STORIE/UPWARD Hobson. Vi si diresse, attraversando la strada per lui più importante di tutte le altre delJa città, Junction Road, alla fine della quale si trovava la sua casa. Nelle stanze al piano terra della casa di Mr Hobson c'erano le luci accese. Pensò che non era impossibile che Mr Hobson fosse ancora vivo, in un'epoca in cui molte più persone di prima raggiungevano un'età avanzata. Leslie non si fermò a guardare le finestre questa volta, ma proseguendo si ricordò dell'offerta di lavoro che Mr Hobson gli aveva fatto molto tempo prima, e che avrebbe potuto farlo entrare in società con lui nella sua azienda fiorente e, secondo i parametri borghesi, rispettabile. Se avesse accettato quel lavoro sarebbe potuto diventare un uomo di successo, rispettato da tutti in città, ma, anche supponendo che quel successo avesse convinto Elizabeth a perdonarlo e a sposarlo, egli era sicuro adesso, così come lo era stato allora, che avrebbe trovato quel lavoro insopportabile. Ed Elizabeth non avrebbe mai potuto essere ciò che Lana era stata per lui. Tuttavia, mentre continuava a camminare, ricordò con gratitudine e con affetto Mr Hobson che, senza figli, un tempo forse l'aveva considerato quasi come un figlio e aveva voluto aiutarlo veramente. Dal momento in cui diede un primo rapido sguardo alla propria casa all'angolo della Junction Road, non pensò più a Mr Hobson e nemmeno a Elizabeth. Non riusciva nemmeno a pensare a casa sua: riusciva solo a provare delle sensazioni, e queste sensazioni erano di paura e di desiderio. Non era del tutto consapevole, o non voleva esserlo, di ciò che temeva. L'esterno della casa, da quello che poteva vedere alla luce dei lampioni stradali quando raggiunse l'angolo della via, non aveva subito cambiamenti allarmanti dall'ultima volta che l'aveva vista. La vite canadese, nel suo rosso splendore autunnale, si arrampicava ancora ai muri esterni della casa, e Leslie vide che, dove l'ampio vialetto di ghiaia che conduceva dal doppio cancello di ingresso fino alla porta principale si stringeva per proseguire oltre la finestra a balcone del salotto, le due siepi di ligustro erano ancora folte e nascondevano il giardino infossato che il sentiero a zig zag raggiungeva attraverso un'apertura nel punto in cui le siepi, terminando, si congiungevano. Quante volte, quando era un ragazzo, aveva guidato con abilità la sua macchina a pedali a tutta velocità giù per il vialetto, e quante volte la catena gli si era sfilata dal pignone mentre cercava di risalire il vialetto pedalando con fatica. Questi ricordi lo aiutarono a dimenticare per un momento la sua paura mentre apriva come al solito la metà destra del cancello doppio (l'altra metà era mai stata usata?) e si avviava per il corto vialetto di ghiaia verso la porta d'ingresso. Ma quando si trovò nella veranda, di fronte alla porta, la sua paura ritornò. La luce che passava attraverso gli spessi pannelli di vetro ondulato e semitrasparente della porta era fioca quasi come nelle ore di black-out durante la seconda guerra mondiale (in effetti non era mai stata veramente luminosa, nemmeno quando egli viveva qui prima della guerra). Come un estraneo, adesso doveva premere il pulsante del campanello di fianco alla porta, invece di entrare in casa usando le proprie chiavi. Non udì il suono del campanello e nessuno venne alla porta. Riconobbe proprio sopra la maniglia della porta, il battente di bronzo non lucidato, dalla forma simile 74 alla testa di un faraone egizio e più nero che mai, e bussò due volte con questo, non troppo forte. Ben presto vide qualcuno muoversi lentamente nell'ingresso, e vide la sagoma avvicinarsi ai pannelli di vetro e raggiungere finalmente la porta. Non riconobbe subito sua madre quando aprì la porta, perché non sperava affatto di trovarla ancora qui, ma lei lo riconobbe immediatamente. "Oh Leslie", disse, e lo baciò abbracciandolo. "Sono così felice". "Avrei voluto avvertirti del mio arrivo", disse lui. Ella sembrò non udire queste parole. "Sono così felice", disse di nuovo, e poi gridò dall'ingresso, "Arthur, è Leslie". Suo padre uscì dal soggiorno, che si trovava in fondo al corridoio. Strinse la mano a Leslie. Molto tempo prima Leslie si era sentito ferito poiché, da quando aveva raggiunto i tredici anni, suo padre aveva preso l'abitudine di salutarlo al ritorno dalla scuola o alla fine delle vacanze stringendogli la mano anziché baciandolo, ma ora il calore della stretta di mano di suo padre pose fine finalmente alle paure di Leslie. I suoi genitori non solo erano ancora vivi, ma non sembravano neanche molto più vecchi dell'ultima volta che li aveva visti. "Sei arrivato giusto in tempo per prendere il tè," disse sua madre, facendolo entrare nella grande stanza alla quale molto tempo prima aveva dato il nome di stanza sud. La luce qui era un po' meno fioca che nell'ingresso.Sull'antico tavolino rotondo al centro della stanza c'era una teiera con sopra un copri teiera di lana lavorato a maglia. Sua madre andò verso la credenza ad angolo di quercia scura in fondo alla stanza per prendere un'altra tazza da tè e un piatto. Leslie si sedette nella poltrona di pelle marrone che ricordava benissimo. Suo padre si sedette di fronte a lui in una poltrona quasi identica, però con un anello di gomma gonfiato al posto del cuscino, proprio come una volta. Leslie provò una · sensazione di sicurezza che, pensò, non avrebbe potuto provare in nessun altro posto. Le cose che aveva voluto dire ai suoi genitori cominciarono a sembrare meno urgenti mentre si riposava seduto così comodamente in quella poltrona. Comunque, non doveva dimenticarsele. Voleva dire che gli dispiaceva che a causa del lavoro non fosse riuscito a tornare a casa prima di quel giorno. Voleva dire che gli dispiaceva di averli delusi molto tempo prima poiché non aveva accettato il lavoro che Mr Hobso!1 gli aveva offerto, e spiegare loro che non l'avrebbe sopportato, e che la vita che aveva scelto era l'unica che potesse tollerare. Voleva ammettere che il lavoro in cui aveva profuso le sue energie migliori non era stato un successo, e neanche la causa per cui aveva lavorato, però voleva anche dire loro che non avèva mai dubitato, e ora ne era più che mai convinto, che alla fine avrebbe trionfato. Ma perché avrebbe dovuto rischiare di turbare i suoi genitori dicendo loro queste cose? La loro felicità di averlo di nuovo con sé era così evidente. E perché avrebbe dovuto rischiare di disturbare anche la propria felice sonnolenza, che cresceva in lui a poco a poco mentre sedeva lì con loro? "La casa è un luogo dove si ha cura di me", si disse mentre sprofondava nella comodità della sua poltrona, mentre scivolava giù, sempre più giù, giù dentro la sicurezza che gli dava. Copyright Edward Upward, 1988.
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