a cui dobbiamo sottometterci. Questa sottomissione non è tanto politica o sociale, quanto metafisica, un distacco dalle forme di indagine o di comportamento che potrebbero modificare radicalmente l'orizzonte del nostro modo di vivere, dei nostri tranquilli rifugi. Prendiamo invece le parole di Albert Camus: "La rivolta è la certezza di un destino di sconfitta senza la rassegnazione che dovrebbe accompagnarlo". Camus accetta la prima osservazione di Lasch, rifiuta recisamente la seconda. Culturalmente moderno, per cui il mondo era completamente disincantato, egli confrontò apertamente i limiti della condizione umana sostenendo nel contempo una ribellione senza fine. "La ribellione nasce dal lo spettacolo dell'irrazionalità, di fronte a una condizione ingiusta e incomprensibile. Ma il suo impulso cieco cerca l'ordine in mezzo al caos e l'unità di ciò che è intrinsecamente effimero. Protesta, chiede, insiste perché l'oltraggio abbia fine e ciò che finora è stato costruito su sabbie cedevoli sia d'ora in poi basato sulla roccia. La sua preoccupazione è trasformare ... Quindi è assolutamente necessario che la ribellione trovi in sé la propria ragion d'essere, dato che non può trovarla fuori di sé." Camus capisce che non c'è rimedio al male e alla sofferenza della vita mortale, ma rifiuta di ammettere che soffrire sia sostanzialmente giusto. Condivide in gran parte la sensibilità di Lasche di King; ma non può condividere la concezione religiosa di un fine superiore nascosto. Figlio della ragione moderna, egli rifiuta questo salto nella fede, credendo, come disse una volta, che "l'uomo rimane sempre preda delle proprie verità". Cito Camus perché è appartenuto a quella che James Wilkinson ha chiamato "la generazione della resistenza" di intellettuali politici costretti a dare un senso alla propria vita attraverso la resistenza al totalitarismo. Persone come Camus, Silone, Hannah Arendt, Dwight Macdonald e Nicola Chiaromonte, hanno tutte provato quanto sia pericolosa la hybris alla base della politica e della società novecentesche. Erano ben consapevoli del potere di quella che Lasch chiama Nemesi, la forza compensatoria dell'inaspettato che consiglia lamoderazione. Tentarono anche di delineare una "terza via" fra il capitalismo e il socialismo, proprio in base a questa consapevolezza. Ma ciò che le distingueva dai critici populisti di Lasch era il rifiuto di rifugiarsi nell'ombra di una mistica dell'universo, qualsiasi essa fosse. Come disse ancora Camus, il senso di assurdità porta a "quegli IL CONTESTO aridi deserti in cui il pensiero raggiunge i suoi confini... La vera fatica è restarvi ... il più a lungo possibile, ed esaminare attentamente la strana vegetazione di quelle regioni lontane". Lasch cerca di farlo. Opponendosi sia al progresso che alla nostalgia, egli cerca di resistere alle soluzioni facili. E in alcuni punti parla dell'intrinseca "ambivalenza" della modernità. Ma questo sforzo per rimanere nel deserto sembra poco convinto. La sua speranza sembra vuota. Camus ci offre un altro modo, più soddisfacente, per affrontare il problema moderno della mancanza di una patria. Come Silone, anch'egli aveva un profondo senso del valore della vita quotidiana, della parentela e del localismo, di ciò che nella recensione elogiativa a Pane e vino di Silone chiamava "il ritorno dall'astratta filosofia della rivoluzione al vino e al pane della semplicità". I suoi scritti sono in rapporto con le riflessioni sulle proprie esperienze giovanili nel Mediterraneo e con l'importanza che esse avevano per lui. Riecheggiando SiIone, egli scriveva: "L'opera di un uomo non è che il suo lento percorso per riscoprire, attraverso i giri dell'arte, quelle due o tre immagini grandi e semplici di fronte alle quali il suo cuore si è aperto per la prima volta". Nei suoi scritti sulla crisi algerina, Camus ha esemplificato quelli che Lasch considera i valori della piccola borghesia, richiamando "la storia di quell'uomo della mia famiglia che, essendo povero e libero dall'odio, non ha mai sfruttato o oppresso nessuno". Contro l'universalismo ingenuo, egli sosteneva che "il cammino verso la società umana passa attraverso la società nazionale". Ma insisteva anche, contro il particolarismo cieco, che "la società nazionale può sopravvivere solo aprendosi a una prospettiva universale". Questa secondo me è la chiave- l'apertura delle tradizioni particolari (etniche, familiari, religiose) a una prospettiva universale. Come per Silone, la valorizzazione delle particolarità in Camus comporta un ritorno dall'ottimismo ingenuo dell'umanesimo a quello che possiamo chiamare un umanesimo purificato. Egli capiva che i valori della famiglia, della religione e dell'etnia hanno la loro importanza. Apprezzava la semplice decenza e il senso dei limiti della vita tradizionale della piccola borghesia. Ma coglieva anche l'insufficienza di questo tipo di vita, la sua chiusura Washington, aprile '92 (foto di Roberto Koch/ Contrasto). 19
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