Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

struttura razionale è stata superata, o attraversata, come una barriera del suono. La poesia non disdegna l'intelletto, e tuttavia, trattando di emozioni e sentimenti, non deve soggiacere all' impazienza razionale di porre dei limiti; deve attendere che una musica sopravvenga, che un'immagine si sveli. In questo modo, Stead riabilitava Eliot come poeta romantico, in tutto e per tutto fedele al processo onirico e sensibile ai doni dell'inconscio come lo era stato Coleridge prima di ricevere la visita di quel tale di Porlock. E così, la figura del Vecchio Opossum, irretita per annj nel groviglio di chiose finemente elaborate sulle sue fonti, le sue idee, la sua critica del mondo moderno, questa figura veniva aiutata a rialzarsi, come Gulliver a Lilliput, non più sagoma nebulosa di rimandi letterari e filosofici, ma principio vivente, una forza di gran lunga più naturale di quanto non si fosse fino ad allora compreso. Quando ho scelto, quale titolo generale di queste conferenze, "il dominio della lingua", quel che avevo in mente era questo aspetto della poesia, di forza che si autogiustifica. In questo ordinamento (che rappresenta tanto. il talento espressivo individuale del poeta quanto le comuni facoltà del linguaggio stesso) alla lingua è stato accordato il diritto di governare.L'arte poetica gode di una sua propria autorità. Come lettori, ci rimettiamo alla giurisdizione della forma compiuta, anche se quella forma è stata ottenuta, non attraverso l'esercizio morale e etico dell'intelletto, ma attraverso le operazioru autoconvalidantisi di ciò che chiamiamo ispirazione - soprattutto se pensiamo all'ispirazione come la intende la poetessa polacca Anna Swir, che ne parla come di un "fenomeno psicosomatico", fino ad affermare: "Credo che questo sia l'unico modo, biologicamente naturale, in cui possa nascere una poesia, l'unico che dia alla poesia un certo qual diritto biologico all'esistenza. Il poeta diviene allora un'antenna che cattura le voci del mondo, un medium che esprime il proprio inconscio e l'inconscio collettivo. Per un momento, egli possiede una ricchezza che gli è di solito inaccessibile e che perde con l'esaurirsi di quel momento." La posizione speciale della poesia fra le arti letterarie deriva dalla facilità con cui il pubblico le riconosce una siffatta potenzialità ed efficacia. Al poeta è attribuito il potere di instaurare rapporti inediti fra la nostra natura e la natura della realtà in cui viviamo. La testimonianza più antica di questo modo di pensare appare nell'idea dei Greci secondo cui, quando si esprime un poeta, "è un dio che parla". Una convinzione che ha resistito fino al ventesimo secolo: si pensi alla riformulazione che ne dà Rilke nei Sonetti a Orfeo, mentre, per l'inglese, possiamo citare il noto esempio contenuto nel saggio di Robert Frost, The Figure a Poem Makes. Per Frost, qualsiasi interferenza dell'intelletto conoscitivo nelle percezioni assolutamente disinteressate dell'immaginazione alla ricerca di una sua forma costituisce un sabotaggio della poesia, un affronto al potere legislativo ed esecutivo dell'espressione stessa. Della vera poesia, egli dice: "A leggerla cento volte, non perderà mai il senso di un significato che si è dispiegato a sorpresa strada facendo. Comincia nella gioia, propende all'impulso, prende una direzione con la stesura del primo verso, segue un corso di eventi fortunati e termina con una chiarificazione della vita - non SAGGI/NEANEY necessariamente una grande chiarificazione, del genere di quelle su cui si fondano sette e culti, ma in una pausa temporanea contro la confusione." E tuttavia, mentre mi vado infervorando nella discussione, una voce, da un'altra parte di me, mi rimprovera: "Domina la lingua", dice, costringendomi a ricordare che il titolo scelto può anche denotare la negazione della licenza e autonomia della lingua. Secondo questa lettura, "il dominio della lingua" è impregnato di un'austerità monastica e ascetica. Viene in mente la poesia di Hopkins, Habit of Perfection, dove si comanda agli occhi di "sgranarsi", alle orecchie di badare al silenzio e alla lingua di stare al suo posto: Non date forma a nulla, labbra; siate soavemente mute. È questa chiusura, il coprifuoco disposto Là da dove giungono tutti gli abbandoni, Che solo vi rende eloquenti. È ancora più significativo ricordare come Hopkins, fattosi gesuita, rinunciasse alla poesia, "non avendo nulla a che fare con la mia vocazione". Questo rivela un mondo in cui bisogni e valori generali pongono la poesia in una posizione relativamente marginale ed esigono che essa stessa si collochi a un livello secondario rispetto alla verità religiosa o alla sicurezza dello stato, o all'ordine pubblico. Manifesta una condizione fatta di repressioni pubbliche e private in cui l'indiretto gioco edonistico dell' immaginazione è nella migliore delle ipotesi considerato un lusso o qualcosa di lascivo e, nella peggiore, un'eresia o un tradimento. Nelle repubbliche ideali, in quelle sovietiche, negli stati bigotti degli USA, in Vaticano, si ritiene naturale che lo scrittore o la scrittrice alienino la propria attività individuale, temeraria, potenzialmente dirompente, a beneficio della preservazione di una dottrina ufficiale, di un sistema tradizionale, di una linea politica e via dicendo. In tali ambiti, non sono ammissibili elaborazioni o esplorazioni ulteriori della lingua e delle forme stabilite. Un ordine è stato tramandato ed è stata fissata la conformazione delle cose. È da un pezzo noto il tragico destino che queste circostanze impongono ai poeti e il modo in cui è possibile che poeti e poesia_ "indomiti" divengano, in situazioru di estremo totalitarismo, una forma di governo alternativo, o di governo in esilio. Mi ha stupito, ad esempio, il fatto che sul monumento agli operai di Solidamosc, ai cancelli dei cantieri navali Lenin a Gdansk, siano stati iscritti alcuni versi del poeta Czeslaw Milosz. Ma ciò che mi ha colpito è l'immagine della funzione necessaria e sovvertitrice della poesia offerta da Andrej Sinjavskij quando racconta come Alexander Kutzenov, al culmine del terrore staliniano, sigillasse i suoi manoscritti in vasetti di vetro e li sotterrasse in giardino, la notte. Qui c'è tutto: la proposta delle proprietà curative dell'arte, la sua bontà preservata e il ricorso finale al "lettore futuro". La scena possiede lo sconvolgente carattere onirico che può provare un dittatore svegliandosi nel cuore della notte e ricordando la concretezza della poesia che egli vorrebbe vincolare. 39

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