Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

Soldato ungheresed'oggi in uno foto di Luigi Boldelli !Contrasto). Vale Sinistra, e sapeva che prima o poi, nel corso della mattinata, sarebbe tornato indietro. Gàbriel Dunka, nonostante la sua insolita statura, era un dipendente statale, un artigiano, colui che si occupava di rendere opachi i vetri destinati alle finestre della prigione di Vale Sinistra, allora in corso di costruzione. Ogni volta che ne aveva preparata una certa quantità-corrispondente a cinque finestre per settimana - partiva lui stesso col carico per la destinazione. Nel mezzo del suo capannone c'era un enorme cassone pieno di sabbia, sotto la sabbia stava nascosto un piano di vetro. Il nano passeggiava a piedi nudi nel cassone fintanto che, sotto i suoi passi, il vetro non si era graffiato fino a diventare opaco. Anche accanto al cassone c'era un cumulo di sabbia, e lì Gàbriel Dunka vi aveva fatto stendere Elvira Spiridon. "Devo chiederLe pazienza" - le disse sottovoce con tono imbarazzato-, "Le cerco subito uno-due indumenti adatti a lei". Nel frattempo strappò quasi in due metà un sacco di carta marrone che stava fino allora sul pavimento, le dispiegò e con esse STORIE/BODOR coprì la donna. Elvira Spiridon trasudava ancora acqua piovana da ogni sua fessura e cavità, e si formavano così sotto di lei rivoli di acqua sulla sabbia. "Lei è veramente una brava persona" - affermò Elvira Spiridon - "L'uomo lo si conosce quando ci si trova nei guai". "I guai sì che ci sono" - convenne il nano -. "Per questo vorrei pregarLa di non muoversi troppo, resti distesa. Me, infatti, non mi si può vedere alla finestra, e se i miei vicini vedessero un qualsiasi movimento, verrebbero a sapere che da me vi è un estraneo". Gàbriel Dunka riempì con trucioli e pigne la stufa di ferro, accese il fuoco, e più tardi vi gettò anche una bella doga di botte. Avevano da poco soppresso il vicino centro di raccolta della frutta e nel suo cortile le vecchie botti mal ridotte erano state portate via come legna da ardere. La doga crepitava, liberando gas che davano alle lingue di fuoco un colore azzurrognolo e verdastro e un profumo di frutta. Elvira Spiridon bubbolava di freddo sotto il sacco di carta lacerato. "lo mi sarei già asciugato da un pezzo" - soggiunse un po' imbarazzato Gàbriel Dunka, con intento per metà scherzoso. - "Per via che sono più piccolo. È naturale che una cosa più piccola, per esempio un nano, si asciughi più in fretta". "Ho già imparato qualcosa" si udì dalla voce di Elvira Spiridon, da sotto il sacco di carta. "Ma dire che è nano è esagerato". Gàbriel Dunka teneva tutti i suoi averi in una lisa e consunta valigia in fibra vulcanizzata che fungeva da scaffale tra il suo giaciglio ed il muro umido del capannone. Adesso l'aprì e, affondandovi il braccio fino al gomito, frugò fra i numerosi indumenti grigi, gialli, macchiati, bazziacati da insetti e dall'odore di topo. Scelse alcuni capi e li depose accanto a sé. "Ci sono le pile nella radio?" - chiese Elvira Spiridon inaspettatamente. "Forse diranno qualcosa". "In quanto a esserci ci sono. Ma vorrei poter sentire se qualcuno si avvicina. Non è escluso che ai miei vicini siano nati ugualmente dei sospetti". "lo accanto a Lei non ho paura. Qualsiasi cosa dovesse accadere, di sicuro si inventerà qualcosa. Non la prenda per un'offesa: Lei è un uomo tutto d'un pezzo". "Grazie. Sa, talvolta vengono a farmi visita uno o due colonnelli, sono curiosi di sapere come si faccia a far diventare così opachi ed appannati i vetri per finestre". "Oh". "Però non capita spesso. In ogni caso se si dovesse verificare una simile visita, Lei non deve in alcun modo essere notata. Deve fare a meno anche di fiatare". Gàbriel Dunka prese tra le braccia i tre vestiti scelti, e li buttò davanti ad Elvira Spiridon. Tolse da sopra la donna il "lenzuolo" di carta lacerato e si mise a vestirla. Provò con uno dei pantaloni corti a bretelle, ma nonostante i suoi sforzi, con una delle gambe le arrivò soltanto al ginocchio. "Supponevo che non Le sarebbe andato bene. Ma fintanto che uno non lo vede con i propri occhi, non se ne convince. E mi deve scusare, ora mi sento molto strano. Penso che sia per il fatto che ho sfiorato la Sua pelle. È stata una sensazione piena di piacere, mi gira un poco la testa. Può anche darsi che mi venga a mancare il respiro". Si allontanò dalla donna, si chinò sul secchio pieno d'acqua e, immergendovi tutto il viso, prese a bere con la lingua a sorsi 63

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