Linea d'ombra - anno X - n. 74 - settembre 1992

IL CONTESTO americana per mettere in moto un negoziato di pace arabo-israeliano. Washington, in contrapposizione chiara con il governo ultranazionalista israeliano, impegnato in tattiche dilatorie di fronte alle sollecitazioni di James Baker perché anzi agevolasse la trattativa, conquistava per la prima volta nella storia la fiducia dei palestinesi (di quelli favorevoli ai compromessi politici di pace, tuttavia osteggiati dai gruppi ancorati a pretese oltranziste e combattuti dagli integralisti islamici dell'organizzazione Hamas, esterna all'Olp). Alla vigilia delle recenti elezioni israeliane, sempre per la prima volta, non tutti i palestinesi hanno liquidato il confronto alle urne nel paese nemico con giudizi secondo cui non c'era alcuna differenza sostanziale tra i protagonisti. "Speriamo che vinca Rabin", ha detto la portavoce della delegazione palestinese ai negoziati, Hanan Hashrawi. Una volta in carica il nuovo governo, uno dei più stretti collaboratori di Arafat, Abu Sharif (quello che solitamente espone da Tunisi i punti di vista moderati del vertice dell'Olp), affermava: "Rabin, eroe di guerra, potrebbe diventare eroe di pace". A quanto sembra di capire, le elezioni in Israele sono andate come s'è visto soprattutto per la volontà diffusa di frenare una crisi economica e sociale sempre più accentuata. Settantamila disoccupati - quanti indicavano a giugno le statistiche - rappresentano un dato negativo senza precedenti nel paese; i russi immigrati che vivono in due o tre famiglie per appartamento e che, anche se di professione ricercatori scientifici o ingegneri, campano facendo i fattorini in un supermercato o pulendo le strade, non avevano prospettive di uscita da questa situazione precaria finché fondi pubblici ingenti venivano destinati a popolare con abitanti ebrei i territori occupati. Situazione resa ancor più drammatica dal rifiuto americano di concedere le garanzie chieste dal precedente governo al fine di ottenere crediti bancari per l O miliardi di dollari da utilizzare per l'integrazione di questi immigranti. La parola d'ordine del nuovo governo è: "cambio delle priorità". Essa potrebbe anche venir interpretata come un espediente strumentale per ottenere quelle garanzie (la cui concessione era condizionata daWashington al blocco della costruzione di insediamenti nei territori occupati). Senonché basta un elemento a indicare la sincerità del proposito dichiarato: la consapevolezza di Rabin della rinnovata importanza che va assumendo il suo paese per la strategia americana. Dopo mesi di discesa negli interessi del Pentagono, Israele sembra rivestire di nuovo un ruolo non trascurabile per gli strateghi di Washington, come alleato sicuro di fronte alle scosse d'instabilità e violenza che si susseguono con ritmo crescente in un'area vasta (Turchia e Iran che sicontendono i I potere d'influenza sulle repubbliche musulmane dell'ex Unione sovietica, il nuovo capitolo nello scontro tra le grandi potenze e il regime iracheno di Saddam Hussein, le fiammate di guerra nel Mediterraneo a partire dal macello jugoslavo, il "fattore islamico" sempre più condizionante in un raggio geografico che va dai paesi arabi ali' Afghanistan). Insomma, Rabin potrebbe anche non modificare l'ordine delle "priorità" e invece attendere semplicemente i corteggiamenti di Washingon al momento, prevedibilmente prossimo, del bisogno americano di collaborazione. Quando il presidente George Bush ha detto pubblicamente, al termine della visita che gli ha fatto il neo primo ministro, di avere deciso per la concessione delle garanzie creditizie anche perché il miglioramento dei rapporti tra i rispettivi paesi "è molto importante per gli Stati uniti" stava esprimendo quello che in effetti pensava. Non erano soltanto parole destinate ali 'udito degli americani ebrei e filoisraeliani in generale che ·dovranno recarsi alle urne il prossimo novembre per lepresidenziali. Rabin fa una distinzione tra insediamenti "politici" e altri utili alla sicurezza nazionale. Dei primi - dice - non dovranno essercene di nuovi. Ha quindi bloccato l'inizio dei lavori per la 14 costruzione di seimila abitazioni e sospeso quelli già in corso per oltre novemila. Non si tratta di tutte le case previste dai piani dell'ex generale Sharon, ministro dell'edilizia nel passato governo; ce ne sono tremila appena costruite e già assegnate a prossimi occupanti. Il governo si trova di fronte a un problema finanziario: per l'annullamento dei contratti già stipulati dovrebbe pagare parecchie centinaia di milioni di dollari in risarcimenti. E finché non cambiano le condizioni economiche nel paese, in cui gli affitti nelle città sono molto alti e i prezzi di acquisto impossibili per la maggioranza degli israeliani, riesce difficile dirottare altrove le molte famiglie attirate verso gli insediamenti - che sono città con ogni comfort - dalle agevolazioni per l'acquisto, dai prestiti tra cinquantamila e settantamila dollari dati a ogni acquirente (soldi che non si restituivano se si rimaneva a vivere nella stessa casa almeno per quattro anni), dagli sconti sulle tasse, dall'uso della televisione senza pagamento del canone. Il nuovo governo israeliano, per un avvio di accordo con i palestinesi, ha proposto un piano non molto diverso da quello del governo precedente. Ha offerto quanto già previsto dagli accordi israeliano-egiziani di Camp David (1979): un quinquennio di autonomia amministrativa per le popolazioni dei territori occupati ("autogoverno", con la gestione da parte degli organi eletti di tutto tranne la politica estera e la sicurezza militare). Ha aggiunto la creazione di un consiglio regionale rappresentativo delle varie località. L'ex primo ministro Itzhak Sharnir cercava soltanto di guadagnare tempo, facendo di tutto per far slittare l'attuazione del progetto; ha finito per confessarlo egli stesso in una intervista al quotidiano "Maariv" dopo la sconfitta elettorale subita. Cercava di rallentare il più possibile le trattative di pace in modo che dopo circa un decennio - il tempo che lui aveva previsto - la situazione demografica nei territori occupati sarebbe stata profondamente diversa rispetto a quella attuale e non avrebbe avuto più alcun senso cercare di modificare il carattere istituzionale. Le nuove autorità hanno dimostrato una volontà del tutto differente: oltre a bloccare o sospendere la costruzione di insediamenti hanno scarcerato 800 detenuti palestinesi e annullato l'ordine di deportazione per undici accusati di attività terroristiche, è stato cacciato con la forza un gruppo di fanatici ultraortodossi che tentava di installare alcuni prefabbricati a Hevron, è stata ordinata l'evacuazione ai fondamentalisti che da un anno e mezzo occupano due case nel quartiere arabo di Gerusalemme, è stato riaperto dopo quattro anni di divieto il Centro di Studi Arabi nella stessa città, mentre si progetta la modifica della legge che proibisce ogni contatto con membri dell 'Olp. A parte la questione palestinese, le nuove autorità hanno intrapreso contatti con la Siria - prima ancora che riprndessero i negoziati ufficiali a Washington - al fine di arrivare a un compromesso per le alture del Golan (territorio annesso da Israele). Non è da attendersi alcuna svolta rivoluzionaria. Non si risolve in un batter d'occhio un conflitto fatto da mille intrecci, alimentato per successivi decenni da odii reciproci e complicato di volta in volta dalla violenza, anche feroce, degli oppositori a qualsiasi compromesso di pace. Anzi sono da attendersi le rivolte, gli atti di violenza dei gruppi contrari anche ai piccoli passi che ora si cominciano a fare in qirezione di un accordo a venire. Reazioni simmetriche dai fanatici dei due campi, palestinesi e israeliani. Intanto si può essere però un minimo ottimisti. Rabin ha invitato i palestinesi ad accettare la gradualità delle sue proposte: "Non avrete tutto quello che volete ma neanche per noi le cose saranno come vorremmo". Parecchi tra i destinatari di questo invito hanno ritenuto che le cose siano davvero cambiate: dopo oltre quattro anni di intifada, molti ristoranti e locali da ballo nei territori occupati si sono ora riaperti.

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