Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

che finivano in osi. Non so perché. Sono i giorni, i mesi spesi ad andare a trovarli. Guanti e polsini come Mackie Messer, libertini variabili, niente hanno mai promesso, hanno il sacro diritto di cambiare. lo preferisco Jack lo Squartatore, il gioco con l'eterno, preferisco l'amore. * * * Una volta, un mattino, da bambina, sognai con sangue ma senza dolore che partorivo non un figlio: una lingua. Stanotte ho sognato un sanatorio in un bosco di abeti; il cielo è grigio, piove, la primaria è una vecchia, due vecchie le compagne nella stanza. C'è qualcosa in me che va asportato, ma non è un cancro, ma non è mortale, ha detto la vegliarda, e poi verranno, e sarà un bene, "tragiche e lunghe mestruazioni". Io mi domando com'è possibile: io piango e grido, sì, ma al tragico sono negata. * * * Anche con lui ti disperdi, lamentava mio padre nel sogno, non ci andare, tienti alla superficie, la superficie è l'incanto, l'Olimpo è l'apparenza, ah, non frugare, le radici dell'albero sono buio e vermi. * * * Cara nebbia padana, felliniana, sei del mattino, inverno, le macchine del caffè vanno in pressione nei primi bar aperti sul piazzale. Tace la city dei marmetti, un nome ognuno: sotto la stessa coltre POISIA/SICARI i morti di nessuno al comune risveglio fanno allegro casino, voci, sternuti, insulti, le teste cave voglion tutte qualcosa, come fossero vivi: un segno, una battuta, un caffè caldo. Solo lui non vuol niente: "copriti", dice, come quando c'era, "è freddo stamattina", e "hai fatto i compiti?". È il suo tormento; poi si consola, quasi ci fosse stato, con Austerlitz, con Wagram, 1812, la campagna di Russia, acqua, ghiaccio e cadaveri, la Beresina e l'uomo del destino che soccombe all'Europa dei mediocri, quella che non ha fine, e demain c'est Saint'Hélène, demain c'est le tombeau, e parla ad alta voce di errori, di compagni inadeguati: di Ney che ha tradito ... Questi clochards, questi siberiani che non sanno un bel niente un po' trasecolano un po' stanno attenti: la Storia piace agli sdentati, al pubblico d'ignudi, bravo! gridano, e ancora! e come hai detto? I crani son bagnati, truce alba di fango, madre nebbia e digiuna baldoria: bravo, continua! a morte questo mondo, a morte il traditore Talleyrand! POESIE Giovanna Sicari Novembre è in questo vociare Stiamo 'così uno nell'altro non curanti del desiderio di averci per sempre - altro impeto, altra foto che ritrae nel giardino, lì la nascita la testa ancora fasciata, Torino senza saperlo. Respirare accanto e non poterti raggiungere se non nel volo di pensarci già morti uniti in una pagina di altri, ancora toccarti in un caffè di Torino che nutriva un corporeo esistere e poi restituiva a me il crollo, promessa, visione quella quotidiana forza che toglie le bende ebbrezza di una canzone degli anni Ottanta - il teatro è là dove si crea qualcuno che ti baci nella periferia più traballante: 71

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