portare alla luce del sole, con opportune regole e controlli, i contributi che i privati versano attualmente ai partiti in forma occulta e attraverso scambi illeciti (secondo il modello americano). Si può infine cercare di trasformare i partiti in organizzazioni leggere, riducendone i costi (secondo il modello proposto da Achille Occhetto). Una visione realistica della democrazia non dovrebbe scartare pregiudizialmente nessuno di questi rimedi. Dopotutto se i partiti esistono e svolgono funzioni utili, bisognerebbe permettere loro di guadagnarsi da vivere onestamente. Ma tali soluzioni toccano solo un aspetto, ormai decisamente marginale, della questione. È infatti evidente che nello scandalo milanese così come in altri casi consimili, i proventi della corruzione non sono destinati che in minima parte ai partiti. Il grosso dei ricavi va invece a finanziare le carriere individuali di singoli personaggi. Non servono a coprire un costo, ma a realizzare un investimento. Il denaro che viene sottratto al circuito legale dà luogo a una sorta di accumulazione originaria, che in parte verrà convertita direttamente in incarichi pubblici (attraverso l'elezione propria o di persone arniche) e in parte servirà a impiantare vere e proprie imprese economiche, specialmente nel settore dell'intermediazione pubblica (consulenze, brokeraggio, forniture ecc.), che daranno al politico d'affari una posizione più solida nella sua carriera o un sicuro avvenire nel caso che questa - come non è impossibile - dovesse interrompersi. Le reti fiduciarie che si costituiscono attorno a questi meccanismi non sono immediatamente identificabili con i partiti e neppure con le loro correnti, anche se li intersecano immancabilmente. Sono piuttosto cordate raccolte attorno a imprenditori politici che spesso travalicano i confini tra i partiti come la commistione tra comunisti (ora pidiessini), socialisti e democristiani nel caso milanese mostra inequivocabilmente. Certamente, una parte di quei proventi va anche alle federazioni di partito per finanziare le loro tradizionali attività: le sedi, i funzionari, la propaganda. Ma anche in questo caso si ha l'impressione che il finanziamento sia in qualche modo un atto discrezionale, da cui il donatore si attende prima o poi qualche contropartita. I politici d'affari non agiscono come funzionari del partito o suoi rappresentanti (com'erano gli antichi e spesso corrotti segretari amministrativi dei partiti), ma piuttosto come liberi professionisti dell'intermediazione che ripartiscono i ricavi della corruzione secondo criteri di convenienza, più che di fedeltà. Abbiamo tutti un'idea dei canali occulti attraverso cui una volta venivano finanziati i partiti. Che si trattasse di fondi neri dell'Iri, di contributi ai partiti fratelli, di import-export con l'Urss o di sovvenzioni della Cia, il denaro veniva procacciato e gestito in forma centralizzata e serviva in sostanza a rafforzare i gruppi dirigenti. Ma è chiaro che il fenomeno delle tangenti milanesi è un'altra cosa. Qui si assiste infatti all'estrazione sistematica di plusvalore da ogni minima transazione pubblica, da parte di chiunque si trovi nelle condizioni di esigere la taglia. E d'altra parte come spiegare il fatto che il giro d'affari della corruzione aumenta, proprio in un periodo in cui gli apparati dei partiti si assottigliano, calano gli iscritti e si chiudono le sezioni? Non va trascurato un ultimo "costo" che forse incide poco sul piano quantitativo, ma che è molto rilevante sul piano della sociologia delle élites. Una parte dei proventi della corruzione è infatti comunque destinata ad elevare il tenore di vita dei corrotti. Siamo lontani anni luce da quelle storiche figure di amministratori di partito che magari manovravano fondi occulti e compivano malversazioni, ma contemporaneamente IL CONTESTO Il giudice Di Pietro in uno foto di luigi Baldelli !Contrasto) viaggiavano in seconda classe. I politici d'affari di oggi pretendono, forse non del tutto irragionevolmente vista la società in cui vivono, di disporre di tutti gli status symbols della classe dirigente. Partecipano a consigli di amministrazione, deliberano su miliardi, entrano in quotidiano contatto con i potenti. Perché dovrebbero vivere al di sotto delle condizioni dei loro colleghi, dirigenti del settore privato? Non sarebbe impossibile mettere in qualche modo sotto controllo le risorse dei partiti. Ma come controllare il bisogno individuale di investimento e di consumi di lusso espresso dal nuovo ceto politico? La teoria del rispecchiamento Non c'è dibattito televisivo in cui il politico di turno, messo alle strette, non pronunci prima o poi la fatidica frase: "in fondo i politici non sono peggiori della società che li esprime, anzi la rispecchiano". È questa la seconda - e per la verità più generica - teoria sistemica della corruzione. Essa dice semplicemente: la corruzione è tra voi. Questa teoria ha il difetto di non proporre rimedi, ma ha il pregio di bloccare uno dei più forti argomenti sostenuti dagli avversari: quello che contrappone una società civile buona ad una società politica corrotta. Ed ha inoltre il vantaggio di far leva sulla pessima auto-considerazione che gli italiani hanno di se stessi e delle proprie virtù civiche. Dopotutto sono almeno cinquecento anni che si discute del particolarismo e dello scarso senso del pubblico che caratterizza la nostra società, e non saremo certo noi a negare la fondatezza di tali diagnosi. Ma il punto è un altro. È difficile dire se la società politica è migliore o peggiore della società civile. Possiamo però dire con certezza che essa si è costituita come società separata, autoreferenziale e solidale al suo interno. Si è insomma costituita in ceto. Intendiamoci, una certa separatezza tra il mondo dei politici e quello dei cittadini è sempre esistita. Ma fino a un recente passato è probabile che i legami verticali tra i dirigenti politici e la loro base fossero più solidi e importanti di quelli orizzontali tra politici di partiti diversi. Ora la situazione si è capovolta. I legami del primo tipo sono quasi del tutto scomparsi, insieme alle ideologie e alle appartenenze che li sostenevano; mentre la comunità di ceto è l'unica che gli uomini politici conoscono e praticano, in una sorta di consociati vismo affaristico che è la vera nota dominante di questi anni. Si stemperano i confini trai partiti, si accentua il fossato con il resto della società. 5
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