POISIA/SICARI il pianerottolo, il marmo, il campanello per caso - dicevi hanno dita per tenerci, sale segrete chiavi per aprire, facile facile aspettare l'attimo la grande casa, la smania automatica di fedeltà è in questo vociare, è questa lingua la fedeltà. Borsa di calce Ho avuto sonno, c'erano pescatori, boschi di pietre rari pensatori, cantanti che dicevano: - ho fatto questo, ho fatto quello - poi un volto infantile di un uomo fratello. Mio! E chi non crede questo? Chi disprezza la tua mente viva? Chi ci ha sognato in preda all'epilessia? Chi di noi era sano o malato in quel giorno d'ospedale, non c'ero io ad accudirti ad accarezzarti l'inguine, il mento in un singolare freddo non c'ero che in un sogno di perfezione in quelle sfere pericolanti capisti che dormivo, che non c'era l'eterno, e tu non vivevi per la gelosia delle femmine per la serenità della pioggia. Scappavi indicando lo scarico dell'acqua. - Ho avuto questo - offrirò questo piombo alla famiglia nel profondo ti darò la mia disperazione quella borsa di calce a scompartimenti lampo straordinario privilegio per occhi spiritati e tutto tutto è passato! Cronaca di un film Sono le otto non è festa ma domenica di ragazzi uccisi nella fissità. Giorno dopo giorno ci spiano gli occhi in ogni punto, i nastri: sento il loro rumore ad ogni spostamento di anche c'è fretta, rinunciamo ogni volta, ci voltiamo. Aspetto ancora il battito, il cedimento, è soltanto quel momento quando parlo e non afferro quando è distante il corpo, il morire dalla tregua. Riassunto di ghiaia è il finimondo estremo, carpisco in un giornale - sì - non per il dopo amo la distanza nel viaggio siamo veri: affanno, immagini seriali, freddo, tregua in una tazza di tè a una donna pallidissima. Via Giolitti a Daniele Noi coinvolti in un pensiero costante di libri e foglietti nel nostro - dove andremo - forse vicino al mare o nel reticolato paesano da dove proveniva la strategica zuffa al tavolino forse è lì il solaio, il fondo della casa che è come un castello arabo dentro l'unica pazienza del figlio-fratellino, è così il silenzio del suo pianto ha sempre fame, lo accudiamo per il nostro equilibrio labile come un ignoto sé, un orrendo passato: 72 lenzuola macchiate si stendevano al sud in un paese di fiori finti. Per un raggio di puntigli il presente non riesco a farlo qual è la causa se pure c'è la fame e la sete e lui no ne sa niente dei fanti e dei soldati lui che crede ad ogni gesto, che taccia o ascolti il carillon - apri su quelle note - solo questo ricorda capelli piccoli biondini, vagamente l'avidità le cure del padre, l'affetto, il sogno, l'affetto. POESIE Rosa Tavelli Cenere e lapilli Il cobalto del cielo fisso copre distesa la terra arata etereo pulviscolo della bruma ai primi di novembre svapora e sotto grigio luna obnubilata. L'invaso oscuro che non sa di pianto non sa l'acqua della sua pietra nera non stende ad ala il braccio incatramato ramo - la cima spuntata che al verde fiotto d'erba colore ininterrotto da che ostacolo, non vedo fermato ma imbocco a un'assenza di colore cometa che mai giunse al suo riflesso. Arcuato - vivo lo vedo con il cardo lanuginoso bianco fiorita lente alla mia tempia. E quel garbuglio sbalzato che ruota e permane nel suo innocente moto è l'astro mai raggiunto forse bello - da che morte abitato piccolo grumo in vortice in se stesso. La luce ha disertato indifferente quarto di luna che torna al suo sito questa terra con sgomento - un brivido d'irreparabile come animale che non ha scampo ma si apprende a una pagliuca arcuata così nera. In nube iscritti gli atti della vita prima che a un riparo infine si ceda. * * * C'era vento - C'era sole - Un'ape sgarbuglia Vibrato acuto Che sia una rondine?
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