CONFRONTI In difesa della nostalgia Su un'antologia di Antonio Prete Filippo La Porta Vorrèi spendere qualche parola in difesa di un sentimento che, infiltratosi nel lessico politico, ha conosciuto finora un uso prevalentemente negativo: la nostalgia. "Nostalgici" erano per antonomasia i fascisti, "nostalgico" (e dunque da commiserare) l'ultimo Pasolini, "nostalgico" (e "reduce") chi non accetta una totale liquidazione del '68, "nostalgico" un pensatore radicale come Gunther Anders. Per discutere di questo sentimento con un minimo di cognizione sembra utile la sintetica antologia pubblicata da Raffaele Cortina e curata da Antonio Prete: dalla genesi clinica della parola (nostos - ritorno, e algia - dolore) coniata nel 1688 dal medico alsaziano Hofers per designare una grave patologia (di cui soffrivano i soldati svizzeri lontani dalla patria) alle riflessioni di Rousseau e Kant passando per innumerevoli articoli e dissertazioni mediche, fino agli ampi saggi finali di Starobinski e Jankelevitch. Possiamo così seguire i vari mutamenti e slittamenti semantici del termine, che con il romanticismo si svuoterà del suo contenuto specifico: il riferimento al paese natale, alla patria perduta trascolora nel pathos verso il paese mai conosciuto, verso un oggetto indefinito e impalpabile (I' infanzia, la lingua materna, la miseria dell'irreversibile, I' infito leopardiano, il cielo, il nulla). Uno stato d'animo sempre più affine a quello di malinconia e che, secondo Prete, tende a coincidere con il linguaggio stesso della poesia: risonanza del lontano, "nostalgia di nuvole" (Baudelaire), impossibilità di acquietarsi in qualsivoglia forma. Certo la poesia (o la musica, o l'arte in genere) possiede da sempre la virtù alchemica di trasformare il passato in canto (e renderlo reversibile), di farci viaggiare fra i morti senza restare pietrificati; eppure nel mondo attuale questo potere stregante, incantatorio della poesia appare molto più precario e limitato di un tempo. Credo che dobbiamo innanzitutto chiederci quali sono oggi le nostre modalità di rapporto con questo inafferrabile sentimento: si muore ancora, come nel Seicento, di nostalgia? Nella nostalgia si esprime pur sempre una critica (o insofferenza) verso il presente? Rousseau sottolineava il nesso tra nostalgia e povertà (il peso dei vincoli domestici e famigliari, dell'ambiente paesano), e certo noi ignoriamo di quali laceranti nostalgie soffra la popolazione multietnica delle nostre città. Eppure anche la cosiddetta umanità "civilizzata", tra tanti conclamati nomadismi e vertiginosi "sfondamenti", scopre il proprio bisogno di radici (magari immaginarie), di cose prossime, tangibili, di orizzonti limitati. La nostra è una condizione ibrida: vorremmo appartenere a qualcosa ma d'altra parte la planetaria "coscienza di specie" ci appare ancora troppo vaga. Ma guardiamo alle implicazioni più "politiche" della nostalgia. Vattimo notava a proposito di Anders che non si può criticare la società dei consumi avendo come modello la vita di una volta, assunta magari come la vera vita naturale. Eppure Vattimo dovrebbe sapere che il modello di Anders non è la vita, dorata e melensa, dei tempi andati, ma semplicemente la vita come lui (Anders) l'ha conosciuta e vissuta. Da cos'altro potrebbe trovare alimento la nostra attitudine critica, la nostra capacità di indignazione e rifiuto se non dal nostro stesso passato, o dalla parte 30 migliore del nostro passato? Qualcuno ha parlato perfino di una "nostalgia del futuro", come desiderio struggente e tensione verso qualcosa che già si conosce, che è parte di noi, ma che giace inespresso, latente (il legame tra l'origine e la meta che ci mostra certa tradizione religiosa). In fondo la nostalgia è sempre nostalgia del bene (di ciò che crediamo sia il bene), in essa tendiamo a riversare i nostri sogni di felicità, appagamento, fusione. Ci allontana e distrae dal presente, ma a differenza della paura e della speranza mi sembra una passione meno manipolabile, meno utilizzabile dal potere. Ora, la "vita naturale" cui faceva riferimento Vattimo con morbida irrisione è concetto assai problema-· tico. Però, come osservava Paul Goodman, si può affermare che una determinata educazione è contro la natura umana senza dover necessariamente definire cos'è natura umana. Ovviamente ci si può trovare perfettamente a proprio agio nel mondo dei media e della pubblicità. Ma in questa disposizione risulterà difficile provare un sentimento come la nostalgia che, come ci informa Jankelevitch, è "coscienza di un contrasto tra passato e presente, tra presente e futuro". Forse ho personalmente nostalgia di un valore antiquato come la coerenza intellettuale, però ho I' impressione che il pensiero debole dia prova di un grande trasformismo: ci si propone volta a volta come difensori a oltranza del Presente o come anime sensibili, commosse dalla pietas per il vivente, come filosofi ebbri o come pensatori seriamente preoccupati di definire un'etica del limite. Mi sembra che l'introduzione di Prete, ricca di informazioni storico-culturali, si affidi troppo alle suggestioni e ai paradigmi letterari, alle "congiunture abissali", trascurando, forse volutamente, alcune recenti trasformazioni di questa particolare tonalità affettiva. Il dizionario Zingarelli alla voce "nostalgia" scrive: "desiderio ardente e doloroso di presenze, luoghi, persone ..." Ma non sarà che per un eccesso di difesa dal potere perturbante delle passioni ci siamo resi immuni anche dalla nostalgia? Le nostre ridondanti e ossessive immagini di revival risultano solo altrettanti teatrini colorati, lacrimose e sapienti messinscene per coprire la fondamentale assenza di una passione così "ardente" e dispotica (né vorrei si smarrisse del tutto, tra richiami insondabili, il legame che essa intrattiene con persone e luoghi concreti). Benché variamente disgustati (o angosciati) dal presente tendiamo a scansare nostalgie incurabili; preferiamo limitarci a una rimembranza soft, che tutto indistintamente accoglie e festeggia. Credo invece che la nostalgia non inclini soltanto a un atteggiamento contemplativo e quietistico (ma forse sto parlando di un uso che ritengo auspicabile della nostalgia). Riandare al passato, indugiare nel rievocarlo non è una operazione passiva, pacifica: significa al contrario rievocare le sue domande e richieste silenziose, dolorose, le sue promesse inadempiute (insomma si prova nostalgia anche per quello che il passato avrebbe potuto essere, per tutto quello che non abbiamo scelto). Se l'Italia degli anni Novanta è caratterizzata dai nuovi e aggressivi opportunismi (adattarsi continuamente, sapersi modificare in fretta), in uno scenario del genere c'è poco spazio per la nostalgia.
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