STORIE/LEWIS immediatamente. Taffany ha cominciato a girare per il locale e a mettersi in mostra: doveva fare da esca. Io e Morty ce ne siamo andati in giro a chiacchierare un po' con tutti, con aria maliziosa e molto americana. Vedevamo i suoi vecchi occhi bovini che gli schizzavano fuori dalla vecchia testa e la sua vecchia bocca che sbavava. Alla fine non ce l'ha più fatta a trattenersi. Ha lanciato un grido verso di noi. Abbiamo risposto con un muggito. È stata una pagina solenne della storia americana! Ci siamo incontrati fra fischi ed esplosioni di gioia. Ha ordinato da bere - un vassoio pieno di bicchieri - per farci dimenticare la rozzezza del nostro luogo d'incontro. Sembrava che non vedesse un americano da mesi. Ci ha divorati. Del povero Taff è rimasto ben poco. È quello che gli piace di più, poi vengo io. Marty adesso è per terra carponi che gli fa il solletico alle gambe. Di Marty non gliene importa quasi niente. Ci ha fatto promettere che stanotte avremmo dormito nel suo albergo". Lungo il percorso costeggiato di palme che conduceva al Caffè, sentivo la bocca un po' tesa e contratta, e le sopracciglia arcuate come se fossi stato un pedante specialista convocato al momento decisivo. Entrai nel locale con Blauenfeld e mi guardai attorno in modo freddo e risoluto, come un medico che chiede solennemente: "Dov'è il paziente?" Eccolo là, circondato dagli infermieri che avevo mandato avanti. Se ne stava seduto, del tutto indifeso, in uno stato di beatitudine estrema. Dapprima mi fissò con un ghigno incredulo. In quel momento, credo, sarebbe stato perfino disposto a concedermi un temporaneo perdono - un lasciapassare per il Caffè valido tutta la sera. Era così felice che per lui ormai non costituivo altro che un'inezia. Se solo lo avessi desiderato, mi attendeva una riconciliazione immediata. Invece mi avvicinai con impassibile rapidità professionale, lo sguardo fisso su di lui, e iniziai la mia diagnosi. Ero così preso dal ruolo del medico e mi conformavo con tale fedeltà al modo di fare che avevo scelto, ritenendolo il più appropriato alla situazione, che stavo quasi per esordire chiedendogli di tirar fuori la lingua. Invece mi sedetti con calma davanti a lui, e con le mani sulle ginocchia mi sistemai con cura i pantaloni. Osservai in silenzio il suo viso arrossato e attonito, i baffi ispidi, gli occhi iniettati di sangue. Poi, molto gravemente, scossi il capo. Nessun uomo sorpreso dal più acerrimo dei nemici nel mezzo di un'orgia debilitante, o appena uscito da una lunga malattia, sarebbe parso più confuso di lui. Ma Monsieur de Valmore si rivolse con la sua tipica, vacua e infantile espressione di supplica ai suoi infermieri, o compagni di bisboccia che fossero, in cerca di aiuto, in particolare verso Taffany. Forse era riluttante o esitava ad assumere il suo grande rote quando erano presenti attori di maggiore grandezza. La divina America non avrebbe parlato, o bensì tuonato per tramite loro, rivolta all'intruso? Volse i suoi solenni, supplici, oltraggiati occhi canini verso Taffany. Il maestro voleva degnarsi di respingere e castigare quell'insolente? "Credo non vi conosciate", disse Taffany. "Monsieur de Valmore, questo è un mio amico londinese, Mr. Ker-Orr". Il mio nemico si ricompose come se le varie parti del suo corpo fossero sul punto di saltar via in ogni direzione, e cercò di fare il possibile per prevenire quella disgregazione. Un tentativo di chinare il capo si trasformò in un movimento caotico, con le diverse parti del corpo che non riuscivano a mettersi d'accordo. 66 Il tentativo di inchino cozzò contro altri movimenti altrettanto caotici e non fu portato a termine. Il suo corpo era in preda ad una confusione incredibile. Iniziò una ventina di gesti, che in breve si sovrapponevano e scomparivano. "Mi sembra che Monsieur de Valmore non sia comodo su quella sedia, Morty. Dagli la tua". E in quello stato caotico e insolito fu sbattuto da una sedia all'altra; le sue soffocate rimostranze, notai, venivano emesse in francese. Il suo istinto razziale stava per subire la più grave trasformazione che avesse mai conosciuto. Un'incarnazione della sacra America lo aveva condannato ad accogliermi sul suo seno. E mentre l'ampiezza della mia vittoria cominciava ad apparirgli chiara, la sua umiliazione privata assumeva le proporzioni di una calamità nazionale. Per la prima volta da quando era stata ratificata lai5uanazionalità, sentì di non essere altro che un francese del Midi - lontano da un americano almeno tanto quanto un povero inglese dimenticato da dio. Il soldato dell'umorismo è generoso pur se implacabile. Mi limitai a bere una bottiglia di champagne a sue spese e richiesi a Don Pedro ed alla sua orchestra tre brani fuori repertorio, tutte operette inglesi, le più britanniche che conoscessi. Taffany, per il quale Monsieur de Valmore esprimeva il massimo rispetto, lo intrattenne per un po' enumerandogli solennemente e con abbondanza di dettagli le mie presunte virtù. Molto tempo dopo, mi ritirai insieme alle truppe nell'albergo dei miei amici, dove festeggiammo sfrenatamente per tutta la notte il nostro trionfo. Nei due giorni seguenti tornai sovente sul campo di battaglia ma Monsieur de Valmore era scomparso. Già questo sarebbe bastato a farmi comprendere che il mio soggiorno in Spagna era terminato. Due giorni dopo, infatti, lasciai Pontaisandra con gli americani, mi separai da loro a Tuy e proseguii per Le6n e San Sebastian verso la Francia, per raggiungere infine Parigi. La lettera importante che attendevo intanto era arrivata e conteneva molte notizie inattese. Appresi che veni va richiesta lamia presenza a Budapest. Giunto a Bayonne, mentre lasciavo la stazione ferroviaria provai quella che generalmente si definisce una "premonizione". Non era ovviamente altro che il consueto lavorìo automatico di deduzione della fantasia. Era scesa da poco la notte. Attraversai in fretta la piazza e percorsi rapidamente il corridoio d'ingresso del Fonda del Mundo. Mi volsi bruscamente verso la sala da pranzo della locanda e mi guardai intorno, quasi stupito di non trovare ciò che associavo a quel particolare luogo. Anche se Monsieurde Valmore non era lì a darmi il benvenuto, sentivo che qualcosa di buono, o di migliore perfino della sua presenza, mi stava scortando mentre lasciavo la Spagna. Sentivo ancora in quella spoglia stanzetta, come lo sciabordio del mare nella conchiglia, l'eco dei primi mormorii del suo misterioso disappunto; Il giorno successivo arrivai a Parigi e quando raggiunsi quella noiosissima città il mio incubo spagnolo si era già dissolto da tempo. · Copyright 1982, Estate of Mrs. G. A. Wyndham Lewis, con il permesso del Wyndham Lewis Memoria! Trust. Dal libro The Complete Wild Body, con il permesso di Black Sparrow Press.
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