COLLEZIONE DI STORIA NATURALE NEL CIRCONDARIO DI SINISTRA AdamBodor traduzione di Gabriella Tucci e Giovanni N. Cataluccio AdamBodor è uno scrittore ungherese della Transilvania. È nato il 22 febbraio 1936 a Kolozsvàr (oggi si chiama Cluj ed è in Romania). All'età di 17 anni fece due anni di carcere per attività anticomunista. In seguito compì gli studi presso l'Università di Teologia Protestante. Ha poi lavorato come scrittore indipendente, non appartenente ad alcuna cerchia letteraria. Nel 1982 è riuscito finalmente a trasferirsi in Ungheria, dove lavora in qualità di redattore presso una casa editrice. La sua prima raccolta di novelle A tanù (Il testimone) apparve in Romania nel 1969. Da questo suo volume e dai due successivi (Pluszminusz egy nap [Giorno più, giorno meno] 1974 eMegérkezés északra [Arrivo a Nord] 1978) è stata realizzata una selezione in lingua rumena, apparsa nel 1979, che sorprendentemente è stata accolta positivamente dalla critica rumena di allora. Più tardi hanno visto la luce le sue seguenti opere: Milyen is egy hagò (Com'è che è un passo), 1980; Zangezur hegység (Le montagne di Zanzezur), 1981 ;AzEuphrateszBabilonnàl (L'Eufrate a Babilonia), 1984. Quest'ultimo è apparso anche in lingua inglese nel 1991 presso l'Editore Polygon di Edimburgo. La sua opera più recente Sinistra korzet (Il circondario di Sinistra) è stata presentata ai lettori ungheresi nella primavera di quest'anno. Questa collana di novelle può essere considerata a diritto il primo romanzo dello scrittore; i racconti, apparentemente slegati, formano un intreccio narrativo unitario (e anche la novella che qui presentiamo, che ha vinto quale opera autonoma il concorso per racconti promosso dalla rivista letteraria "Holmi" nel 1991, lo scrittore l'ha inserita in seguito nel romanzo sopracitato). Gli avvenimenti si svolgono nel circondario di Sinistra (nella lingua rumena la parola "sinistru" significa solamente "tetro", "spaventoso"), in questo mondo immaginario il cui modello si è formato sui ricordi delle regioni transilvane e sull'atmosfera dell'Europa orientale. In questo paesaggio idilliaco si addensano le macchie di nebbia proprie della dittatura, nascondendosi nelle fresche selve, in questo opprimente universo umano dal profumo di frutta. (Giovanni N. Cataluccio) Il più delle volte la guarigione ha inizio quando le donne ci fanno visita in sogno. Altre volte i guai prendono commiato da noi quando una donna ci appare in tutto il suo splendore. Gàbriel Dunka vide per la prima volta nella sua vita una donna nuda all'età di trentasette anni. È vero, però, che egli era nano. Stava andando con il suo furgone rosso dalla prigione in costruzione di Vale Sinistra in direzione di casa, percorrendo la desolata strada maestra, quando Elvira Spiridon gli fece cenno di fermarsi. Quel giorno, sin dalle prime luci dell'alba, era caduta una pioggia nevosa, tra i pini e le frangole lungo il ruscello stava calando un'umida nebbia; banchi di nebbia portati dal vento passavano sopra la strada, tra questi brillava con riflessi di porcellana il corpo della donna bagnata. Non aveva addosso alcun vestito, soltanto i voluminosi capelli che le stavano attaccati al collo come uno scialle lacerato. Le cosce, l'inguine erano come fioriti nel mezzo della bufera primaverile, erano pieni di aghi di pino, di petali azzurri, bianchi e gialli. Gàbriel Dunka conosceva di vista la donna, lei abitava sul valico di Prislop, e con bisacce di funghi e bigonce di mirtilli sulle spalle, andando al centro di raccolta della frutta, passava spesso di fronte al suo cancello. Tuttavia non avrebbe mai pensato che una volta, facendo cenni nuda lungo la strada, avrebbe atteso proprio lui. Controvoglia, certo, ma la fece salire. Non la fece sedere accanto a sé nella cabina di guida, la fece stendere sul piano di carico, tra le cornici di legno necessarie al trasporto di vetri per finestre, in modo che nessuno la potesse 62 vedere. Il furgone non era suo, egli trasportava soltanto i pannelli di vetro tra l'officina di Colone! Dragomir e il terreno in costruzione di Vale Sinistra, facendo la spola con un permesso speciale della Direzione del carcere e del Comando della Guardia Forestale. Sarebbe apparso sotto una strana luce se un rappresentante delle Autorità oppure uno del posto lo avesse visto portare donne nude, in orario di servizio, con la macchina d'ufficio con targa gialla. Fece sdraiare Elvira Spiridon accanto alle cornici e sbatté la porta. Gàbriel Dunka arrivava alla pancia della donna, e adesso gli era venuto un po' di capogiro poiché, insieme all'odore dell'ombellico, aveva inalato sulla sua pelle il profumo della pioggia. Appena arrivato a casa - viveva in uno spoglio cortile di paese, in un capannone che fungeva anche da officina - fece marcia indietro fino alla porta affinché la donna potesse entrare senza farsi notare. Sapeva che dall'altra parte del ruscello i vicini osservavano ogni suo movimento con il binocolo: non ci si sazia mai della vista di un nano. Come era intuibile, Elvira Spiridon non aveva battuto le strade più "rette". Que!Ja mattina, insieme a due suoi compagni, aveva provato a fuggire dal Paese, ma, già fin dal!' inizio, le cose avevano preso per lei una piega sbagliata. Mustafa Mukkerman, il camionista turco che portava pecore congelate da Beszidek fino ali' estremità meridionale dei Balcani, e che fra le carni appese ai ganci, faceva di tanto in tanto espatriare illegalmente persone disposte a tutto, non l'aveva presa con sé sul camion. Al momento di salire era venuto fuori che l'autista aveva giurato da tempo di non portare più donne; questo da quando una volta una megera gli aveva insozzato tutto il camion. I suoi compagni se ne erano andati, Elvira Spiridon era rimasta sulla strada, nuda come Dio l'aveva fatta. Quel giorno aveva piovuto fin dal!' alba, coloro che aspettavano il camion si erano spogliati perché non avrebbero potuto stare seduti coi vestiti bagnati nella nera notte gelida; avrebbe significato la morte. I vestiti li avevano pigiati dentro al sacco di plastica conservato apposta per questo scopo; si sarebbero rivestiti più tardi, una volta che fossero stati in viaggio, sul piano di carico del camion. La donna per un poco era rimasta a discutere con l'autista, ma invano. Prima che potesse rendersene conto, il camion, con i suoi vestiti, era già proseguito oltre. Verso il Sud, i Balcani, dove notte e giorno brillano le luci della libertà. Elvira Spiridon era rimasta nuda nel bel mezzo della grande e grigia nebbia. Per un po' aveva pianto, poi, riprese le forze, aveva strappato una foglia d'edera sempreverde, e se l'era appoggiata sotto la pancia. Di sicuro doveva aver visto qualcosa di simile in qualche vecchio quadro. Ma il vento presto le aveva portato via da lì la foglia. Elvira Spiridon aveva vagato tra pini, betulle spoglie e frangole fino al mattino, sino a quando non era apparso dal fondo della nebbia, proveniente dalla città, il furgone del vetraio nano, con la targa governativa di color giallo che luccicava in lontananza. Non poteva sbagliarsi, fatta eccezione per i mezzi delle guardie forestali, riconoscibili da lontano per il loro tossire, era l'unico automezzo rosso dall'aspetto più o meno civile che girasse per l'intero circondario alpino. La donna lo aveva visto ali' alba dirigersi verso
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==