STORIE/LEWIS Per la prima volta da quando era stata ratificata la sua nazionalità, sentì di non essere altro che un francese del Midi lontano da un americano almeno quanto un povero inglese dimenticato da Dio. ma gli anni in cui è stato francese hanno lasciato il segno. E contemporaneamente non vuole lasciare in pace gli inglesi. Pare che li perseguiti ovunque ne trova qualcuno". "Ma non dovrebbe farlo", disse risoluto Taffany. "Non sta affatto bene". "Certo che no. Cosa lo spinge a farlo? Che lo tormenta? Gli inglesi in fondo sono innocui, non è vero?" disse Blauenfeld. "Sapevo che avreste visto la cosa sotto questa luce", dissi. "È un abuso di potere bello e buono; ne ero certo, voi che ve ne intendete lo avreste condannato. Se solo poteste essere presenti, senza farvi vedere, per testimoniare come io, per esempio, sono oppresso da questo vostro fanatico connazionale, e se solo poteste sbucare fuori al momento giusto, rimproverarlo e dirgli di non farlo più, allora benedirei il giorno in cui siete nati in America". "lo non sono nato in America", disse Morton, "ma credo che non abbia importanza. Svelaci dunque il tuo piano, Cairo". "Non riesco ancora a capire come possiamo aiutarti. Gli devi forse dei soldi? Come mai ti perseguita in questo modo?" chiese Taffany. "Mi dispiace davvero che tu, Ker-Orr, debba lamentarti del pessimo trattamento che ti riserva questo tipo - insomma, di che si tratta?" Fornii un quadro spaventoso delle mie tribolazioni, fra lo scandalo e l'indignazione dei miei amici. Subito posero se stessi e, con umoristica modestia, la loro americanità-qualunque fosse la quantità di quella mistura nel loro "organismo" al mio servizio. Ritenevo di primaria importanza, tanto per cominciare, che Monsieur de Valmore non avesse il minimo sentore di ciò che stava accadendo. Feci uscire con cautela i miei tre americani dal caffè, sincerandomi che non ci fossero pericoli in vista. Il loro albergo era nei pressi della stazione e lontano dai covi del nemico; Ii spinsi quindi a tornarvi. Immaginavo che avrebbero voluto riposarsi e prepararsi per la sera, e mi affidai al loro buon senso, sperando che indossassero i vestiti più larghi che avevano, anche se Taffany, da questo punto di vista era l'unico che, sembrava promettere bene. Le dimensioni del suo sedere garantivano una corpulenza esotica che avrebbe rivelato immediatamente a Monsieur de Valmore la presenza di un americano. Il mio esercito era in forma splendida, posseduto da una gagliarda euforia. Riuscii a tenerli nascosti fino al tramonto e poi, dopo aver cenato presto, ci avviammo verso il Caffè Pelayo per strade secondarie. Morton era già ubriaco: cominciavo a pensare che sarebbe stato difficile controllarlo. Continuava a tirar fuori un mazzetto di foto oscene che teneva aperte a ventaglio davanti a sé, come se stesse giocando a carte, alcune capovolte. la massa confusa di braccia e gambe nude nelle fotografie, deformata dalla maniera in cui le teneva, con l'aggiunta di qualche particolare assai indecente che si intravedeva qua e là, trasformava quelle immagini in una sorta di demone siamese. Blauenfeld ghignava sbirciando da sopra le spalle diMortone sembrava che stesse per dimenticare il motivo per cui lo stavo conducendo al Pelayo. "Quel negro lo conosco" continuava a dire, indicando una delle foto, "giuro che lo conosco, quel negro!" Avevo pensato di fare entrare i tre americani nel caffè Pelayo senza di me. Si sarebbero accomodati - avevo detto loro a che tavolo sedere e come individuare il loro uomo - e avrebbero dovuto fare la conoscenza di Monsieur de Valmore. Quasi certamente quest'ultimo si sarebbe subito avvicinato ai suoi connazionali, ma se ci fosse stato da rompere il ghiaccio, doveva pensarci Taffany, e in fretta. Dovevano offrirgli un surrogato di high-ball o altro che somigliasse a una delle loro bevande nazionali, e prepararlo apposta per lui. Al conto, avrei pensato io più tardi. Dopo aver aperto in questo modo la strada, Taffany doveva farmi un segno dalla porta e allora, poco dopo, avrei fatto la mia apparizione. Morton stava baciando una delle foto. Se avesse continuato a mostrare, più o meno a proposito, questi suoi beni di dubbia moralità, e se li avesse esibiti, per esempio, di fronte ai clienti abituali del Pelayo, pur riuscendo a conquistarsi una indegna popolarità avrebbe certamente suscitato un'impressione diversa da quella che avevo in mente per questa seratina americana al cento per cento. Dopo una lunga e faticosa discussione, convinsi l'ubriaco a lasciarmi le foto fino a che il coup non fosse statoportato a termine. Una volta rafforzata la disciplina, li mandai all'attacco mentre io me ne restai al riparo sotto un arco, in una strada vicina, la dove li vidi entrare per la porta girevole lanciando sonori urrà, come avevo loro ordinato. Dovetti però subire l'umiliazione di vedere Morton cadere sulla soglia dove, da quanto si riusciva a capire, inciampò sullo zerbino. Maledicendo quello smodato buffone, mi recai furtivamente in un piccolo caffè gallego da cui potevo vedere la porta del Palayo e attendere l'evolversi degli avvenimenti. Puntai lo sguardo sulle finestre illuminate e splendenti del Caffè. Immaginavo l'ardore dell'orgoglio patriottico, lo spasmo di deliziata agnizione che avrebbe pervaso Monsieur de Valmore al solo udire quel coro di urrà. A parte i motivi sentimentali - gli urrà venivano usati come una sorta di canto di battaglia - quell'ingresso rumoroso aveva una ragione pratica, perché avrebbe immediatamente attratto l'attenzione del nemico. Trascorsero dieci minuti. Sapevo che i miei amici avevano già avvistato Monsieur de Valmore, anche se le manovre non erano ancora iniziate. In caso contrario sarebbero usciti e mi avrebbero raggiunto. Mi crogiolavo candidamente in una superba indifferenza. Dopo aver dato vita all'azione, mi ero tirato con noncuranza da parte, senza più dedicarvi alcuna attenzione. Ma l'analogia con il palcoscenico mi colpì, nel senso che acquisii una consapevolezza sempre maggiore della mia comparsa in scena. Dovevo aspettare il segnale, ma ero certo della reazione che avrei suscitato. Ero la star inattesa. L'incognita. Mentre aspettavo, tirai fuori le foto e le sistemai in modo buffo, come aveva fatto Morton. Di tanto in tanto lanciavo pigramente uno sguardo in strada. Infine vidi Blauenfeld dirigersi verso di me, con il dondolio tipicamente americano del suo corpo peggiorato da sommovimenti ritmici di ilarità, e intanto incespicava con passi pesanti e le cosce sbattevano l'una contro l'altra. Mentre si avvicinava, mi resi conto che era un vero americano, del tipo più tradizionale. Un buon attore, pensai; aveva tutta la mia gratitudine. Mi raggiunse mentre pagavo il caffè. "Tutto bene? È cotto al punto giusto?" "Lo abbiamo in pugno. Vieni a vedere". "Ha fatto la sua parte, come avevo previsto?" "Ma certo! Siamo entrati e tutti e tre lo abbiamo avvistato 65
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