Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

AMORE Tibor Déry traduzione di Marinka Dallos e Gianni Toti Tibor Déry (Budapest 1894-1977) era stato militante comunista sin dai tempi della prima guerra mondiale e della tentata rivoluzione di BélaKuhn,e fu esule in Cecoslovacchia, Germania, Francia,perfinoinItalia,fino al 1926. Dapprima autore di poesiesurrealiste, poi sostenitore di un realismo narrativo di ampio respiro (La frase incompiuta, 1947, ma scritto negli anni Trenta), dopo l'esperienza della guerra, della clandestinità,dellaprigione, e con il potere comunista insediato dai sovietici, le sue operesi fecero più critiche e consa- Tibor Déry nel 1963, in uno foto pevoli, e suscitarono di Enzo Ghiringhelli (archivio Feltrinelli). (era vicino a Lukacs) grandi discussionifino a che, essendoegli tra gli ispiratori e i sostenitori dell'insurrezione del '56, avendo pubblicato in quell'anno con Niki storia di un cane una descrizione appassionatadi quella rivolta (tempestivamentetradottainitalianodaFrancoLucentini,congrandesuccesso), non subì la dura repressione di vari anni di carcere, da cui fu liberato, sotto Kadar, nel '60. Dopo racconti che rievocavano mirabilmente l'anno straordinario (questo che ripresentiamo, Amore, scritto proprio nel '56 e pubblicatonel '60, e poi La resa dei conti, e gli altri raccolti in italiano in Il gigante o in La resa dei conti e altri racconti presso Feltrinelli), Dérypubblicò l'ampio romanzo"kafkiano" scrittonel carcere, Il signor A.G. nella città di X, il romanzo storico su Sant'Ambrogio Lo scomunicatore, sempre da Feltrinelli, e un curioso Reportage immaginario da unfestival pop americano. Pubblichiamo Amore convinti di far cosa graditaa tanti lettori, perché è, a nostra conoscenza, uno dei più veri e commoventi racconti d'amore mai scritti, e un episodio "immaginario" di storia del comunismo simile a milioni di altri non immaginari, che non vanno dimenticati. E, allo stesso tempo, valido per altri climi e altre dittature. Amore è compreso nella raccolta Il gigante, Feltrinelli, ed è stato ripreso nel!'antologiadei migliori racconti di Déry apparsa nella UniversaleEconomicaFeltrinelli con il titolo La resa dei conti. Ringraziamo la casa editrice Feltrinelli per averci autorizzato a riproporlo. (G.F.) La porta della cella si aprì, il secondino gettò dentro qualcosa. "Tenga," disse. Era un sacco, con sopra un numero. Cadde per terra, proprio davanti ai piedi del prigioniero. B. si alzò, respirò profondamente, squadrò il secondino. "Il suo abito borghese," disse questi. "Si cambi. Ora le faranno subito la barba." Nel sacco c'erano il vestito e le scarpe di cui era stato spogliato sette anni prima. Il vestito era talmente gualcito che non un palmo di stoffa era rimasto intatto, le scarpe erano ammuffite. Spiegò la camicia, anche quella era ammuffita. Quando ebbe finito di vestirsi, entrò il prigioniero barbiere, e gli fece la barba. Un'ora dopo lo portarono davanti al piccolo ufficio del carcere. Nel corridoio attendevano già otto o dieci prigionieri in abiti borghesi; davanti alla porta dell'ufficio, venne chiamato per primo .. Alla scrivania sedeva un sergente e un altro gli stava accanto, in piedi; davanti, un capitano faceva su e giù lentamente nello stretto locale. "Venga qui," disse il sergente che sedeva alla serivania. "Nome? ... Nome della madre? ... Ora dove intende recarsi?" "Non lo so," disse B. "Come?" domandò il sergente. "Non lo sa?" "No," disse B. "Non so dove mi portano." Il sergente gli gettò un'occhiataccia. "Non la portano da nessuna parte," disse arcigno. "Può andare a casa, da sua moglie, per pranzo. Questa notte potrà anche usare il suo apparecchio. Ha capito?" Il prigioniero non rispose. "Dunque, dove va?" domandò il sergente. "Via Szilfa, 17." "Budapest. Rione?" "Secondo," disse B. "Perché mi lasciate uscire?" "Troppe domande" borbottò il sergente. "La lasciamo uscire, e basta. Se ne rallegri, così si libera di noi." Dalla stanza vicina gli portarono i suoi oggetti di valore, un orologio da polso nichelato, una stilografica e un portafoglio consunto, verdastro, eredità di suo padre. Il portafoglio era vuoto. "Firmi qui," disse il sergente. Era una ricevuta dell'orologio da polso nichelato, della penna stilografica, del portafoglio. "Anche questo?" Era una seconda ricevuta centoquarantasei fiorini di salario. Gli contarono i soldi sul tavolo, davanti a lui. "Li metta via," disse il sergente. B. estrasse di nuovo il portafoglio dalla tasca e vi pigiò dentro le banconote e le monete tutte insieme. Anche il portafoglio sapeva di muffa. Da ultimo, il foglio di scarcerazione. La riga punteggiata, che cominciava con "Causa dell'arresto," era rimasta vuota. Restò in piedi nel corridoio ancora un'ora, poi, con tre altri, l'accompagnarono al portone principale del carcere. Ma prima che vi giungessero, vennero fermati da un sergente che gli era corso dietro. Un uomo fu prelevato dal gruppo dei quattro e, tra due guardie armate di mitra, venne riaccorpato dentro l'edificio della prigione. Il viso sbarbato dell'uomo si fece giallo di colpo, come se avesse subito un attacco di bile, i suoi occhi si fecero come di gelatina. I tre continuarono ad avanzare verso il portone. "Ecco il tram, salga," disse il secondino a B. dopo aver riesaminato il foglio di scarcerazione e averglielo rimesso in mano. B. restò immobile e guardò per terra, davanti a sé. "Cos'aspetta?" domandò il guardiano. B. continuò a stare fermo e a guardare la terra. "Vada a quel paese," disse il guardiano. "Ma cosa aspetta?" "Vado," disse B. "Insomma, posso andarmene?" La guardia non rispose. B. mise in tasca il foglio di scarcerazione 57

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