Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

POESIA/KIRSCH Ora si legge e si sente ovunque parlare della soave, civile rivoluzione di novembre - la prima su suolo tedesco. Ma questa è una credenza impalpabile come una farfalla. Quando sento parlare di rivoluzione, batto i denti dalla paura. bisogna fare in modo di non perdere di vista la foresta per gli alberi. Scheletri di alberi. Una cosa è certa: se non vogliamo che ogni pensiero e ogni azione siano invano, sin da subito la rivoluzione dovrà essere verde. Segatrici ululano. Dove era l'ombra, il cielo. Astro del giorno e della notte. Teneri muschi melica papavero e timo Chiedono perché dunque Sempre solo il mio piede? Questa è un'istantanea. Fu nel Meclemburgo: stavano abbattendo gli alberi di un bellissimo bosco. Per tutto il giorno le segatrici avevano impazzato, era stato tremendo sentirle. "Dove era l'ombra, il cielo", questo verso è chiarissimo: si vedono il cielo, il sole, la luna e le stelle. Poi la poesia compie una specie di balzo. Diventa una poesia d'amore. "Teneri muschi, melica, papavero e timo chiedono, perché dunque sempre solo il mio piede?" Chiedono: perché vieni sempre qui sola? Questa è una poesia d'amore e di amore per l'ambiente, il punto di vista è lo stesso: un punto di vista, io credo, molto importante. Ho sempre abitato in una grande città e per molto tempo non ho avuto un vero rapporto con la natura. Ci è voluto molto tempo prima che dentro di me spuntasse qualche lirica sulla natura. D'altro canto io non credo di scrivere degli idilli, perché nelle mie poesie è anche sempre presente la minaccia, la coscienza che un certo stato è contingente, che ogni cosa presto può cambiare. Che nella natura io abbia sempre cercato la letteratura, l'ho capito solo più tardi. È per questo che all'università ho studiato biologia. Elke Erb in un suo saggio ha fatto osservazioni molto acute su questo aspetto: dato che da piccola leggevo e rileggevo Stifter e siccome nella sua opera la natura, il bosco, gli alberi vi svolgono un ruolo molto importante, ho pensato che fosse questo a interessarmi. Mi sono sforzata di studiare Economia forestale, ma avevo sempre in testa la letteratura. Durante le lezioni pratiche dovevamo abbattere gli alberi e questo proprio non mi andava giù. Del mio bosco non restava più nulla ... Allora ho smesso e ho proseguito gli studi in biologia. A quel tempo mi occupavo di letteratura come chiunque altro, e come chiunque altro andavo a teatro, ai concerti. Poi ad Halle ho cominciato a frequentare un circolo di giovani autori, tra cui c'era anche Rainer Kirsch che sarebbe successivamente diventato mio marito. Una volta al mese il gruppo di lavoro si riuniva per due giorni coordinato da Gerhard Wolf, un critico molto acuto nonché mentore per molti di noi. È così che cominciai a scrivere, d'impulso. Sino ad allora avevo letto poca poesia, preferivo la prosa. Leggevo solo le liriche che venivano pubblicate su giornali e riviste e mi ci sono voluti anni per imparare a leggerle bene. Questa ingenuità fu di fatto la mia fortuna. Se per esempio avessi studiato germanistica, forse avrei sentito su di me un peso eccessivo e magari non sarei mai riuscita a scrivere. Gerhard Wolf ci diceva di guardarci dai grandi temi filosofici e ci ha insegnato a scrivere delle cose che ci circondavano, che conoscevamo veramente. Era la cosiddetta poetica "delle piccole cose" come la definivano i germanisti del tempo. E noi facevamo poesia sulle piccole cose: su una colazione o sul risveglio, sulla piazza del mercato di Halle. La frequenza del gruppo di lavoro era la condizione per porre in seguito la propria candidatura all'Associazione degli scrittori di cui si diventava membri effettivi dopo cinque anni, a patto che nel frattempo ci fosse stata almeno una pubblicazione. A quel punto era possibile iscriversi al Johannes R. Becher-Institut di Lipsia per completare la propria formazione di scrittori. Era un grande privilegio, perché si riceveva una congrua borsa di studio e si aveva la possibilità di colmare tutte le lacune. Fu come frequentare un corso di laurea in Lettere: c'erano lezioni sulla letteratura di tutto il mondo, sulla letteratura sovietica, la filosofia. La biblioteca era fornitissima, si trovava di tutto: persino Camus, cosa non facile nella RDT. Il seminario sulla poesia lo teneva Georg Maurer, un poeta purtroppo poco noto all'estero, ma che per noi ha significato moltissimo. Il Becher-Institut si basava su una premessa ben precisa, il realismo socialista, e il suo programma era stato delineato nella conferenza di Bitterfeld (1959). Prevedeva che si andasse in fabbrica e si scrivessero reportage per i giornali: fu una scuola eccellente. L'idea che lo scrittore dovesse toccare con mano la produzione non era affatto male. Io stessa ho lavorato prima in una cooperativa e poi in uno zuccherificio. Inoltre si collaborava molto tra di noi: Volker Braun, Bernd Jentzsch, Rainer Kirsch, Karl Mickel, Heinz Czechowski, la generazione nata nel 1934-35. Alcuni di noi vivevano anche insieme oppure ci vedevamo spesso, ci scambiavamo le cose a cui lavoravamo. Per un certo periodo di tempo abbiamo letto tutti Klopstock, oppure Gryphius o Goethe. Dato che parte della letteratura moderna non ci era accessibile, ci siamo rifatti ai classici. Lo strutturalismo era decisamente lontano. Era una sorta di lavoro d'équipe. Qui in Occidente invece la concorrenza è molto forte, tutto è più commerciale. E poi qui non si discute con altrettanta intensità. La letteratura in ultima analisi è qualcosa di collettivo: fornisce una cronaca della società, una certa verità sull'epoca in cui si vive, e questo va fatto insieme. Un contadino che trascinava una gamba Attraversando il campo di cavoli sventolò il cappello Come se fosse allegro. Questa è un'immagine fulminante, uno schizzo se preferite. Non posso farci niente se i giornali scrivono che si tratta di una terzina grandiosa. Non posso farci proprio niente. È una delle tante poesie scaturite dal paesaggio di Meclemburgo. Bisognerebbe chiudere gli occhi e sforzarsi di vedere la stessa immagine. Le mie poesie nascono molto spesso da un'immagine, da qualcosa che ho visto e mi ha colpito. È da questo elemento visivo che comincio. Può essere il centro della poesia oppure l'inizio, dipende. Scrivo prima di tutto a mano, tre-quattro volte e ogni volta cambio molto. Poi ricopio tutto a macchina perché così si riesce a prendere meglio le distanze, quel che si è scritto diventa più estraneo e si vede meglio quel che non va. Poi accantono il testo fin quasi a dimenticarlo e lo riprendo in mano solo dopo molto tempo e lo mostro anche ad altri, persone di cui mi fido. L'esperienza mi insegna che la versione finale di una lirica non corrisponde sempre alle intenzioni di chi l'ha scritta può sempre uscire diversa da come la si voleva. Per esempio, si vorrebbe scrivere una poesia allegra, ma l'oggetto se ne va per un'altra strada. Se talvolta metto poche virgole o altri segni d' interpunzio93

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