Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

Ammazione~ociale 199J Larivistadeglioperatosroi ciali C'è ancora chi scommette sulla formazione degli operatori sociali. Noi. Scommettiamo su una formazione che intreccia la riflessione teorica e l'apprendimento dell'esperienza, senza paura di chiedere ai lettori di immergersi negli "Studi" o di lasciarsi prendere dal racconto di una esperienza. Tra Studi, Esperienze, Inserti e Strumenti nel '93 parleremo di intervento di rete, principi di etica sociale, lavoro in equipe, sviluppo di comunità, operatòri di strada, centri di aggregazione giovanile, apprendimento esperienziale, ltalie dei servizi, fondamenti e metodo di animazione, animazione del tempo libero. Un servizioper i gruppidi insegnanti che scommettonosullaformazione Dal gennaio '93 ogni mese AS/SCUOLA con 16 pagine monografiche dedicate a: interazione sociale e processi di apprendimento, laboratorio relazionale con gli insegnanti e ricerca delle condizioni minime istituenti, disagio e devianza, la prevenzione oltre le vane parole, quando la classe diventa gruppo, strumenti oltre l'insuccesso scolastico. Contiamo sulla collaborazione dei gruppi di insegnanti che lavorano sulla formazione e chiediamo loro di inviarci strumenti di lavoro, richieste e suggerimenti, materiali di formazione. Animazione Sociale è un periodico del Gruppo Abele. Abbonamento1993:L 50.000, daversare sul CCPn.00155101in, testatoa PeriodiciGruppoAbele, viaGiolitti21,10123Torino.Ci si puòabbonaretutto l'anno,ancherichiedendogli arretratt 34 CONFRONTI cessità, ostile ai piagnistei della Galùt, ossia della diaspora). Questo ultimo passaggio del non è svolto dall'autrice. Ed è un peccato, poiché traspare da ogni paragrafo del suo libro, per non dire della bibliografia: le tesi e i concetti di testi fondamentali,continuamentecitati (J. Katz, S.W. Baron, R. B nfil per menzionarne solo alcuni) lasciano trasparire fra le righe questa idea dominante e non peregrina, magari persino un po' crociana: indicare ciò che è vivo e differenziarlo da ciò che è morto dell'ebraismo del passato. Per essersi formati in università israeliane, e per aver avuto dimestichezza e contiguità con le speranze del sionismo delle origini, gli autori sopra ricordati possono, volendo, essere raggruppati sotto il denominatore unico e comune di un'opposizione radicale verso ogni tipo di storia dell'antisemitismo e delle persecuzioni (il bersaglio polemico preferito, ciò che potrebbe consentire subito, a prima vista, il riconoscimento, potrebbe essere l'idiosincrasia quasi viscerale che tutti ostentano per il manifesto di una siffatta concezione "lacrimosa" della storiografia: un testo, guarda caso·,che ha fatto scuola ed è tra i pochi tradotti anche da noi, la Storia del 'antisemitismo, per l'appunto, del Poliakov). La prima considerazione, quindi, che viene spontanea leggendo il libro di Anna Foa riguarda lo iato che divide, nella cultura italiana contemporanea, la storiografia dalla letteratura. È infatti evidente che, in questo scorcio di anni Ottanta e primi Novanta, è venuto a mancare l'equivalente storiografico dell"'effetto Grossmann" (o, se si preferisce, Oz, Yehoschua). Un effetto editoriale trainante, quello del romanzo e della saggistica, che ha giovato a far meglio conoscere la società israeliana di oggi. Meno chiaro, per non dire ignoto, al pubblico italiano è che cosa in questi ultimi decenni si sia venuto elaborando nelle università, in specie nei dipartimenti di storia. Fa eccezione la meritoria traduzione einaudiana del fondamentale libro di Jonathan Frankel sugli ebrei di Russia, che comunque riguarda un periodo più vicino a noi e comunque parzialmente estraneo alla sintesi che ci offre - in chiave "mediterraneo-sefardita" molto braudeliana - Anna Foa. Nel suo piccolo, persino uno storico dotato di minori potenzialità della Foa, il compianto Attilio Milano, nella sua fortunata Storia degli ebrei in Italia (1966), che è per molti aspetti il predecessore del libro di cui ci stiamo occupando, aveva avvertito la medesima esigenza. Chi oggi rileggesse in parallelo queste due preziose opere di sintesi, destinate a segnare due successive generazioni di lettori italiani (del libro di Milano è adesso anche disponibile un tascabile Einaudi), rimarrebbe colpito in primo luogo dai passi avanti fatti dalla storiografia, ma anche dalla sovrapponibile volontà di dare dell'ebraismo un'immagine vitale, non funerea. Così come Anna Foa, anche Milano aveva voluto predisporre tutta una serie di paragrafi dedicati alla spiegazione delle festività, della struttura famigliare, dell'educazione dei figli, della vita comunitaria e delle sue norme, della organizzazione rabbinica e della quotidianità sinagogale. Va, fra parentesi, aggiunto che Milano aveva faticosamente portato a termine la sua opera dall'eremo del kribbutz di Hadar Ravataim, cioè da quel non metaforico Col Gerbido-Pratofungo sionista, in cui l'ebraismo, sopravvissuto ad Auschwitz, tentava realmente, e quotidianamente, di guarire dalla lebbra nazista e di trascorrere, per così dire, dalla morte alla vita e di riunificare le due metà divise. Si diceva di un'identità dimidiata, di un ebraismo "di complemento", o meglio, come Primo Levi definiva il suo, mimando Calvino, di un ebraismo "dimezzato", sempre lacerato tra ortodossia e rinnovamento, fra istanze conservatrici e non mai sopite attenzioni verso il mondo esterno, verso quelle seducenti "canzoni dei Greci" al richiamo delle quali l'ebreo ellenizzante Elisha ben Abuyah aveva già confessato di non saper resistere. Qui la riflessione che il libro di Anna Foa suggerisce è l'importanza straordinaria che molte personalità il cui io era così diviso ebbero sugli sviluppi interni alla cultura ebraica. Del ruolo positivo che il man-anesimo ebbe sulla figura di Spinoza molto già si sapeva e altro s'apprende da queste pagine sugli "eretici di Amsterdam" (Uliel da Costa e Pardo). Qualcosa si dovrebbe aggiungere sul ruolo totalmente negativo e infausto che, se si vuole rimanere all'archetipo calviniano, esercitò la "parte cattiva" del Visconte dimezzato, ossia, la funzione dei cosiddetti "ebrei antisemiti". Ciò che la Foa scrive di certi convertiti come Pablo Christian i o Hananel da Foligno conferma (in abbondanza) il materiale un po' disordinato e grezzo che un intellettuale salveminiano e anarchico come Camillo Berneri nel 1935 aveva raccolto nel suo libretto L'ebreo antisemita ( ora Carucci, 1983). Non sempre tuttavia la divisione generava l'odio di sé, come dimostra il caso di Spinoza o meglio ancora quello di Salomon Maimon, la cui importante Autobiografia (recentemente riproposta dalle edizioni e/o) la Foa liquida forse troppo sbrigativamente. C'è, in altre parole, una corrente sotterranea che attraversa la storia del1'ebraismo, una corrente ereticale che salta fuori dalla narrazione del libro di Anna Foa, ma ancor più preme e scalpita nella storia contemporanea posteriore ali' emancipazione. Come nel Rinascimento, così nell'età moderna "l'ebreo dimezzato" ha talora lasciato segni più vivi e vitali dell'ebreo intero. Certo, non solo nel romanzo di Calvino, esiste una metà buona e una odiosa; il che coincide e corrisponde, sul piano fattuale, a ciò che è avvenuto negli ultimi due secoli. Se lo storico, per definizione, deve imparare a distinguere, lo storico dell'ebraismo deve saper distinguere queste due metà identiche fra loro, ma in pratica contrapposte. Fermarsi all'ufficialità, ai luoghi comuni, alle opinioni consolidate, è una strada che non conduce in alcun luogo. Anna Foa, con questo suo libro, ci esorta e ci aiuta a scavare in direzioni diverse, senza paura di cadere nel conformismo dei conformisti (e degli eretici). Per libera associazione di idee, terminando la lettura di questi Ebrei in Europa non si può non ricordare quel!' ammonimento di Salvemini che tanto piacque (si era in piena tempesta modernista) a molti cristiani "dimezzati", ma anche a protestanti "dimezzati" ed ebrei liberaldemocratici fra loro solidali: "Ribellatevi ai vostri vescovi, ma non uscite dai vostri conventi". Non solo la storia degli ebrei d'Europa ha fatto progressi, e può farne ancora, grazie a chi ha tenuto e terrà fede a questo principio.

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