POESIA/CARPI e la mia roba sulla sedia. È nella mia casa di sempre il male, è dalla mia esistenza che non dovrei passare, anche se amo quegli alberi all'inizio del parco e il loro inverno e la neve. E ancora accettabile è la porta di casa, quella esterna, e l'intervallo fra questa e quella a vetri, ma il mio nome, il nostro nome fuori già non posso vederlo. Adesso ho un'altra casa, in un'altra città - da nuova era normale, come ogni casa d'altri - ma come una macchia sul muro anche là è apparsa a un tratto la mia esistenza. lo che potrei non averla, esserne immune, indenne, essere ciò che passa in un vetro pulito. Perché tutto si trova ovunque, i libri migliori li stavano leggendo gli altri e li ho presi da loro, i miei simili erano gli ignoti o quelli che ho solo sognato, e solo il caso era grazia. * * * Casa non vera, casa dell'abbandono, i letti disfatti fino a sera, nessuno che compra da mangiare. Lui sta nella sua stanza a sognare con suo fratello Nietzsche, lei in quella accanto e cuce, e fantastica e parla da sola, d'ingiustizie patite, e nessuno l'ascolta, solo l'inverno coi suoi fiori di ghiaccio. E il mondo umano? C'era una volta, in un paese lontano. E la speranza? È la bambina. Poi ogni tanto un nonnulla fa di loro due belve. * * * Li avessi spesi fuori a lottare nel mondo come gli altri gli anni che hai speso chiuso nella tua stanza, dice lei. 70 Siamo a tavola. È ora di bufera. Come gli altri, hai detto? anche per te io sono niente, nessuno ... E forse piangerebbe se con un grido orribile non scagliasse il piatto contro l'ombra di Banquo. * * * Bambina mia, tienti ben stretta al vero, il tempo fa giustizia, il vero solo è vivo e sarà vivo sino alla fine. Fuggi dalle astrazioni, guardati dalle nebbie e dai tedeschi. * * * So che non posso dirlo, che tutti riderebbero: quando mi sveglio presto in certe albe c'è l'eterna bellezza. Davanti agli occhi, manifesto è quel che mi può salvare, la compagnia della luce, passeri, merli, l'ora di nessuno, l'ora d'oro, e come piaccio a me stessa piaccio a loro. * * * Una piccola cosa ci tormenta, quella sola, il fantasma di Akakij, che si rida di noi. Akakij Akakievic, addetto a ricopiare, piccolo, una calvizie sulla fronte, il volto di colore emorroidale, nessuno ne ha rispetto negli uffici, lo cospargon di carta shignazzando che è neve ... * * * Li ho tanto odiati, tanto voluti morti gli amici, di cirrosi, di tubercolosi, di tutte malattie
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