Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

IL SEGNO DEL POTERE Jan Zahradnicek traduzione di Giovanni Giudici e Jftka Kresalkova né tanto meno che fosse di buon mattino o al crepuscolo benché tutto stesse a dimostrare che era tardi troppo tardi perché ciò fosse in un altro giorno in un altro anno di questa nostra èra Jan Zahradnicek (1905-1960) è considerato oggi come uno dei quattro o cinque autori che hanno illustrato nel nostro secolo la luminosa costellazione della poesia cèca (da Halas a Holan, da Nezval a Orten), nel quadro dell'avanguardia europea fra le due guerre. La sua figura intellettuale e artistica, dopo una lunga eclissi determinata dalle circostanze politiche, dagli otto anni di reclusione scontati tra il 1952 e il 1960 e in parte anche dalla relativa "eccentricità" di un'ispirazione in gran parte religiosa, non aveva fatto in tempo a essere riproposta all'epoca della effimera "primavera di Praga" del 1968: un suo importante libro, già stampato e pronto per la distribuzione, era stato mandato al macero per ordine del le autorità sovietiche di occupazione. Di quel libro faceva parte un poema di 800 versi, intitolato Il segno del potere (Znamenf moci), che mi era allora pervenuto e che (da me tradotto con l'indispensabile collaborazione di Jftka Kresalkova) tentai inutilmente di far pubblicare. Per oltre vent'anni questa traduzione è rimasta dunque nel cassetto. Non mi sembra fuori luogo presentarla oggi che una forte rivalutazione del Poeta è in atto in Cecoslovacchia (e anche in Germania, dove da anni circolano sue traduzioni). Di Zahradnicek la casa editrice praghese "Vysehrad" ha incorso di pubblicazione l'opera poetica completa. (G. G.) Gli alberi erano spogli come sempre e con tanti simboli la neve era che il suo cadere e sciogliersi tra i piedi della gente C'era da soffocare I Non tutto d'un colpo non tutti in una volta ma impercettibilmente qua e là così com'era all'ordine del giorno inavvertitamente decomporsi si eclissavano gli ultimi avanzi del passato Già morti i vecchi impegni ne cadevano in silenzio in una lebbra più funesta della lebbra tropicale perché sentire senza orecchi, respirare senza naso, parlare senza lingua non fu mai così ingrato né impossibile come in questa totale spoliazione, di secoli strappati a brandelli Le amicizie passavano, paesaggi pieni di sgorbi si cancellavano ineluttabilmente perché ad un tratto gli dissero che non avevano avuto infanzia né mai giovinezza, né sarebbero giunti a vecchiaia Malgrado il numero immenso ognuno era solo senza certezza della propria nascita mentre li stava aggirando la morte proiettando il suo incontro con essi sul bianco schermo del futuro questa sempre più prossima e reale sola certezza che loro rimaneva ... Di nuovo come allora e tanto spesso dopo andavo per le vie da dove il tempo era spazzato strade sterilizzate che non potevano avere esito qui sulla terra né su altro pianeta di alcun universo Qui ormai non importava che arrivasse autunno o primavera la sua tenera e gelida carezza su guance fuggitive restavano incompresi come un discreto ma fermo avvertimento dall'ignoto che hanno imparato ad ignorare come tutto ciò che non rechi il sigillo del potere Come in un dantesco inferno tra le case che stavano di sghembo si affannavano si inseguivano in cerchio C'era da ridere e c'era da piangere di questa loro libertà Pensavano di pensare, pensavano di parlare, pensavano di andare qualunque cosa e dovunque e intanto slittavano giù nel liscio imbuto d'un maelstrom in circoli sempre più stretti con una libertà da chicchi di grano gettati nella macina per servire da cibo a orchi così disumani che persino le mole ne piangevano Ma da nessun posto venuti a nessun posto potevano arrivare Tutto marciava solo in apparenza e ormai da tanto qui malgrado tanta fretta non succedeva più niente malgrado tanto chiasso regnava un silenzio zodiacale dove si udiva ancora impercettibile il tuono dell'ira il gemito dell'amore e la voce della coscienza più forte di ogni altoparlante si propagava nel cielo svuotato fino all'ultima stella del cosmo perforato dove infuriava un vento di orrore ... E in quel momento mi spaventai cos'era successo dell'uomo cos'era successo del suo volto dove, potevo vederlo, non c'era quasi alcun segno dell'ora dodicesima di storia che stava per scoccare Proprio così come volevano gli araldi dell'Animale Felice c'era davanti agli occhi e dietro gli occhi il vuoto II Dite che fuori comincia il gelo e che bisogna spostare dal balcone al ballatoio i due vecchi oleandri e la palma sparuta 95

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