IL CONTESTO Né consideravano lo stato del benessere l'unico modo per difendere gli interessi dei lavoratori. Essi ammettevano la forza dell'obiezione dei conservatori secondo cui i programmi di assistenza sociale, per dirla con Herbert Croly, generavano un "senso di dipendenza", ma rifiutavano altresì di ammettere che "l'unica speranza del salariato era quella di diventare proprietario". Croly pensava che una parte della responsabilità di "condurre il meccanismo degli affari della vita moderna" dovesse essere trasferito alle classi lavoratrici - o meglio strappato dai lavoratori ai loro datori di lavoro, dato che la loro "indipendenza... non sarebbe stata molta" se fosse stata "concessa dall'alto dallo stato o dalle associazioni degli imprenditori". La mentalità convenzionale ritiene che noi viviamo in una società interdipendente in cui la virtù della fiducia in se stessi è diventata anacronistica quanto la produzione su ·piccola scala. La tradizione populista, come la intendo io, problematizza questo punto di vista. La parola d'ordine del populismo era indipendenza, non interdipendenza. I populisti consideravano la fiducia in se stessi (che naturalmente non esclude la cooperazione nella vita civile ed economica) come l'essenza della democrazia, una virtù che non è mai andata fuori mercato. Essi polemizzavano contro la produzione su larga scala e la centralizzazione politica perché esse indeboliscono la fiducia in se stessi e scoraggiano le persone dall'assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Che questi timori siano più attuali che mai è dimostrato dal culto della vittima e dalla sua importanza nelle recenti campagne per le riforme sociali. La forza del movimento per i diritti civili, che può essere meglio compreso all'interno della tradizione populista, era che esso rifiutava fermamente di rivendicare una posizione morale di privilegio per le vittime dell'oppressione. Martin Luther King era liberale nella sua teologia, ma populista nella sua insistenza sul fatto che i neri dovevano assumersi la responsabilità della propria vita e nel suo apprezzamento delle virtù piccolo-borghesi: lavoro, sobrietà, miglioramento di sé. Se il movimento per i diritti civili è stato un trionfo per la democrazia, questo si deve al fatto che la guida di King seppe trasformare persone degradate in cittadini attivi, che raggiungevano una nuova dignità e un nuovo rispetto di sé difendendo i propri diritti costituzionali. Di fronte al mio tentativo di ripensare la tradizione democratica - in particolare di distinguere la democrazia partecipativa da quella distributiva, la democrazia dei cittadini attivi e indipendenti da quella dei consumatori - la strana osservazione di Isaac per cui io dimenticherei di prestare "seria attenzione al problema della democrazia" diventa quasi incomprensibile (anche se cercherò di spiegarla). Il mio interesse per la democrazia non può essere misurato in base all'attenzione che dedico a Carlyle o a Sorel, a meno che Isaac non voglia farci credere che la democrazia non ha nulla da imparare dai suoi critici. Per quanto riguarda John Dewey, è piuttosto inesatto dire che io "liquido" Il pubblico e i suoi problemi. Io mi limito a segnalare l'inadeguatezza della risposta di Dewey a Walter Lippmann, che sosteneva che l'opinione pubblica è necessariamente male informata e che bisognerebbe lasciare il governo a degli specialisti. In contrasto con Lippmann, Dewey sostiene giustamente che democrazia non significa solo lapossibilità per tutti di accedere alle cose buone della vita. Secondo Dewey, essa deve basarsi sull"'assunzione di responsabilità" da parte di uomini e donne comuni - sulla base di "uno sviluppo equilibrato della mente e del carattere". Ciò che egli non riuscì a spiegare è in che modo la responsabilità possa prosperare in un mondo dominato da organizzazioni gigantesche e dai mass-media. I teorici classici della democrazia dubitavano che l'auto-governo potesse funzionare efficacemente al di là del livello locale - e per questo favorivano il più possibile il localismo. Dewey stesso sperava in un "movimento di ritorno ... alle patrie locali dell'umanità", ma non poteva dire ai suoi lettori in che modo un simile ritorno si sarebbe verificato, dato che considerava inevitabile la centralizzazione, oltre alla 22 "disintegrazione della famiglia, della chiesa e del vicinato". Il dibattito fra Dewey e Lippmann solleva una delle questioni che preoccupano lsaac - se la democrazia abbia bisogno di un alto impegno personale. Dewey pensava chiaramente di sì. Isaac, che non lo pensa - ma che dichiara di ammirare Dewey come grande teorico della democrazia-, dovrebbe chiedersi se l'intero programma pedagogico di Dewey non fosse inteso precisamente a promuovere la "solidarietà" e "lo specifico impegno morale" che gli sembrano così minacciosi. Nel libro che Isaac crede di ammirare, Il pubblico e i suoi problemi, Dewey notava allarmato che "i patti che un tempo univano gli individui, che li sostenevano, li guidavano e li rendevano partecipi di una visione della vita, sono completamente scomparsi". Il problema a cui faceva riferimento il suo titolo era come ricostituirli. Come altri filosofi progressisti, per esempio Charles H. Cooley, Dewey continuò a rifiutare i critici della democrazia che sostenevano che essa favoriva la mediocrità, l'auto-compassione, un eccessivo amore delle comodità, una produzione scadente e un timido conformismo all'opinione prevalente. L'idea che la democrazia sia incompatibile con l'eccellenza e che gli alti livelli siano intrinsecamente elitari (o, come diremmo oggi, sessisti, razzisti ecc.) è sempre stato il miglior argomento contro la democrazia stessa. Purtroppo molti democratici condividono segretamente (o non tanto segretamente) questa opinione e sono perciò incapaci di controbatterla. Essi ricadono invece a sostenere che gli uomini e le donne democratici acquistano in tolleranza ciò che perdono in carattere. L'ultima variazione su questo noto tema, la sua reductio ad absurdum, è che il rispetto per le diversità culturali ci impedisce di imporre i modelli dei gruppi privilegiati alle vittime dell'oppressione. Questa è chiaramente una ricetta per l'incompetenza generale (o almeno per una disastrosa separazione fra classi competenti e incompetenti), tanto che sta perdendo tutta la credibilità che poteva avere in passato man mano che la nostra società (grazie all'abbondanza di terra e di altre risorse naturali, unita alla cronica scarsità di manodopera) offre uno spazio più generoso all'incompetenza. La crescente evidenza dell' incompetenza e della corruzione diffuse, il declino della produttività, la ricerca di profitti speculativi a scapito della produzione, il deterioramento delle infrastrutture materiali del nostro paese, le squallide condizioni delle nostre città affollate di criminali, l'allarmante e spaventosa crescita della povertà e l'aumento della disparità fra ricchi e poveri, che è nello stesso tempo moralmente oscena e politicamente esplosiva-questi sviluppi, la cui terribile rilevanza non può più essere ignorata o nascosta, hanno riaperto il dibattito storico sulla democrazia. Nel momento del suo esaltante trionfo sul comunismo, la democrazia è sottoposta a un duro attacco in patria, e le critiche sono destinate ad aumentare se le cose continueranno a peggiorare al ritmo attuale. Istituzioni formalmente democratiche non garantiscono un ordine sociale accettabile, come sappiamo dagli esempi dell'India e dell'America Latina. Poiché le condizioni nelle città americane incominciano ad assomigliare a quelle del Terzo Mondo, la democrazia sarà messa ancora una volta alla prova. I liberali hanno sempre pensato che la democrazia potesse fare a meno delle virtù civiche. Secondo il loro modo di pensare, sono le istituzioni liberali, non il comportamento dei cittadini, che fanno funzionare la democrazia. Come dice Isaac, la democrazia "fornisce un contesto legale" che rende possibile per le persone vivere in modi diversi. L'incombente crisi di competenza e fiducia civica, però, getta una profonda ombra di qubbio sulla condivisibile idea che siano le istituzioni, e non i comportamenti, a fornire tutte le virtù di cui la democrazia ha bisogno. La crisi di competenza suggerisce la necessità di un'interpretazione revisionistica della storia americana, che sottolinei in che misura la democrazia liberale abbia sfruttato il capitale di tradizioni morali e religiose precedenti all'affermarsi del liberalismo. Un secondo elemento di questo revisionismo è l'accresciuto rispetto per tradizioni di pen-
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