno cercato come potevasno di impedire il peggio e di porre il problema di una convivenza civile tra le parti. Hanno cercato di tessere le fila del dialogo possibile. In verità, ancorché "utopisti" e "profetici" - qualità che gli avversari spesso concedono loro, sia pure trattandoli con sufficienza e da candidi ingenui, nel migliore dei casi - sono stati in effetti "realisti" e "concreti". Soprattutto dopo lo scoppio del conflitto e in particolare con l'incendiarsi delle ostilità in Bosnia-Erzegovina, ci si è preoccupati di operare concretamente in favore dei più deboli ed esposti. I profughi, la folla di disperati in fuga dalle regioni in guerra, sono stati la preoccupazione principale. Le visite ai campi, la gestione diretta di iniziative di sostegno e di intervento sul posto, la controinformazione sui ritardi dei governi, l'appello ali' opinione pubblica e alle forze politiche, sociali, religiose affinché si mobilitino è andato di pari passo alla reiterazione del messaggio di dialogo e di pace. Il gruppo della "Casa della nonviolenza" di Verona, il Movimento di Azione nonviolenta, le "Donne in nero", il movimento "Beati i costruttori di pace" e l'Associazione per la pace si sono dati da fare in questa direzione. Oggi siamo però a un punto nuovo e cruciale della crisi. Chi ha a cuore la pace, il rispetto dei diritti umani che in guerra viene totalmente meno, e anche nelle retrovie della guerra, nei campi di prigionia sempre più simili a campi di sterminio, nell'accanimento contro gli inermi, chi non vuole più vedere le armi sparare, deve assumere un nuovo livello di presenza e di proposta. In questi giorni di fine agosto, faticosamente ma con ostinazione, si sta lavorando a un'iniziativa audace e per certi versi estrema che potrebbe rispondere al bisogno di colmare il vuoto tra l'ignavia e la logica delle armi. Avviata dall'animatore del movimento "Beati i costruttori di pace", don Albino Bizzotto, è in via di definizione l'operazione "A Sarajevo, disarmati, per la pace". L'idea è quella di far giungere a Sarajevo una sorta di corpo nonviolento di spedizione, di volontari civili, che vada a interporsi pacificamente tra le parti e che dimostri, ai belligeranti e ali' opinione pubblica internazionale, che c'è lo spazio per una vera azione di dialogo, anche in una situazione estrema come l'attuale. Che dimostri che i pacifisti e i nonviolenti ci sono. Che ci sono stati nel corso di quest'anno e che non si tirano indietro neppure adesso. Che non intendono cedere alla logica della distruzione ulteriore, neppure a fini di pace. Che nessuna "tempesta", come proprio l'lrak ha dimostrato, recherebbe, dopo, una vera quiete. Le difficoltà sono enormi, nessuno se lo nasconde. Scetticismo, timori, ostacoli pratici, tra i quali il problema chiave di arrivarci davvero a Sarajevo, sono ovviamente ben presenti a chi sta lavorando a questa "operazione". Ma ben presente è anche la drammatica, e anzi tragica prospettiva che diversamente si configura. Oggi la proposta nonviolenta deve assumere il rischio fino in fondo, pena il testimoniare soltanto la propria impotenza di fronte alla barbarie delle armi. Era già accaduto nella fase successiva alla resa del- !' esercito irakeno, quando Saddam, cessato il fuoco contro le forze occidentali, rivolse le armi contro i profughi kurdi dall'altra parte del paese. Era, ovviamente, accaduto anche prima dello scoppio della guerra contro Saddam. Il pacifismo fu allora assai più ambiguo. Di fronte all'aggressione dell'Irak al Kuwait si esitò ad assumere veramente il problema e a proporre vie efficaci di intervento. Solo a un passo dalla Tempesta ci si schierò sull'embargo, per esempio, dimenticando che la via nonviolenta non è comunque una via di passività, tantomeno al cospetto della prepotenza. Così, oggi, bisogna evitare di rifare quegli errori. Vale la pena di provare, dunque, di pensare a una ipotesi radicalmente diversa di intervento. A settembre una carovana potrebbe mettersi in viaggio, per aprire la strada a un intervento disarmato ma forte della comunità internazionale e testimoniare con realismo e forza politica che tra uccidere e morire c'è un'altra via possibile. La gratuità come categoria dell'agire politico Giancarlo Gaeta Questo testo è stato letto a un convegno della rivista "Servitium" che ringraziamo per averci permesso di pubblicarlo. Tento una riflessione condotta in prima persona a cui mi sento autorizzato per quel pochissimo che ho sperimentato di questa problematica e per quel molto, e per me decisivo, che mi è venuto dalla consuetudine con alcuni spiriti grandi di questo secolo. Una riflessione non sistematica, piuttosto un tentativo di illuminare aspetti diversi di una questione di cui occorre ricercare i termini stessi per la sua enunciazione, e che in definitiva può essere colta solo per via sperimentale. 6 1. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Questa parola è estratta di commiato che Gesù, secondo il Vangelo di Matteo, rivolge ai discepoli al momento del loro invio alle città di Israele affinché portino l'annuncio dell'avvento imminente del Regno. Dunque un discorso chiara-01enteescatologico. Albert Schweitzer nella sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù, pubblicata all'inizio del secolo, assegna a questo episodio un ruolo decisivo nello sviluppo della vita storica di Gesù. Per Schweitzer l'invio dei discepoli è per Gesù l'atto conclusivo della sua missione, nella convinzione che il movimento di penitenza, iniziato da Giovanni Battista e proseguito da lui stesso, fosse necessario e sufficiente per "costringere la potenza divina ad
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