Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

I CONFRONTI I subito dopo era stata attaccata la cosiddetta "banda dei quattro". Era un periodo di transizione, di grande confusione soprattutto per chi arrivava lì pensando di avere capito tutto della Cina e invece non aveva capito nulla. Tutta una serie di miti con i quali ero partita sono crollati immediatamente: ero andata lì perché pensavo che fosse il migliore paese sulla terra, invece ho visto come vivevano, ho verificato che le famose strutture politiche che dovevano essere un esempio di democrazia non esistevano. C'era stata una bugia, una grande menzogna. E si era ancora in una fase di grande chiusura e paura: gli scrittori come Acheng scrivevano già, ma non si poteva entrare in contatto con loro, non pubblicavano ancora. E questo fino alla metà degli anni Ottanta. I "Re" di Acheng sono il frutto di narrazioni orali di quel periodo. Con questa letteratura , quando è venuta alla luce, si è tirato un respiro di sollievo: tutto quello su cui ci interrogavamo quando eravamo lì era un grande problema anche per loro. Sud Sound System Siete tutti salentini, ma vi siete formati nell'ambiente universitario di Bologna ... Papa Gianni. In realtà non è proprio come hanno scritto i giornali. Noi ascoltavamo e facevamo musica e abbiamo iniziato a cantare già qui nel Salento, nelle feste che si facevano fra amici. Ci siamo quindi conosciuti prima come amici - ci conosciamo da una vita - e poi è nato tutto il resto. Il fenomeno è nato qui, nelle nostre case. La formula "Tarantamuffin ", con la quale viene definita la vostra musica, chi l'ha inventata? DJ Warrie. È una definizione che ha coniato uno di noi, Gigi D. Sta a significare la continuità fra il passato, fra la tradizione della tarantella, della nostra canzone popolare - nella accezione più larga della parola - e il raggamuffin, il reggae rappato, parlato e recitato, che è la musica che noi preferiamo. Mi sembra che vi stia a cuore la differenza fra rape raggamuffin ... Papa Gianni. Il raggamuffin deriva dal reggae. Il reggae ha radici antichissime ed è un fenomeno di massa, in Giamaica o a Londra. Il rap è una derivazione del raggamuffin e parla di problemi urbani delle grandi metropoli americane e delle sofferenze di chi vive nei ghetti neri di quelle città. Il rap è la voce dei ghetti neri. Mentre il raggamuffin che facciamo noi è una musica più spontanea, più naturale, perché affonda le radici in culture molto antiche, che sono quelle degli africani di Etiopia trasferiti nelle isole caraibiche. Nell'ultimo anno avete suonato molto in giro per l'Italia: dalle feste di campagna qui nel Salento ai centri sociali e alle discoteche. Che impressione avete avuto? Militant P. Abbiamo riscontrato che i contenuti del nostro lavoro sono molto affini a quelli su cui operano diversi centri sociali italiani. Il bello è che noi non nasciamo da un centro sociale, a Lecce non ci sono spazi autogestiti, come neanche a Bari. È quindi difficile fare musica per i giovani, è difficile ritrovarsi: il giradischi e i microfoni - la strumentazione "povera" che noi usiamo - sono il mezzo più immediato per potersi esprimere: senza spazi, senza niente. A me fa piacere che questo fenomeno abbia avuto una così grande eco in tutta Italia, vuole dire che il nostro lavoro non è inutile. Per quanto riguarda i luoghi dove avvengono i nostri concerti, l'anno scorso abbiamo fatto moltissime serate nei posti più disparati: quelle che ci piacevano di più erano quelle organizzate da noi, dalla nostra Posse, in posti del tutto occasionali, nelle masserìe, nelle campagne, le vere feste del tarantamuffin. Poi abbiamo suonato in molti altri posti, a partire dai centri sociali - il nostro circuito, ancora dai tempi in cui non eravamo conosciuti - fino alle discoteche. Cerchiamo comunque di mantenere una nostra linea, di contenuti e di azione. Gianluigi Toccafondo Tu lavori come un artigiano: dipingi centinaia e centinaia di fotogrammi per realizzare un film di pochi minuti. Come mai questa scelta? Io considero l'aspetto artigianale come una possibilità creativa. Quarido penso ali' artigiano penso a mio padre, ceramista, che partiva da una forma, da un vaso al tornio, e poi cominciava a creare, a inventare, arrivando a una nuova forma completamente diversa da quella iniziale. Ho l'impressione che con alcuni strumenti molto sofisticati su cui si lavora oggi, questa possibilità creativa venga a mancare. Il lavoro anche manuale di reinvenzione continua dell'immagine - si parte da una cosa e si arriva a un'altra, e poi a un'altra ancora- questa assenza di "concettuale", è un aspetto molto stimolante e creativo, che mi sorprende continuamente anche nel lavoro. Direi che è una necessità, alla fine. Senti di avere cose in comune con gli altri premiati? Mi piace il fatto che ci occupiamo tutti di cose diverse: non tutti lavorano con l'immagine, certi con la scrittura o il suono. Il fatto che però sentiamo di avere delle cose in comune conferma la sensazione che in questo momento ci sia -o cominci ad esserci - la possibilità di lavorare con diversi materiali, e quindi con differenti combinazioni fra la pittura, il cinema, la musica, la scrittura ..., rompendo il luogo comune secondo cui il quadro sta nella galleria, il film nel cinematografo. Come sei arrivato a fare cartoni animati: è un campo un po' strano, una "terra di nessuno". Soprattutto se, come i tuoi, sono "seri"... In Italia non c'è una cultura del disegno animato, non c'è un pubblico, non si sa per chi farli, li si vede solo nei Festival per addetti ai lavori. Negli Stati Uniti, o nell'Est europeo o anche in Francia, c'è uno spessore diverso, una tradizione. A Urbino, dove avrei dovuto studiare cinema di animazione, ho avuto una formazione del tutto pittorica. Le cose importanti erano la fattura materica, il quadro, le pitture di Burri, e poi nel mio bagaglio personale, le ceramiche di mio padre. La sola cosa "in movimento" che mi è rimasta da quel periodo viene di nuovo dalla pittura: sono gli Angeli Ribelli di Licini, quelle figure che si stagliano sul cielo ... Ho avuto quindi una formazione artigianale. Poi, quando mi sono trasferito a Milano a lavorare in una casa di produzione, il grande flusso di immagini e le possibilità tecniche che ho conosciuto mi hanno stimolato a fondere la mia esperienza pittorica con quella cinematografica. Perché nei tuoi lavori c'è così spesso lafigura del maiale? È un animale che amo molto, ed è quello che conosco di più. È un animale di famiglia: mio padre, mio zio avevano un maiale, ogni famiglia dalle mie parti aveva un maiale. Ho sempre visto, per tutta la vita, questo animale sempre solo in una stanza, che cresceva, cresceva e poi lo ammazzavano. La pista del maiale è fatto a partire da quest'immagine. E poi il maiale mi piace perché può mangiare tutto, è avido di tutto: e in questa avidità mi riconosco molto. 29

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