STORIE/LEWIS raggiunsi: la mia cordialità, se possibile, superò perfino la loro. · "Guarda, guarda, c'è Cairo! È proprio lui! Da che albero di Natale sei cascato? Sono proprio contento di vederti, Kire", urlava Taffany, che dei tre era l'irrefrenabile irlandese. "Sei proprio tu, è fantastico! Ti abbiamo cercato a Parigi ma eri già partito. Da quanto tempo sei qui?". Questo era l'amichevole Blauenfeld con la sua voce sonora. Dei tre era il più melanconico. "Vieni al Correo con noi e facci da interprete, Cairo. La lingua la sai, no? Feldie è un fallimento," disse Morton, che dei tre era il più debosciato. Ottimismo e consapevolezza del proprio potere (niente di cui stupirsi, riflettei) emanavano da questi miei amici sinceri. Ah, la loro cortesia, la loro travolgente cortesia. Affondavo voluttuosamente in questi saluti americani - questi saluti veramente americani. Non c'era niente di naturalizzato in essi. Allo stesso tempo però provai una sorta di timore al ricordo della loro nazionalità, per me così pericolosa. Queste brave persone che tanto conoscevo e stimavo mi sembravano possedere qualcosa della stranezza di Monsieur de Valmore. Misurai comunque con entusiasmo l' egregia ampiezza delle loro spalle, l'enormità dei loro "calzoni". Esaminai con un po' di delusione questi segni indicativi della loro nazionalità. Come sembravano inglesi, a confronto di quelli ostentati da de Valmore. Non erano affatto americani, per i miei gusti. Non sarei stato soddisfatto neanche se mi fossero comparsi davanti con una marsina a stelle e strisce, come nelle vignette dello zio Sam. Il fatto era che mi sentivo come un ambizioso principe orien64 tale che, dopo essere stato sconfitto innumerevoli volte in battaglia dall'esercito dello stato confinante fornito di cinque elefanti, entra improvvisamente in possesso di una ventina di quegli animali. Probabilmente mi comportai in modo strano. Cercai subito di scoprire cosa avevano intenzione di fare. Sarebbero partiti subito? No. Questo era fondamentale. Ero terribilmente felice che non ripartissero subito. Ero felice che avessero deciso di fermarsi. Avevano già fissato le loro camere? Sì. Ottimo. Quindi avrebbero passato la notte in città. Tutto filava liscio! Bisognerebbe sempre fermarsi per una sera. Sì, avrei fatto con piacere da interprete al Correo. Mi presi cura dei miei tre americani come nessuno si era mai preso cura di un americano prima di allora. Cercavo di proteggerli come se fossero stati merce deteriorabile, stando attento che non finissero sotto una macchina o rimanessero per troppo tempo esposti al sole del mezzogiorno. Tutte le frasi o i gesti tipicamente transoceanici venivano da me accolti con un moto dell'animo che si avvicinava all'esultanza. Morton si convinse immediatamente che ero sbronzo. Non pensai più a Coruna. Al Fermo Posta non chiesi nemmeno se era arrivata la lettera. Per prima cosa condussi il mio terzetto in un caffè vicino all'ufficio postale e esposi in breve ciò che mi aspettavo da loro. "C'è un vostro illustre connazionale qui", dissi. "Oh, un americano?" chiese in tono serio Morton. "Non lo è ma se lo meriterebbe ... Temo però che abbia iniziato troppo tardi. Viene dal sud della Francia e per lui l'americanità è stata una rivelazione quando la sua gioventù era ormai trascorsa. Si è pentito sinceramente della nazionalità che lo aveva fuorviato,
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